Un discorso a parte merita la c.d. “chance”.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, anche di legittimità, la perdita di chance rappresenta un danno emergente. Non si risarcisce l’utilità che si sarebbe ricavata, bensì l’utilità attuale andata perduta.
A questo orientamento si oppone altro indirizzo secondo cui la perdita di chance come danno in sé, non è altro che uno stratagemma per “ammantare” della qualifica di diritto soggettivo una situazione giuridica che diritto soggettivo non era, e per conferire così rilevanza giuridica ad una lesione altrimenti irrisarcibile.
Secondo questa impostazione la tesi che ravvisa nella perdita di chance una ipotesi di danno emergente va incontro a numerose obiezioni.
Queste obiezioni possono essere sintetizzate come segue.
(a) In primo luogo, è stato osservato che quando si parla di perdita di una chance si designa un pregiudizio che non può essere distinto dal danno finale, cioè dalla perdita del risultato sperato. Sopprimere una chance vuol dire infatti impedire il processo formativo vòlto all’acquisizione di una utilità futura, quando questo è ancora in fase di svolgimento. Pertanto affermare la risarcibilità della perdita di chance in sé non costituisce che un escamotage per ammettere la risarcibilità di un danno il cui nesso causale rispetto alla condotta illecita non è certo, ma solo probabile;
(b) in secondo luogo, si è osservato che una chance non può essere considerata un bene suscettibile di valutazione patrimoniale. Essa non ha utilità in sé, ma è utile se ed in quanto viene realizzata;
(c) infine, si è rilevato come, ammettendo che la “speranza” in quanto tale sia un bene autonomo e la sua lesione costituisca un danno risarcibile, dovrebbe di conseguenza ammettersi che la lesione di qualsiasi speranza, anche infinitesima, andrebbe risarcita. Una chance “ricca” andrà risarcita in modo ricco, una chance “scarsa” andrà risarcita in modo scarso; una chance infinitesima andrà risarcita in modo infinitesimo.
Tuttavia questa conclusione è scartata proprio da quell’orientamento il quale considera la perdita di chance un’ipotesi di danno emergente, il quale ricorre – come già detto – al criterio della selezione delle chances, ammettendo al risarcimento solo quelle “ragionevolmente fondate”, oppure “statisticamente probabili”, oppure “moralmente verosimili” (Cass. 22.4.1993 n. 4725, in Foro it. Rep., 1993, Lavoro (rapporto), 750; Cass. 2.12.1996 n. 10748, in Foro it. Rep., 1996, Lavoro (rapporto), 764).
Tuttavia questa soluzione, oltre che onerare il giudice del gravoso compito di distinguere tra la speranza fallace e la speranza fondata, è in patente contraddizione con le premesse da cui muove l’orientamento di cui si discorre.
Se la chance è un bene suscettibile di valutazione economica, essa resta tale sia che abbia molte, sia che abbia poche possibilità di successo. In altri termini, sostenere che la chance è un bene patrimoniale in sé, ma che esso va risarcito solo quando sia “ragionevolmente fondata”, equivarrebbe a dire che – ad esempio – la perdita patrimoniale non sia un danno in sé, ma vada risarcita solo quando essa superi un certo ammontare (così Trib. Roma, 7/1/2007; in dottrina Rossetti).
Ecco alcune massime in tema di chance.
“In tema di risarcimento del danno da lesioni, il danno derivante da perdita di chance costituisce una voce del danno patrimoniale risarcibile, in quanto diretta conseguenza delle lesioni riportate, qualora il danneggiato riesca a provare, pur solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta” (Cass. n. 10840 del 2007).
“In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta” (Cass. n. 1752 del 2005; in senso conforme Cass. n. 17176 del 2007; in precedenza, Cass. n. 18945 del 2003).
“Al fine di ottenere il risarcimento per la perdita di una chance è necessario provare la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta; pertanto, ove il lavoratore agisca per ottenere il risarcimento del danno derivante dal mutamento delle mansioni e consistente nel mancato conseguimento di un vantaggio di carriera connesso ad una valutazione comparativa di candidati, deve provare che la valutazione vi è stata e che egli, se non fosse intervenuto l’illegittimo mutamento di mansioni, avrebbe avuto possibilità non distanti da quelle degli altri aspiranti positivamente valutati” (Cass. n, 10748 del 1996).
“La perdita di chance, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, costituisce un danno patrimoniale risarcibile, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale”. (Cass. n. 12243 del 2007).
“Nel rapporto di lavoro privato, in caso di esclusione del lavoratore dalla partecipazione ad un concorso per la promozione ad una qualifica superiore, occorre tenere distinte le domande di risarcimento del danno aventi per oggetto, da un lato, il pregiudizio derivante dalla mancata promozione (promozione configurata come sicura in caso di partecipazione al concorso) e, dall’altro, la perdita di chance, cioè la mera probabilità di conseguire la promozione in conseguenza della partecipazione al concorso, in quanto costituiscono domande diverse, non ricomprese l’una nell’altra, in relazione alla diversità di fatti e circostanze da cui desumere l’entità della probabilità per l’interessato per vincere il concorso. Diverso è anche il contenuto dell’onere probatorio posto a carico del lavoratore nei due casi, in quanto, in caso di domanda di risarcimento danni per perdita di chance, il ricorrente ha l’onere di provare, anche facendo ricorso a presunzioni e al calcolo delle probabilità, soltanto la possibilità che avrebbe avuto di conseguire il superiore inquadramento, atteso che la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 cod. civ., presuppone pur sempre che risulti comprovata l’esistenza di un danno risarcibile” (Cass. n. 852 del 2006).
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