Una nuova condanna ex officio ai sensi del novellato art. 96 c.p.c.. Come è noto, la legge 69/2009 ha aggiunto un comma al suddetto articolo che così recita: “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Sono orami numerosi i provvedimenti dei giudici di merito che applicano detta norma.
Ecco un esempio. Il Tribunale di Piacenza ha condannato a 3.500,00 euro un esercente del servizio di telefonia per avere illegittimamente sospeso il servizio e chiesto il pagamento di fatture senza averne il diritto.
Secondo il Tribunale l’articolo 96 comma 3 c.p.c. introduce nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia (in questi termini, già Trib. Varese 23/1/2010 e 30/10/2009, Trib. Prato 6/11/2009, Trib. Milano 29/8/2009). Ciò esclude la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è stata prevista a favore della parte e non dello Stato, al probabile fine di rendere effettivo il recupero della somma e quindi l’afflittività della sanzione.
Sotto il profilo soggettivo, secondo il giudice piacentino occorre comune la mala fede o la colpa grave.
Tribunale Piacenza 22/11/2010
FATTO
Nella presente controversia, l’attrice deduce che la compagnia telefonica con la quale ha stipulato un contratto per l’utenza domestica, id est Tele Tu (già Tele2 ed Opitel), ha illegittimamente richiesto una serie di pagamenti non dovuti; ed ha illegittimamente quanto ripetutamente sospeso la fornitura del servizio di telefonia e di ADSL, provvedendo ogni volta alla riattivazione solo momentanea in concomitanza con i sette ricorsi che l’attrice ha dovuto proporre alla Commissione Regionale di Controllo.
Per tali motivi, previa richiesta di declaratoria di storno di alcune fatture e di illegittimità del comportamento ex adverso, chiede la condanna di Tele Tu al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, nonché la riattivazione delle linee, sospese l’ultima volta dal 4/9/2009 e non più riattivate.
Resiste la convenuta, in diritto eccependo l’inammissibilità della domanda in quanto proposta ex art. 702 bis c.p.c., in fatto l’infondatezza della stessa.
In corso di causa, la difesa di parte convenuta ha dato atto della definitiva interruzione del servizio ad opera di Tele Tu a far data dal 25 agosto 2010.
DIRITTO
a) L’eccezione di rito è manifestamente infondata.
Invero, diversamente da quanto opinato dalla difesa della convenuta ed a differenza di quanto disponeva nel rito societario l’ormai abrogato articolo art. 19 del D.Lgs. n. 5/2003, che prevedeva l’ammissibilità dell’azione sommaria solo per il pagamento di una somma di denaro o per la consegna di cosa mobile determinata, nel rito sommario di cognizione introdotto dalla L. n. 69/2009 possono essere azionate tutte le domande, e cioè sia quelle di accertamento, sia quelle costitutive, sia quelle di condanna.
Ciò, come conferma l’unanime dottrina e la pacifica giurisprudenza di merito pronunciatasi, deve ricavarsi dalla piana lettura del testo dell’articolo 702 bis c.p.c., che non pone limitazione alcuna circa la tipologia delle domande ammissibili.
b) Nel merito, la domanda è fondata.
Tele Tu ha infatti dapprima sospeso, e poi, dal 25/8/2010, definitivamente disattivato il servizio fonia ed ADSL, tramite “cancellazione della scheda cliente” e “disattivazione senza rientro su rete Telecom” in ragione del preteso inadempimento di parte attrice al pagamento di sei fatture (cfr. all. 7 fascicolo di parte convenuta).
Orbene, relativamente a tre di tali sei fatture, e cioè alla 23465788470 del 26/12/2007, 23475130939 del 26/8/2008, 23477007576 del 26/10/2008, vi è una statuizione della Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che ne ordina lo storno in quanto illegittimamente emesse (cfr. delibera 4/09/CIR, allegato 28 fascicolo di parte attrice).
Parimenti illegittime sono la quarta e la quinta fattura contestate, cioè la 23478885264 del 26/12/2008 e 234480759589 del 26/2/2009, emesse dopo la proposizione del giudizio davanti alla AGCom. Invero, tali fatture sono state formulate con gli stessi criteri censurati dal’AGCom, e cioè conteggiando anche i periodi di sospensione del servizio: pertanto, correttamente parte attrice, così come già aveva fatto con riferimento alle altre fatture oggetto del giudizio di AGCom, le ha pagate solo in parte, riducendole proporzionalmente per i periodi di mancata erogazione del servizio.
D’altro canto, diversamente da quanto opinato dalla difesa di parte convenuta, il pagamento parziale delle fatture oggetto di contestazione, è ben possibile in quanto espressamente previsto dal disposto degli articoli 10.3 e 11.2 delle condizioni generali di contratto stipulate dalle parti (cfr. all. 5 fascicolo di parte convenuta), oltre che in base al principio generale inadimplenti non est adimplendum, codificato dall’articolo 1460 c.c.
La sesta ed ultima fattura oggetto di contestazione, cioè la 23484515647 del 26/6/2009, pur se contestata pro quota per i motivi sopra indicati, è stata poi interamente pagata da parte attrice (cfr. all. 39c fascicolo di parte attrice).
c) In ragione di quanto sopra, appare palese l’inadempimento di parte convenuta, che ha illegittimamente sospeso prima e disattivato poi, l’erogazione del servizio di telefonia e di ADSL, disattendendo anche una delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Consegue che, in accoglimento della domanda attorea:
Vanno dichiarati non dovuti gli importi non ancora riscossi da Tele Tu relativamente a tutte le fatture già emesse nei confronti dell’attrice al momento dell’emanazione del presente provvedimento.
La convenuta deve essere condannata a restituire alla ricorrente gli importi già pagati delle fatture del 26/12/2009, 26/2/2010, 26/4/2010, 26/6/2010 e 26/8/2010, per un totale di euro 278,63, in quanto fatture emesse con riferimento al periodo successivo al 4/9/2009, e cioè ad un periodo in cui vi è stata completa disattivazione delle linee; il tutto oltre interessi dalla sentenza al saldo.
La convenuta deve poi essere condannata a pagare all’attrice quanto già oggetto di condanna da parte della Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in relazione alla illegittima sospensione del servizio, e cioè della somma di euro 1.155, oltre interessi legali dal 23/9/2008, data del ricorso alla stessa AGCom.
La convenuta stessa deve poi essere condannata a risarcire il danno anche in relazione alle illegittime sospensioni del servizio successive al ricorso alla AGCom.
In proposito, si osserva che, con riferimento ai periodi non oggetto della delibera della AGCom, il servizio è stato sospeso dal 15/1/2009 al 7/4/2009 e dal 28/5/209 al 29/6/2009, per complessivi 116 giorni; ed è poi stato definitivamente sospeso dal 4/9/2009 sino alla definitiva disattivazione del 25/8/2010, quindi per altri 355 giorni.
Ne deriva che il risarcimento va parametrato su 471 giorni di sospensione, e può essere accordato nella misura di euro cinque giornaliere, in particolare 2,5 euro per il servizio voce e 2,5 euro per il servizio ADSL, come già ritenuto dalla AGCom sulla base della Carta dei Servizi.
Oggetto di condanna è quindi la somma di euro 2.355, oltre interessi dalla presente domanda giurisdizionale, radicata con ricorso depositato il 23/3/2010, al saldo.
Va invece rigettata la richiesta di parte attrice di liquidare una somma a titolo di maggior danno non patrimoniale nonché una somma a titolo di danno patrimoniale.
Invero, il danno non patrimoniale è già equamente ristorato sulla base dell’indennizzo previsto dalla Carta dei Servizi. Relativamente invece al danno patrimoniale, parte attrice non ha provato, ed in verità nemmeno offerto di provare o quantomeno dedotto nelle sue linee essenziali, la sussistenza dello stesso; e ciò preclude la possibilità di una liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., la quale attiene solo al quantum di un danno comunque già provato con riferimento all’an.
Parimenti non accoglibile, sia pure per ragioni affatto diverse, è la domanda attorea di ordinare a Tele Tu la riattivazione del servizio.
Come infatti già osservato in parte narrativa, ciò è ora reso impossibile dal comportamento tenuto da Tele Tu in corso di causa, avendo parte convenuta, dal 25/8/2010, ormai definitivamente disattivato il servizio fonia ed ADSL, tramite cancellazione della scheda cliente e disattivazione senza rientro su rete Telecom.
d) Le spese di lite seguono la soccombenza, e, liquidate come da dispositivo in aderenza alla nota presentata, sono quindi poste a carico di parte convenuta ed a favore di parte attrice.
e) Ad avviso del Giudice, deve poi procedersi ad una condanna del convenuto ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c., a tenore del quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Sul punto, si osserva che la norma introdotta nel tessuto codicistico dalla L. n. 69/2009, recepisce ed estende a tutti i processi il meccanismo dell’art. 385 comma 4 c.p.c., precedentemente dettato per il solo processo di Cassazione ed ora coerentemente abrogato.
Per espressa scelta normativa, inoltre, la pronuncia può essere effettuata d’ufficio e non ha limite nella determinazione dell’importo della condanna, come invece vi era nell’art. 385 c.p.c. ora abrogato.
Ad avviso di questo Giudice e come peraltro già precisato da autorevole Dottrina, poi, la pronuncia non abbisogna della preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., essendo posterius e non prius logico della decisione di merito.
Due sono invece le principali questioni sulle quali non si è formata un’univoca posizione interpretativa, e sono quelle relative a natura ed ambito di applicazione della norma. In particolare, è discusso se, per procedere alla condanna ai sensi del terzo comma, sia o meno richiesta l’esistenza di un danno di controparte; nonché se siano o meno richiesti i requisiti della lite temeraria di male fede e colpa grave, previsti dal primo comma dello stesso articolo 96.
Ciò posto, con riferimento alla prima tematica della natura della norma, questo Giudice, aderendo alla tesi già propugnata da parte della Dottrina e condivisa dalla maggioritaria giurisprudenza di merito edita, ritiene che l’articolo 96 comma 3 c.p.c. introduca nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia (in questi termini, già Trib. Varese 23/1/2010 e 30/10/2009, Trib. Prato 6/11/2009, Trib. Milano 29/8/2009). Ciò esclude, come peraltro ben lumeggiato dai lavori preparatori, la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è stata prevista a favore della parte e non dello Stato, al probabile fine di rendere effettivo il recupero della somma e quindi l’afflittività della sanzione.
È ben vero che la teorica del danno punitivo è sostanzialmente estranea alla storia del nostro diritto civile. Ma è altrettanto vero che, per un verso, il contenuto letterale della norma pare inequivoco nel non presupporre l’esistenza di un danno di controparte; e per altro verso non vi sono parametri costituzionali che vietano al Legislatore di introdurre tale tipologia di danno.
Con riferimento invece alla tematica dell’elemento soggettivo richiesto in capo al destinatario della condanna, pare a questo Giudice che possa essere seguita la tesi più garantista, che postula comunque la presenza del requisito della malafede o della colpa grave.
Invero, pur essendo la questione oggettivamente opinabile, militano a favore di tale ricostruzione un argomento letterale ed uno logico-sistematico.
In particolare, da una prima angolazione può osservarsi che la norma è stata introdotta come terzo comma del già esistente articolo 96 c.p.c., dettato proprio in tema di lite temeraria in quanto connotata dall’avere agito o resistito con malafede o colpa grave. Da un punto di vista logico-sistematico, poi, la natura sanzionatoria della norma non può che presupporre, a pena di irrazionalità del sistema, un profilo di censura nel comportamento del destinatario della condanna, ciò che appunto deriva dal suo elemento soggettivo di dolo o colpa grave.
Né, ad avviso del Giudice, può far diversamente opinare l’incipit della nuova previsione normativa, che introduce la norma con l’inciso “in ogni caso”. Detto inciso, infatti, può essere interpretato non già nel senso di disattendere quanto previsto dal primo comma con riferimento alla necessità del profilo della temerarietà della lite; bensì con riferimento alle peculiarità poi poste dallo stesso terzo comma rispetto quanto previsto dal primo comma, id est alla possibilità di operare la pronuncia d’ufficio e senza istanza di parte, nonché alla possibilità di operare la condanna anche in assenza di un danno di controparte.
Proprio le differenziazioni da ultimo citate in ordine all’officialità della pronuncia ed all’assenza della necessità di un danno, rendono teoricamente possibile la coesistenza di una pronuncia di condanna ai sensi del primo comma con una ai sensi del terzo comma; pur se tale ipotesi devi ritenersi più che residuale, stante la limitatezza dell’area applicativa dell’art. 96 comma 1 c.p.c., che secondo la pacifica interpretazione della Suprema Corte presuppone la prova di un danno non aliunde risarcito ed ha così trovato applicazione concreta in rarissime ipotesi.
Quanto sopra offre le coordinate per la statuizione sul caso concreto, ravvisandosi tutti i presupposti per la pronuncia ex art. 96 comma 3 c.p.c.
In particolare:
l’articolo 96 comma 3 c.p.c. è ratione temporis applicabile, posto che la causa è stata introdotta nel marzo 2010, e quindi dopo l’entrata in vigore della L. n. 69/2009;
la pronuncia può essere resa d’ufficio;
essa può riguardare anche il procedimento sommario di cognizione, atteso che all’esito dello stesso occorre pronunciarsi sulle spese di lite, e che il disposto di cui all’articolo 96 comma 3 c.p.c. si riferisce a tutte le situazioni in cui vi è pronuncia sulle spese ex art. 91 c.p.c.;
sussiste, da parte di Tele Tu, una colpa grave nell’avere resistito alla lite con argomentazioni del tutto prive di spessore, contestando il mancato pagamento di fatture già stornate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni o già pagate; e sussiste poi addirittura un dolo nell’avere reso impossibile l’accoglimento dell’ordine di riattivare il servizio, provvedendo in corso di causa alla definitiva disattivazione dello stesso tramite cancellazione della scheda cliente e disattivazione senza rientro su rete Telecom.
Ciò detto stimasi equo indicare in euro 3.500, e cioè in una somma di poco inferiore al 50% delle spese di lite, l’entità della condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c.
P.Q.M.
visto l’art. 702 c.p.c.
dichiara l’illegittimità del comportamento di Tele Tu s.p.a. di sospensione prima ed interruzione poi, dell’erogazione dei servizi di telefonia e ADSL relativi all’utenza dell’attrice;
dichiara non dovuti gli importi non ancora riscossi da Tele Tu s.p.a. relativamente a tutte le fatture già emesse nei confronti dell’attrice al momento dell’emanazione del presente provvedimento;
condanna Tele Tu s.p.a. a pagare a A.C.:
euro 276,83, oltre interessi legali dal 22/11/2010;
euro 1.155, oltre interessi legali dal 23/9/2008;
euro 2355, oltre interessi legali dal 23/3/2010;
condanna Tele Tu s.p.a. a rifondere a A.C. le spese di lite del presente giudizio, che liquida in euro 222,94 per rimborsi, euro 1.883 per diritti, euro 3.340 per onorari, oltre IVA. CPA ed art. 14 TP;
condanna Tele Tu s.p.a. a pagare a A.C. euro 3.500 ex art. 96 comma 3 c.p.c.
Piacenza, 22/11/2010
Il Giudice
Dott. Gianluigi Morlini
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