Valore della causa 13,85 euro, ma il soccombente propone ricorso per cassazione, che decide a Sezioni Unite.

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Ben nove magistrati di Cassazione, tra cui il Primo Presidente vengono scomodati per una sentenza emessa da un giudice di Pace, del valore di 13,85 euro, oltre a 100 euro per spese legali.

Il soccombente ricorre in Cassazione, ponendo una questione di giurisdizione.

Si riunisce l’autorevole consesso che rigetta il ricorso.

Domanda: è un costo ancora sostenibile per il Paese? Possono nove magistrati di quel livello essere chiamati a decidere una questione del valore di 13 euro, mentre si attendono per anni e anni decisioni su questioni aventi ad oggetto i diritti fondamentali?

E’ vero che oggi le sentenze del gdp bagatellari sono appellabili, ma quante questioni risibili vengono tuttora decise dalla Cassazione e dalle Corti d’Appello?

Cassazione civile , sez. un., 29 aprile 2008, n. 10827

Fatto

Nel 2004 la “P. L. a r.l. soc. coop. a r.l.” agì giudizialmente innanzi al giudice di pace di Messina nei confronti di M.A. domandandone la condanna al pagamento della somma di Euro 3,10 (e di Euro 15,34 per spese) per omesso versamento del “corrispettivo” dovuto per la sosta del proprio veicolo in un’area comunale di parcheggio a pagamento nei giorni 11, 12 e 18.1.2000, come da specifici avvisi infruttuosamente speditigli.
Espose che era stata incaricata dal comune di svolgere il servizio di gestione e sorveglianza del parcheggio a pagamento in talune aree pubbliche a questo destinate, che le tariffe per la sosta nelle diverse fasce orarie erano state predeterminate con provvedimento comunale e che, in base alla convenzione che disciplinava il servizio, aveva l’obbligo di recuperare, anche nei confronti dei proprietari, le somme non versate dai conducenti degli autoveicoli parcheggiati.
Con sentenza n. 7/2005, pronunciata nella contumacia del convenuto, il giudice di pace accolse la domanda nei limiti di Euro 13,83, oltre agli interessi ed alle spese processuali, liquidate in Euro 100,00, oltre agli accessori.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione M.A. affidandosi a tre motivi, uno dei quali pone una questione di giurisdizione.
La società cooperativa intimata non ha svolto attività difensiva.
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Diritto
1.1. Col primo motivo di ricorso la sentenza è censurata per “violazione e falsa applicazione dei principi informatori nella materia delle sanzioni amministrative in riferimento alla L. n. 689 del 1981; violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 7, come modificato dal D.Lgs. n. 360 del 1993; mancato accertamento della violazione e conseguente inesperibilità di ricorso amministrativo;
vulnus del diritto di difesa, violazione del principio di legalità e dei principi in materia di azione amministrativa; violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 25, 97 e 113 Cost.; il tutto in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 2 (nel testo risultante dalla sentenza additiva della Cort. Cost. n. 206/2004) e 360 c.p.c., n. 3”.
1.2. Col secondo motivo è dedotto “difetto assoluto di giurisdizione del giudice di pace rispetto alla pubblica amministrazione: sanzione amministrativa travestita da azione di condanna per inadempimento contrattuale; violazione dell’art. 37 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1”.
1.3. Col terzo sono denunciate “carenza assoluta di prova a sostegno della domanda, violazione dei principi in materia di onere della prova in relazione all’art. 2697 c.c.; art. 116 c.p.c.; art. 163 c.p.c., n. 5, anche in relazione alla facoltà concessa dall’art. 184 c.p.c.; art. 232 c.p.c.; il tutto in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 2 (nel testo risultante dalla sentenza additiva della Cort.Cost. n. 206/2004) e art. 360 c.p.c., n. 3); nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Apparenza e/o radicale ed insanabile insufficienza e contraddizione della motivazione della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”.
2.1. Il secondo motivo, il cui esame è pregiudiziale in quanto pone un problema di giurisdizione, è infondato.
Il ricorrente assume che il giudice di pace, condannandolo “al pagamento della somma richiesta e, soprattutto, delle spese di lite, ha sostanzialmente irrogato una sorta di sanzione privata, inconcepibile nel nostro ordinamento laddove vige il principio di legalità sia per le sanzioni penali che per quelle amministrative”.
Sostiene che era per questo sfornito di giurisdizione, pur non indicando quale giudice ne fosse invece munito.
Sono sufficienti i rilievi che nessuna sanzione amministrativa in materia di circolazione stradale è irrogata previo vaglio da parte dell’autorità giurisdizionale della sussistenza della violazione e che è, invece, assolutamente inequivoco che la società attrice ha agito per il pagamento di quanto l’automobilista avrebbe dovuto versare per la sosta nell’area destinata al parcheggio (dunque per l’adempimento, come lo stesso ricorrente riconosce nell’illustrazione del primo motivo di ricorso, in fine) e non per la somma corrispondente alla sanzione prevista per la sosta senza pagamento.
E non è revocabile il dubbio che la domanda di adempimento di un privato nei confronti di altro privato trova la sua causa petendi nella presupposta sussistenza di un diritto soggettivo a ricevere una prestazione, come tale idonea a radicare la giurisdizione del giudice ordinario.
2.2. Quanto appena osservato palesa l’infondatezza anche del primo motivo nella parte in cui muove dall’erroneo assunto che sia stata irrogata una sanzione amministrativa, a tanto correlando anche la violazione dei principi di legalità, di riserva di azione amministrativa e di difesa.
In ordine alla prospettata insussistenza del diritto del concessionario di agire per il pagamento delle somme al cui pagamento sia subordinata la sosta in determinate aree (ex art. 7 C.d.S., comma 1, lett. f, approvato con D.Lgs. n. 285 del 1992, come successivamente modificato), deve rilevarsi che si verte in ipotesi di sentenza necessariamente pronunciata secondo equità in relazione al valore della controversia, sicchè l’insussistenza in concreto di quel diritto è del tutto irrilevante, essendo rimessa al giudice di pace la creazione della regola equitativa da applicare al caso concreto, col solo limite del rispetto delle norme di rango costituzionale o sopranazionale e dei principi informatori della materia, la cui violazione soltanto è appunto suscettibile di essere denunciata in cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3.
Ora, la violazione del primo tipo di norme è, come s’è detto, infondatamente addotta; quelle del secondo tipo non vengono in considerazione; i principi informatori della materia delle sanzioni amministrative sono impropriamente invocati, siccome del tutto estranei al caso di specie; la violazione dei principi informatori della materia delle obbligazioni – che avrebbero potuto in ipotesi venire in rilievo – non è nemmeno prospettata.
2.3. Resta da esaminare il terzo motivo, che concerne la dedotta violazione di norme processuali.
Sostiene il ricorrente che, per l’ipotesi in cui si ravvisasse un rapporto contrattuale nella sosta a pagamento, la sentenza sarebbe viziata per non aver considerato che i fatti costitutivi della domanda non erano stati provati, essendo a tal fine inidonei i tre avvisi di pagamento prodotti (con l’indicazione della targa del veicolo di proprietà del M. ma privi dell’indicazione della strada nella quale era stata parcheggiata l’autovettura) e l’intimazione di pagamento inviata con raccomandata restituita al mittente per rifiuto di accettazione da parte della madre del destinatario. Nè erano stati prodotti gli atti sui quali la società attrice fondava la propria legittimazione, sicchè il giudice di pace aveva in definitiva conferito impropriamente rilievo alla contumacia del convenuto, alla mancata risposta all’interrogatorio formale deferitogli (su circostanze non esposte in sentenza) ed alla comunicazione via fax (irritualmente acquisita agli atti) con la quale il convenuto contumace aveva comunicato al giudice di aver venduto la propria autovettura, addirittura opinando che tanto avallasse la fondatezza della domanda attrice.
Benchè la motivazione vada corretta nella parte in cui è stata considerata rilevante la circostanza che “nessuna eccezione è stata sollevata dal convenuto” in ordine all’intervenuto parcheggio del veicolo senza corresponsione della tariffa oraria (pagina 3 della sentenza impugnata, in fine), volta che il convenuto era contumace e che la contumacia non può assumere alcuna valenza probatoria della verità dei fatti posti a fondamento del diritto fatto valere in giudizio, la censura è tuttavia infondata.
Il rilievo conferito dal giudice di pace all’atteggiamento assenteistico del convenuto (pagina 4, inizio) è infatti collegato non già alla contumacia, ma alla mancata risposta all’interrogatorio, com’è reso evidente dalla frase “non utilizzando neanche la possibilità di esporre le proprie ragioni a difesa quando gli è stato deferito l’interrogatorio formale”. Del resto, anche i documenti, provenienti dalla parte che se ne avvalga (nella specie, gli avvisi di pagamento per Euro 3,10, con indicazione delle date e delle ore della sosta, anch’esse riportate in sentenza) possono assumere, segnatamente se connotati da un apprezzabile grado di specificità, valenza indiziaria e costituire una risultanza di riferimento sufficiente a consentire al giudice di ritenere, ex art. 232 c.p.c., comma 1, per ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio cui la parte non abbia risposto.
Quanto al vizio di motivazione, deve premettersi che, nelle sentenze necessariamente pronunciate secondo equità, il vizio di motivazione assume rilievo solo in quanto si traduca in assoluta carenza di motivazione ovvero in argomentazioni insanabilmente contraddittorie, tali da integrare il pur denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.
Ma tanto va, nel caso in esame, radicalmente escluso, non essendo configurabile una carenza assoluta di motivazione nella circostanza che il giudice di pace non abbia esposto nella motivazione della sentenza i fatti, ritenuti poi per ammessi, che la parte era stata invitata a confessare, allorchè – come nella specie – per l’assoluta linearità del thema decidendum, tali fatti non potevano essere che quelli direttamente posti in essere da colui cui l’interrogatorio era deferito.
Quanto alla ritenuta legittimazione dell’attrice, l’affermazione del giudice di pace che essa si evincesse dagli atti processuali (sesta riga dei motivi della decisione della sentenza impugnata) anche in base all’art. 24 del Capitolato-Convenzione che disciplina il servizio, costituisce asserzione in tutto sufficiente a sorreggere sul punto la decisione. L’assunto che tali atti non esistessero si risolve nella prospettazione di un errore revocatorio, non denunciabile col mezzo del ricorso per Cassazione.
Inidoneo a configurare un’assoluta carenza o contraddittorietà della motivazione è pure il rilievo conferito dal giudice di pace al documento irritualmente inviatogli dal convenuto contumace, dal quale si evinceva che alla data della sosta egli ne risultava ancora proprietario. Il riferimento della sentenza alla “visura” di cui alla documentazione allegata (quintultima riga di pagina 4) consente, invero, di comprendere che la proprietà del veicolo in capo al convenuto risultava comunque aliunde.
3. Il ricorso va conclusivamente rigettato con la declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario.
In difetto di esercizio di attività difensiva da parte dell’intimata non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.
P.Q.M
LA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2008


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. Giunio Massa

    Questo è un esempio della esaperazione cui si arriva attraverso una paranoica estensione della giurisdizione (civile) rispetto a un mumero quasi infinito di contestazioni gabellari. Da un certo punto di vista l’affidare alla giurisdizione civile in modo quasi incontrollato, certamente sfuggito di mano, fatti e vicende quasi irrilevanti rappresenta un costo enorme: pensate quanto sarà costato questo processo. Diecimila € bastano? E quante sono le vertenze cui i legali sono più o meno costretti a patrocinare che allo Stato costano in termini di impegno di strutture e di personale. Pensate alal assurdità della rgsitrazioej delle sentenze; basta con la imposta di registro.
    Una marca e via. Centinaia di persone preposte a registrare le sentenze, trasferire falodni, controllare tutti i fascicoli: e fare imbestialire per spese assurde. Passando alla efficebnsa della Giustizia civile personalmente ritengo che il 60/70% delle sentenze sono profondamente ingiuste, formali e penalizzanti per le persone per bene, che premiano i disonesti che non fanno che stropicciarsi le mani. Grazie giudici civili.



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