Estratto dalla Rassegna della giurisprudenza di legittimità predisposta dall’Ufficio del Massimario
LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DALLA LEGGE
(di Paolo Spaziani)
SOMMARIO: 1. La gestione di affari. – 2. Il pagamento dell’indebito. – 3. L’arrichimento senza causa.
1. La gestione di affari. Per unanime opinione dottrinale la negotiorum gestio (che può essere rappresentativa o non rappresentativa secondo che il gestore agisca in nome del gerito o in nome proprio) deve essere ricondotta allo schema del mandato, in quanto la relativa disciplina codicistica trova fondamento proprio nell’esigenza di estendere le regole del mandato alle fattispecie in cui manca un incarico espresso da parte del dominus.
Movendo da tale premessa dogmatica – e dopo aver rammentato che i presupposti della gestione sono la c.d. absentia domini (da intendersi non in senso tradizionale ma nel senso di contingente impedimento a provvedere personalmente all’affare), la consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui in assenza di un obbligo giuridico di provvedervi, la mancanza di una prohibitio domini e l’utilità iniziale della gestione (cd. utiliter coeptum) – Sez. 2, n. 22302/2016, Bucciante, in corso di massimazione, ha ritenuto che concreti una gestione non rappresentativa il conferimento ad un avvocato dell’incarico di tutelare i diritti di una persona che versi in una situazione transitoria di incapacità naturale, trandone il corollario per cui il professionista può essere tenuto a restituire alla persona difesa le somme indebitamente corrispostegli dal soggetto che lo ha incaricato, atteso che, in applicazione della regola che consente al mandante, sostituendosi al mandatario, di esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (art. 1705 c.c.), deve riconoscersi al gerito la legittimazione attiva a ripetere nei confronti dell’accipiens il pagamento indebito eseguito dal gestore.
2. Il pagamento dell’indebito. In tema di indebito oggettivo, movendo dalla formulazione letterale dell’art. 2033 c.c. che collega la genesi dell’obbligazione restitutoria al pagamento non dovuto, Sez. 1, n. 25170/2016, Di Marzio M., in corso di massimazione, discostandosi consapevolmente dall’orientamento dottrinale secondo il quale il soggetto passivo dell’obbligazione va individuato non nell’accipiens materiale ma nel soggetto che ha effettivamente ricevuto l’incremento patrimoniale, ha ribadito il consolidato principio secondo cui la legittimazione passiva all’azione di ripetizione compete esclusivamente al soggetto che ha ricevuto la somma che si assume essere non dovuta.
In tale prospettiva è stato peraltro chiarito (da Sez. 6-3, n. 17705/2016, Rossetti, Rv. 641422) che il pagamento dell’indebito a persona defunta, ma ritenuta vivente dal solvens, fa sorgere l’obbligo di restituzione in capo a colui che di fatto si avvalga di quella somma, essendo solo quest’ultimo il soggetto che, con la materiale apprensione del pagamento, acquista la qualità di accipiens e, con essa, l’obbligo di restituire quanto acquisito. In base a questo principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che – in relazione alla domanda di ripetizione proposta da un istituto di credito, il quale per anni aveva erogato, per conto dell’INPS, la pensione ad un soggetto defunto mediante accredito su un conto corrente cointestato a quest’ultimo e ad un terzo – aveva ritenuto l’obbligo restitutorio trasferito dal beneficiario defunto ai suoi eredi, anziché sorto direttamente ed esclusivamente in capo al terzo cointestatario che aveva prelevato le somme indebitamente erogate.
In ordine ai presupposti dell’azione, Sez. L, n. 25270/2016, Manna A., in corso di massimazione, ha affermato che essa presuppone sempre una prestazione positiva (un facere o un dare) in precedenza indebitamente eseguita dal solvens che agisce in ripetizione, per escludere che possa essere qualificata in tali termini la domanda di pagamento di somme di danaro (corrispondenti agli incentivi all’esodo precedentemente erogati) proposta dai dipendenti contro la società datrice di lavoro, la quale abbia esercitato, mediante compensazione impropria operata all’atto della corresponsione del TFR, l’asserito diritto di ottenere la restituzione dei predetti incentivi. La pronuncia precisa che la domanda in parola va piuttosto qualificata come azione di inesatto adempimento del debito per TFR gravante sul datore di lavoro, ed è come tale assoggettata al termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 5, c.c. e non al termine decennale previsto per l’azione di cui all’art. 2033 c.c.
In tema di prescrizione dell’azione di indebito oggettivo, Sez. 1, n. 10713/2016, Lamorgese, Rv. 639791, ha statuito che l’azione restitutoria proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti sono stati eseguiti in pendenza del rapporto, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
Sempre in tema di prescrizione, Sez. 3, n. 07749/2016, Carluccio, Rv. 639493, ha affermato che in caso di nullità di un contratto per impossibilità giuridica originaria del suo oggetto, l’azione di ripetizione dell’indebito, esperibile in relazione all’avvenuto versamento del corrispettivo, deve essere esercitata entro dieci anni dalla data del pagamento, non ostando al decorso della prescrizione l’assenza di un giudicato in ordine alla nullità contrattuale.
Sotto il profilo dei limiti all’esperibilità dell’azione di ripetizione in relazione alle prestazioni spontaneamente eseguite in esecuzione di doveri morali o sociali, Sez. 2, n. 19578/2016, Cosentino, Rv. 641356, si è soffermata sui caratteri dell’obbligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., che si distingue dalla liberalità fatta per riconoscenza nei confronti del beneficiario (cd. donazione rimuneratoria) e la cui sussistenza postula una duplice indagine, finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
Ai fini del dies a quo della decorrenza degli interessi spettanti al solvens che agisce fondatamente in ripetizione, Sez. 6-3, n. 23543/2016, Scrima, in corso di massimazione, ha ritenuto che la buona fede dell’accipiens, rilevante per limitare la predetta decorrenza alla data della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell’effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non essendo applicabile l’art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso; la pronuncia in rassegna ha inoltre chiarito che, poiché la buona fede è presunta, grava sul solvens, che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l’onere di dimostrare la malafede dell’accipiens all’atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza dell’insussistenza di un suo diritto a conseguirla.
Sotto il profilo processuale, Sez. 3, n. 19631/2016, Olivieri, in corso di massimazione, ha statuito che nell’ipotesi di azione di ripetizione di somme per indebito oggettivo, fondato sull’affermazione che, pur nella sussistenza di uno specifico rapporto obbligatorio tra le parti, le somme richieste in ripetizione non sono dovute per mancata giustificazione del pagamento eccedente la causa di scambio, la difesa del convenuto assume natura di mera difesa se volta a negare il fatto costitutivo della domanda, mentre si atteggia quale eccezione riconvenzionale di merito se rivolta ad individuare un autonomo titolo contrattuale giustificativo del pagamento contestato. Ne consegue che nella seconda ipotesi, ampliandosi il thema decidendum, l’eccezione riconvenzionale deve essere fatta valere nel rispetto delle preclusioni processuali.
La Suprema Corte, con Sez. U, n. 01837/2016, Iacobellis, Rv. 638223, ha infine affermato un importante principio in tema di imposta di consumo per il gas metano, statuendo che la domanda di ripetizione proposta dal consumatore verso il fornitore per quanto indebitamente pagato a causa della mancata applicazione dell’aliquota ridotta per usi industriali può essere accolta con decorrenza dalla data di presentazione della relativa istanza all’autorità finanziaria e non da un momento anteriore, posto che il godimento del beneficio è subordinato alla dimostrazione della sussistenza dei presupposti da parte del contribuente e alla verifica dei medesimi da parte dell’autorità competente, ciò che riverbera i suoi effetti anche nel rapporto privatistico tra consumatore e fornitore.
3. L’arricchimento senza causa. Con riguardo ai presupposti dell’azione generale di arricchimento (identificati, ai sensi dell’art. 2041, comma 1, c.c., nell’arricchimento di un soggetto, nel correlativo impoverimento di un altro soggetto e nella mancanza di una giusta causa), Sez. 2, n. 07331/2016, Falabella, Rv. 639455, ha statuito che quest’ultimo presupposto non è invocabile allorché l’arricchimento (nella specie, l’assegnazione di un alloggio realizzato da una cooperativa edilizia) dipenda da un atto di disposizione volontaria (nella specie, la cessione, in favore dell’assegnatario, delle quote della società cooperativa), finché questo conservi la propria efficacia obbligatoria.
Con riguardo agli effetti dell’ingiustificato arricchimento (consistenti nell’obbligo di indennizzo o in quello di restituzione, ai sensi dell’art. 2041, commi 1 e 2, c.c.), Sez. 1, n. 14526/2016, De Chiara, Rv. 640504, ha affermato che, ove l’arricchimento sia conseguito all’assenza di un valido contratto di appalto, l’indennità prevista dall’art. 2041, comma 1, c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita da chi ha eseguito la prestazione, con esclusione di quanto questi avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.
Avuto riguardo al carattere sussidiario dell’azione di arricchimento (art. 2042 c.c.), Sez. 6-3, n. 12242/2016, De Stefano, Rv. 640266, ha ritenuto l’inammissibilità di quella proposta nei confronti dell’aggiudicatario dal debitore esecutato, in ragione delle opere eseguite sul bene pignorato durante il processo esecutivo, dovendo le relative questioni essere tempestivamente dedotte con gli strumenti propri di tale processo.
Sotto il profilo processuale, infine, Sez. 1, n. 18693/2016, Campanile, Rv. 611346, ha statuito che in caso di rigetto della domanda di arricchimento senza causa, proposta per la prima volta dal creditore opposto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso con riguardo alla sua domanda di adempimento, senza che la relativa statuizione sia stata impugnata con ricorso incidentale da parte del preteso arricchito, unico soggetto interessato alla sua eventuale censurabilità, si forma il giudicato implicito sulla questione pregiudiziale relativa alla proponibilità della domanda ex art. 2041 c.c., costituendo la mancata impugnazione sintomo di un comportamento incompatibile con la volontà di far valere in sede di impugnazione la questione pregiudiziale (che dà luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall’art. 279, comma 2, n. 2 e 4, c.p.c.), verificandosi il fenomeno dell’acquiescenza per incompatibilità, con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 324 e 329, comma 2, c.p.c., in coerenza con i principi dell’economia processuale e della durata ragionevole del processo, di cui all’art. 111 Cost.
Ultimi commenti