CAPITOLO XXXVI
LE PROVE
(di Rosaria Giordano)
SOMMARIO: 1. Principio di non contestazione. – 2. Onere della prova. – 2.1.
Controversie in materia di obbligazioni. – 2.2. Controversie in tema di responsabilità extracontrattuale. – 2.3. Controversie in materia di lavoro. – 2.4. Opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia. – 2.5. Parità delle armi tra le parti ed attenuazione della regola dell’onere della prova. –
1. Principio di non contestazione. La necessità di provare
attiene ai soli fatti, tra quelli allegati in giudizio, controversi tra le
parti.
Alla stregua di quanto ribadito da Sez. 3, n. 21176/2015,
Rubino, Rv. 637493, invero, il principio di non contestazione mira
proprio a selezionare i fatti pacifici ed a separarli da quelli
controversi, per i quali soltanto si pone l’esigenza dell’istruzione
probatoria.
Come noto, l’art. 115 c.p.c. è stato novellato dalla legge 18
giugno 2009, n. 69, nel senso che i fatti non specificamente
contestati dalla parte costituita possono essere posti dal giudice a
fondamento della decisione senza che occorra dimostrarli. Ne
consegue che una contestazione generica – rispetto a fatti oggetto di
specifica e puntuale allegazione ad opera dell’altra parte e rientranti
nella sfera di conoscibilità di chi è onerato della contestazione – è
priva di qualsivoglia effetto.
Sulla questione, Sez. 3, n. 19896/2015, Rossetti, Rv. 637316,
ha precisato che, anche nei giudizi promossi prima dell’introduzione
formale del principio di non contestazione mediante la predetta
modifica dell’art. 115 c.p.c., è imposto al convenuto di prendere
posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a
fondamento della propria domanda, in virtù dell’art. 167 c.p.c.,
sicché quei fatti debbono darsi per ammessi, senza necessità di
prova, quando il convenuto nella comparsa di costituzione e
risposta si sia limitato a negare genericamente la “sussistenza dei
presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda dell’attore,
senza alcuna contestazione chiara e specifica della stessa.
2. Onere della prova. L’art. 2697 c.c., in tema di riparto
dell’onere probatorio tra le parti del giudizio, può assurgere a
criterio di decisione dei fatti controversi, nell’ipotesi di mancata
prova.
Invero, il divieto di non liquet posto in capo al giudice
determina, in ogni sistema giuridico, l’esigenza di individuare una
regola di giudizio che ripartisca il rischio della mancata prova tra le
parti, affinché, nell’ipotesi in cui manchi, anche in via presuntiva, la
dimostrazione dell’esistenza di un fatto idoneo a produrre
determinate conseguenze giuridiche, la carenza di prova venga posta
a carico della parte alla quale spettava l’onere di provare la
sussistenza dello stesso.
La fondamentale importanza delle regole in materia di onere
della prova è confermata dalla particolare attenzione riservata alla
medesima nella giurisprudenza di legittimità in diversi ambiti.
2.1. Controversie in materia di obbligazioni. Si segnala, in
primo luogo, Sez. 3, n. 01455/2015, Carluccio, Rv. 634067, la quale
ha chiarito che, nelle controversie aventi ad oggetto l’estinzione
dell’obbligazione per modi diversi dall’adempimento, la restituzione
volontaria al debitore del titolo originale del credito, da parte del
creditore, vale come liberazione dall’obbligazione, in conformità alla
valutazione legale tipica del suddetto comportamento prevista
dall’art. 1237, comma 1, c.c., a condizione che il debitore, secondo il
principio generale posto dall’art. 2697 c.c., provi la volontarietà della
restituzione da parte del creditore o da persona ad esso riferibile.
Inoltre, Sez. 2, n. 07820/2015, Proto, Rv. 635232, ha statuito
che, nell’ipotesi di cessione pro solvendo di cambiali in luogo
dell’adempimento, l’estinzione dell’obbligazione originaria si verifica
solo con la riscossione del credito verso il debitore ceduto, con
conseguente onere di quest’ultimo, in applicazione dell’art. 2697,
comma 2, c.c., di provare non solo la cessione, ma anche
l’intervenuta estinzione del debito.
2.2. Controversie in tema di responsabilità
extracontrattuale. Principi significativi sono stati affermati anche
in tema di onere della prova della responsabilità extracontrattuale.
Invero, Sez. 3, n. 08989/2015, Scarano, Rv. 635339, ha
precisato che nell’attività medico-chirurgica, allorché risulti accertata
una condotta negligente che depone per la responsabilità del medico
operante e, conseguentemente, della struttura sanitaria, spetta
all’uno ed all’altra, in applicazione del principio della “vicinanza
della prova”, dimostrare che il risultato anomalo o anormale,
rispetto al convenuto esito dell’intervento, sia dipeso da un evento
imprevedibile, non superabile con l’adeguata diligenza.
Con riferimento alla prova del danno patrimoniale da lucro
cessante per riduzione della capacità lavorativa specifica, nell’ipotesi
di illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, Sez. 3, n.
02758/2015, D’Amico, Rv. 634401, ha statuito che il danneggiato è
tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere, al
momento dell’infortunio, un’attività produttiva di reddito e di non
aver mantenuto, dopo di esso, una capacità generica di attendere ad
altri lavori confacenti alle sue attitudini personali.
Sotto altro profilo, Sez. 1, n. 25921/2015, Valitutti, in corso
di massimazione, ha ribadito che, sebbene ai sensi dell’art. 2600,
comma 3, c.c., a fronte dell’accertamento di concreti fatti materiali
di concorrenza sleale, opera una presunzione di colpa a carico
dell’autore del fatto materialmente antigiuridico, tuttavia incombe su
colui il quale fa valere la responsabilità la prova della sussistenza del
danno, che non può considerarsi derivante in re ipsa dai predetti
fatti.
2.3. Controversie in materia di lavoro. Sez. L, n.
01335/2015, Amendola, Rv. 634303, ha precisato che, in tema di
collocamento obbligatorio, il lavoratore che impugni la mancata
assunzione deve dedurre e provare esclusivamente l’iscrizione
nell’albo di cui alla l. 29 marzo 1985, n. 113, e l’esistenza di un atto
di avviamento al lavoro, mentre è onere del datore di lavoro provare
l’insussistenza nella propria organizzazione del posto
corrispondente alla mansione assegnata al lavoratore.
Sotto altro profilo, Sez. L, n. 04601/2015, Bronzini, Rv.
634850, ha statuito che l’onere di allegare e provare l’insieme dei
fatti integranti un trasferimento di ramo d’azienda incombe sul
datore di lavoro cedente che intenda avvalersi degli effetti previsti
dall’art. 2112 c.c., trattandosi di eccezione al principio generale del
necessario consenso del lavoratore ceduto.
Con riferimento al giudizio di impugnazione del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Sez. L, n.
04460/2015, Roselli, Rv. 634596, ha affermato il rilevante principio
per il quale, atteso che la causa petendi è costituita dall’inesistenza dei
fatti giustificativi del potere spettante al datore di lavoro, grava su
quest’ultimo l’onere di provare la concreta sussistenza delle ragioni
inerenti all’attività produttiva e l’impossibilità di utilizzare il
lavoratore licenziato in altre mansioni compatibili con la qualifica
rivestita, senza che l’indicazione, da parte del lavoratore che si sia
fatto parte diligente, di un posto di lavoro alternativo a lui
assegnabile, o l’allegazione di circostanze idonee a comprovare
l’insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento, comporti
l’inversione dell’onere della prova.
2.4. Opposizione a sanzioni amministrative irrogate
dalla Banca d’Italia. Peculiari e sotto alcuni profili innovativi sono
i principi enunciati da Sez. 1, n. 22848/2015, Nazzicone, in corso di
massimazione, per la quale, in tema di sanzioni amministrative
irrogate dalla Banca d’Italia ai consiglieri non esecutivi delle società
bancarie, il soggetto che afferma la responsabilità è tenuto ad
allegare e provare l’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero
dovuti indurli, in ragione del dovere di agire informati posto dall’art.
2381, commi 3 e 6, e dall’art. 2392 c.c., anche in considerazione dei
requisiti di professionalità richiesti dall’art. 26 del d.lgs. 1 settembre
1993, n. 385, ad esigere un supplemento di informazioni o ad
attivarsi in altro modo, mentre, assolto tale onere, spetta agli
amministratori dimostrare di avere tenuto la condotta attiva dovuta
o la causa esterna che abbia reso non percepibili quei segnali o
impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno,
in quanto in materia di sanzioni amministrative l’art. 3 della l. 24
novembre 1981, n. 689, pone una presunzione di colpa a carico
dell’autore del fatto vietato.
2.5. Parità delle armi tra le parti ed attenuazione della
regola dell’onere della prova. La Corte non ha trascurato di
ribadire che la regola generale posta dall’art. 2697 c.c. in tema di
riparto dell’onere della prova può essere attenuata quando una
rigida applicazione della stessa potrebbe condurre a risultati
sostanzialmente iniqui.
Si segnala, in tale prospettiva, Sez. 6-1, n. 04262/2015,
Acierno, Rv. 634731, la quale ha espressamente affermato che
l’onere della prova gravante sul richiedente lo status di apolide deve
ritenersi attenuato, poiché quest’ultimo, oltre a godere della titolarità
dei diritti della persona la cui attribuzione è svincolata dal possesso
della cittadinanza, beneficia, in base ad una interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa vigente, di un
trattamento giuridico analogo a quello riconosciuto ai cittadini
stranieri titolari di una misura di protezione internazionale, di talché
eventuali lacune o necessità di integrazioni istruttorie per la suddetta
dimostrazione possono essere colmate mediante l’esercizio di
poteri-doveri officiosi da parte del giudice, che può richiedere
informazioni o documentazione alle autorità pubbliche competenti
dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale
possa ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente
medesimo.
Estratto da Rassegna della giurisprudenza di legittimità. Gli orientamenti delle Sezioni Civili – Anno 2015.
Buona sera avvocato, la leggittimità che invoca include anche la corte di cassazione?
saluti
@Lino: è solo Cassazione
Egr. Avv. buonasera,
nel caso di una controversia a riguardo di un prestito non restituito, come “funziona” questo discorso dell'”onere della prova”, art.2697 primo comma, cod. civ.? In pratica, se ho ben capito, io nonostante avessi in mano la tracciabilità di un assegno, a riguardo di un prestito elargito da parte mia senza nessuna prova scritta, ma il mio presunto debitore nega che ci sia stato un contratto di mutuo e giustifica la dazione di denaro avvenuta con l’assegno per altri motivi, tocca a me fornire la cosiddetta “prova regina” o “onere della prova”? E se in mano non ho nulla, ma solo la dazione di questo assegno? Grazie per l’eventuale risposta e cordiali saluti. Alessandro
@Alessandro: purtroppo in questi casi l’onere della prova grava su chi ha fatto il prestito