L’associazione professionale ha la legittimazione ad agire per il recupero del credito della prestazione professionale svolta dall’associato?

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Interessante sentenza del Tribunale di Genova che risponde affermativamente al quesito, anche se, nel caso di specie la domanda è stata rigettata in quanto l’associazione non aveva in alcun modo allegato gli elementi per i quali, a fronte di un’attività svolta da un professionista singolo, sarebbe sorto un credito in capo allo studio associato.

Ma la sentenza si segnala anche per un’altra ragione. Fissata l’udienza di PC si costituisce il singolo professionista, nei confronti del quale il debitore opposto estende la domanda riconvenzionale di risarcimento danni già avanzata nei confronti dell’associazione opposta. L’intervento viene giudicato ammissibile siccome tempestivo (essendo avvenuto prima della PC), fermo restando che il terzo deve svolgere la propria domanda sulla base di quanto già allegato e provato, o da provarsi dalle parti originarie.

Secondo il Tribunale non si oppone all’intervento il difetto originario di legittimazione passiva del ricorrente in quanto il difetto in questione non attiene alla capacità processuale, in difetto della quale difetterebbe un processo valido nel quale il terzo possa intervenire, ma ad una condizione dell’azione, ovvero ad un elemento che, sino all’ultimo, può intervenire colmando, nel processo, la lacuna originaria (Cass. civ., 21/04/1983, n. 2741). Il processo di cognizione derivante dall’atto di opposizione relativo all’accertamento del credito è quindi destinato a proseguire “a soggetto variato”, fino a decisione di merito.

Il Tribunale passa poi a valutare la tempestività della estensione verso il terzo della domanda riconvenzionale attorea. Per il giudice di merito la disposizione dell’art. 167 c.p.c., la quale prescrive la proposizione delle domande riconvenzionali con la comparsa di risposta, considera soltanto l’ipotesi ordinaria di un giudizio e non può essere applicata letteralmente nel caso in cui dopo lo scambio delle prime difese tra le parti originarie intervenga un terzo proponendo proprie domande contro il convenuto; in questa ipotesi la comparsa di risposta, indicata per il suddetto scopo dalla richiamata norma, è costituita dal primo atto successivo all’intervento nel quale il convenuto risponde alle domande dell’interveniente; infatti rispetto alle nuove istanze del terzo è questo l’atto che esercita le funzioni della comparsa di risposta e di conseguenza nessuna rilevanza può attribuirsi ad una sua diversa denominazione (Cass. civ., Sez. III, 29/10/1970, n. 2245).

All’esito del processo il Tribunale così decide:

DICHIARA il difetto di legittimazione attiva dello Studio Associato convenuto opposto e per l’effetto,
REVOCA il decreto ingiuntivo opposto e
DICHIARA inammissibile la domanda riconvenzionale svolta avverso lo Studio Associato,
DICHIARA tempestivo l’intervento del terzo dott. C.,
DICHIARA estesa la domanda riconvenzionale del convenuto opposto al terzo intervenuto.
CONDANNA lo Studio associato opposto alla rifusione delle spese di lite dell’attore opponente fino all’intervento di terzo.

Tribunale Genova, sez. II 22/04/2011

Lo Studio Associato in intestazione ha ottenuto il decreto ingiuntivo opposto per la soddisfazione di un credito maturato in ragione di prestazione resa da un associato, per incidens anche legale rappresentante dell’associazione.
La prestazione consisteva nell’assistenza nelle negoziazioni necessarie a che la società attrice opponente rilevasse il noto ristorante cittadino “Ed.” sito nel quartiere di XX, in locale adiacente allo stadio del calcio.
Particolare rilievo assumeva tra le prestazioni la cura delle pratiche necessarie ad ottenere un finanziamento da parte di S. I. s.p.a., (di seguito SVI).
Il decreto è stato opposto dalla XYALFA con difese sia preliminari che di merito e con domanda riconvenzionale.
In particolare la società convenuta disconosceva ogni rapporto col soggetto attore, affermando di averne avuti solo con il singolo professionista, che invece aveva agito nella qualità di rappresentante dello Studio.
La convenuta poneva in dubbio la stessa rilevanza esterna dell’accordo associativo in forza del quale era stata esercitata l’azione, e, per conseguenza, la capacità processuale, e la stessa giuridica esistenza del soggetto attore.
Nel merito deduceva che la prestazione professionale era stata resa con negligenza, e, in particolare senza avvisare i clienti del rischio di “intoppo” nel finanziamento per l’indicazione, nella compagine sociale, di persona “protestata”, e senza coordinare i tempi di attuazione del compromesso colle effettive possibilità finanziarie dei soci, sicché, in definitiva, l’affare era sfumato, costringendo Le Soddisfazione ad acquistare ben più modesto locale in Serra Riccò.
Concludendo nel merito la convenuta insisteva perché, ove superate le questioni preliminari connesse alla natura soggettiva del ricorrente, fosse dichiarata la responsabilità contrattuale del convenuto opposto, venisse disconosciuto il suo diritto al compenso professionale, ed invece riconosciuto quello al risarcimento del danno in capo all’opponente.
Senza istruttoria la causa è stata rimessa in decisione per la discussione delle questioni preliminari ex art. 281 sexies, con concessione di memorie
Prima della prima udienza di discussione (25.3.11) nel giudizio è intervenuto in via individuale, con memoria depositata in cancelleria, il professionista che concretamente aveva reso la prestazione contestata.
A seguito di tale intervento tuttavia le parti, avvedendosi che la precisazione delle conclusioni appena effettuata con mero richiamo agli atti introduttivi (che non contemplavano la posizione del terzo intervenuto), chiedevano rinvio dell’udienza e concessione di nuova memoria conclusiva e fissazione di nuova udienza di PC e discussione.
Conformemente disponeva il giudice.
Nelle memorie nuovamente concesse, poi richiamate all’udienza di discussione del 15.4.11 parte attrice opponente contestava la tempestività dell’intervento ed estendeva la domanda riconvenzionale al terzo intervenuto, il quale all’atto stesso dell’intervento aveva tuttavia dichiarato di non accettare il contraddittorio sulla domanda riconvenzionale.
La causa passa in decisione nello stato suddetto.
La difesa preliminare, da esaminarsi prima di dar corso all’istruttoria, impone una premessa in tema di soggettività dello studio associato di professionisti, e sulla sua capacità di escutere i crediti dei professionisti aderenti.
Il Tribunale ritiene in proposito che, rimosso il divieto legale di esercizio della professione in forma associata (legge 1815/39), introdotto un modello tipico di società per l’esercizio della professione di Avvocato (d.lvo 96/01), non si possa più negare che il fenomeno dello stabile associarsi, a mezzo di specifico accordo, di diversi professionisti, a fini economici e di sostegno dell’attività dagli stessi svolti, dia luogo ad un soggetto di diritto. (Tribunale Milano, 14/02/1991; Cassazione civile, sez. I, 23/05/1997, n. 4628; – Cassazione civile, sez. III, 13/04/2007, n. 8853 – Cassazione civile, sez. I, 28/07/2010, n. 17683 -quest’ultima con massimazione non interamente condivisa nel contenuto in obiter dal Tribunale).
È ben vero che nell’ordinamento italiano la soggettività può derivare anche dal mero fatto, ma sempre rapportato ad un modello generale tipico previsto dalla legge, ma pare altrettanto vero il che il modello della società semplice (oltre la differenza meramente nominalistica) si presta perfettamente a fornire il riferimento minimo normativo cui collegare il fenomeno dello stabile associarsi di professionisti per l’esercizio della loro attività. (- Tribunale Milano, 14/02/1991- Trib. Tortona, 11/06/2007- Cassazione civile, sez. I, 23/05/1997, n. 4628, Giur. it. 1998, 88, Societa’ 1997, 1144,annotata).
Non vi è infatti dubbio che le c.d. associazioni professionali abbiano ad oggetto una attività economica e prevedano la divisione degli utili.
Pare tuttavia che “l’attività comune” gestita dai menzionati soggetti non possa essere “direttamente” il contratto d’opera professionale, ma solo essere “lo sfruttamento economico comune dell’attività professionale dei singoli” da realizzarsi erogando ai medesimi un determinato supporto (e sopportandone i relativi costi) ed ottenendone in cambio il conferimento dei crediti maturati, da ripartirsi poi secondo gli accordi sociali.
Come sostenuto da autorevole dottrina, in contrario alla possibile titolarità del mandato in capo al soggetto collettivo militano il dato letterale dell’art. 2232 del c.c., che espressamente impone il carattere personale della prestazione, il riferimento -necessariamente personale- al “decoro della professione” quale criterio di determinazione del compenso nonché il chiaro riferimento analogico offerto dell’art. 34 del d.lvo 96/01 per il modello prototipico degli avvocati.
La numerosissima giurisprudenza conforme non viene analizzata perché attiene invero in massima parte a fattispeci antecedenti all’abolizione del divieto di esercizio in forma collettiva della professione, nondimeno l’amplissima tradizione giurisprudenziale sul punto pare ancora valida. (- Cassazione civile, sez. I, 12/03/1987, n. 2555- Tribunale Cagliari, 05/03/1993 – Cassazione civile, sez. II, 10/07/2006, n. 15633-)
Il divieto di titolarità del mandato professionale in capo allo studio associato non implica che i crediti derivanti dall’attività professionale già svolta dagli associati, crediti aventi ormai natura meramente pecuniaria, non possano essere trasferiti in capo al soggetto collettivo. Non pare si possa neppure escludere che tale trasferimento sia stabilito una volta per tutte dalle parti con contratto di associazione.
È ben vero che la cessione del credito richiede la notifica al debitore ceduto, ma è altrettanto vero che la formalità non ha finalità costitutiva, ma ha il solo fine di dirimere il contrasto tra diversi possibili acquirenti del credito e di escludere che il debitore ceduto possa liberarsi pagando l’originario creditore, ovvero il professionista singolo.
Fatte le suddette premesse, nel caso di specie, non si può ritenere alcuna forma di inesistenza o di incapacità del soggetto originario ricorrente e parte creditrice nel decreto ingiuntivo opposto in ordine alla controversia concretamente introdotta.
Nondimeno, state la necessaria personalità del mandato professionale, il sorgere del credito in capo allo studio associato, anziché al professionista incaricato, non appare un effetto naturale dell’appartenenza di quest’ultimo alla associazione. Il trasferimento del credito potrebbe sussistere, oppure no. Si noti che quanto sopra vale tanto per l’attività “riservata”, quanto per la restante. Anche le prestazioni d’opera “non professionali” determinano in prima battuta il sorgere del credito in capo a chi agisce, a meno che le stesse non siano “diretto oggetto sociale” dello studio associato, sicché si possa ritenere che il singolo agisce in rappresentanza dell’ente (art. 2266 comma 2 del cc).
In forza di quanto sopra l’atto introduttivo del giudizio (il ricorso monitorio) avrebbe dovuto contenere l’allegazione degli elementi per i quali, a fronte di un’attività svolta da un professionista singolo, sarebbe sorto un credito in capo allo studio associato.
Di tali elementi non c’è menzione alcuna nella narrativa del ricorso. Essa si limita a descrivere l’attività del dott. C. e ad affermare che, svolta la stessa, sarebbe sorto un credito in capo allo Studio Associato e compie tale affermazione omisso medio. L’affermazione invece non è scontata,né implicita nel palesarsi in giudizio dello studio associato, infatti non è detto che esso sia necessaria né titolare fin dall’origine né cessionario del credito.
La conseguenza di quanto sopra è il defetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente. Il ricorrente, soggetto esistente, dotato di capacità processuale in quanto tale, ente distinto dai singoli professionisti che lo compongono, agisce per il recupero di un credito siccome proprio. Tuttavia, in actis, espone solo fatti idonei a far sorgere il credito in capo ad un altro soggetto: il dott. C. come professionista singolo. In altre parole lo Studio agisce per la soddisfazione di un diritto non suo, che egli stesso descrive come tale. È il caso tipico del difetto della legittimatio ad causam.
Nella suddetta situazione il decreto non doveva essere emesso, e, poiché è stato emesso, va revocato in accoglimento dell’eccezione relativa al difetto di legittimazione attiva.
La suddetta eccezione, sollevata a verbale e non colla costituzione attorea, non è tardiva posto che il difetto di una condizione dell’azione, quale è la legittimazione ad agire, può esser rilevata anche d’ufficio, e senza limiti di fase processuale.
Il processo di opposizione al decreto termina qui, colla revoca del decreto ingiuntivo opposto e la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale siccome diretta avverso a soggetto privo di legittimazione passiva in ordine alla stessa.
Trattandosi in parte qua di pronuncia definitiva, va emessa condanna dell’opposto alle spese di lite in favore
Si deve tuttavia dare atto che in causa è stato spiegato, sia pure in limine, intervento volontario in via principale del C. quale professionista singolo.
Tale intervento appare senza meno ammissibile.
È pacifico infatti che l’intervento di terzo è possibile fino a precisazione conclusioni, colla sola particolarità che il terzo deve svolgere la propria domanda sulla base di quanto già allegato e provato, o da provarsi dalle parti originarie.
Non si oppone all’intervento il difetto originario di legittimazione passiva del ricorrente.
Il difetto in questione non attiene (come visto) alla capacità processuale, in difetto della quale difetterebbe un processo valido nel quale il terzo possa intervenire, ma ad una condizione dell’azione, ovvero ad un elemento che, sino all’ultimo, può intervenire colmando, nel processo, la lacuna originaria. (Cass. civ., 21/04/1983, n. 2741)
Il terzo quindi, effettivo legittimato, è intervenuto tempestivamente in un processo esistente, che, dal momento del passaggio alla fase di opposizione era un ordinario giudizio di cognizione sulla sussistenza del credito professionale.
Il processo di cognizione derivante dall’atto di opposizione relativo all’accertamento del credito è quindi destinato a proseguire “a soggetto variato”, fino a decisione di merito.
La domanda riconvenzionale attorea è stata validamente estesa al terzo intervenuto.
Vale in materia il seguente principio.
La disposizione dell’art. 167 c.p.c., la quale prescrive la proposizione delle domande riconvenzionali con la comparsa di risposta, considera soltanto l’ipotesi ordinaria di un giudizio e non può essere applicata letteralmente nel caso in cui dopo lo scambio delle prime difese tra le parti originarie intervenga un terzo proponendo proprie domande contro il convenuto; in questa ipotesi la comparsa di risposta, indicata per il suddetto scopo dalla richiamata norma, è costituita dal primo atto successivo all’intervento nel quale il convenuto risponde alle domande dell’interveniente; infatti rispetto alle nuove istanze del terzo è questo l’atto che esercita le funzioni della comparsa di risposta e di conseguenza nessuna rilevanza può attribuirsi ad una sua diversa denominazione.
Cass. civ., Sez. III, 29/10/1970, n. 2245
Nel caso il primo atto attoreo successivo all’intervento sono le seconde memorie scritte finali autorizzate.
Nulla vale in contrario che, in apertura della prima udienza di discussione, le parti abbiano effettuato una prima precisazione delle conclusioni.
L’atto di precisazione risulta infatti concordemente rinunciato mediante la richiesta concorde al giudice di non procedere alla decisione, ma di concedere termine per memorie.
Concesso il termine l’attrice opponente ha legittimamente esteso la domanda riconvenzionale.

PQM

Il tribunale, visto l’art. 281 sexies del c.p.c., ogni contraria istanza disattesa, definitivamente pronunciando in relazione alla causa di opposizione a DI, non definitivamente pronunciando in relazione alla posizione del terzo intervenuto,
DICHIARA il difetto di legittimazione attiva dello Studio Associato convenuto opposto e per l’effetto,
REVOCA il decreto ingiuntivo opposto e
DICHIARA inammissibile la domanda riconvenzionale svolta avverso lo Studio Associato,
DICHIARA tempestivo l’intervento del terzo dott. C.,
DICHIARA estesa la domanda riconvenzionale del convenuto opposto al terzo intervenuto.
CONDANNA lo Studio Commercialisti e Consulenti Associati detto in epigrafe alla rifusione delle spese di lite dell’attore opponente fino all’intervento di terzo, spese che si liquidano in euro 1.170,00 per diritti, euro 1.800,00 per onorari ed euro 93,00 per esborsi non imponibili, oltre a rimborso forfetario iva e cpa.
Genova 22.4.11
IL GIUDICE Dott. P. Gibelli


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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Un commento:

  1. Maria Grazia Socci

    Non trovo nella banca dati giuridica la sentenza a cui fa riferimento l’articolo.
    E’ possibile averne una copia, per favore?
    Grazie.



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