Intervento dei nonni nel giudizio di separazione: l’opinione favorevole del Tribunale di Firenze

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A differenza del Tribunale di Salerno, quello di Firenze ammette l’intervento adesivo dei nonni per sostenere la domanda del genitore volta a far mantenere, nell’interesse del minore, i rapporti con gli ascendenti.

Queste in sintesi le argomentazioni:

  • sebbene l’art. 150 c.c. riconosca la legittimazione ad agire unicamente ai coniugi, purtuttavia l’esistenza di un preciso interesse dei minori a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale – configurato ora dall’art. 155 c.c., come novellato dalla L. 54/2006, quale espresso diritto della prole – induce a far ritenere ammissibile, in relazione esclusivamente alla realizzazione di tale diritto, la possibilità di un intervento adesivo – nella specie rispetto alla domanda in tal senso formulata dalla madre della minore – da parte degli ascendenti per far valere e ottenere il riconoscimento dello specifico diritto della minore alla conservazione dei rapporti con gli stessi; 
  • gli ascendenti hanno il diritto di impedire che si ripercuotano negativamente nella propria sfera giuridica, quale effetto riflesso del mancato riconoscimento del corrispondente diritto dei minori, le conseguenze dannose in caso di sconfitta della parte adiuvata (che è quanto caratterizza l’intervento adesivo dipendente: cfr. Cass. 7769/90; 12759/93; 4570/1988; 6431/81);
  • la nuova formulazione dell’art. 155 c.c. induce a ritenere che debba essere superato il precedente orientamento della Cassazione in base al quale oggetto del giudizio di separazione era unicamente l’accertamento della sussistenza dei presupposti della autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e nei rapporti dei coniugi stessi con i figli minori;
  • secondo l’attuale disposto dell’art. 155 c.c. costituisce esplicitamente oggetto del giudizio di separazione il “diritto del minore” al mantenimento di rapporti significativi da parte del figlio non solo con i genitori, ma anche con gli “ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
  • A fronte di tale previsione, secondo il Tribunale di Firenze, deve ritenersi ammissibile nel giudizio di separazione l’intervento degli ascendenti ai sensi dell’art. 105 II c.p.c., quali portatori di un proprio interesse – quello al mantenimento delle relazioni affettive e familiari, di rilievo costituzionale, in base agli artt. 2 e 29, come tale meritevole di protezione giuridica – per sostenere le ragioni fatte valere da una delle parti per l’attuazione del corrispondente e convergente diritto del minore.

Tribunale Firenze, 12 aprile 2006, sez. I

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 26.7.2003 I.B. adiva il Tribunale di Firenze chiedendo che venisse pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato in Firenze il 26.9.1992 con W. F., unione dalla quale era nata la figlia S., il (omissis), invocando l’applicazione dell’art. 3 n. 2 lett. b L. 1/12/1970 n. 898, come modificata dalla L. 6/3/1987 n. 74, chiedendo l’affidamento a sé della figlia, che venissero adottate cautele in relazione agli incontri della minore con il padre, e che venisse posto a carico del F. un contributo per il mantenimento di S. di euro 350 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie.
Si costituiva il resistente negando che vi fossero motivi per disporre cautele negli incontri tra padre e figlia e chiedendo la conferma dell’assegno già fissato in sede di separazione, corrispondente ad euro 277,00.
All’ udienza presidenziale del 4.12.2003, fallito il tentativo di conciliazione, la causa veniva rimessa dinanzi al G.I. designato, e quindi al Collegio che pronunciava sentenza parziale in punto di solo scioglimento del vincolo.
Veniva quindi disposta CTU psicologica e attivato un intervento di sostegno a mezzo del servizio sociale e di psicologia territorialmente competenti, con modifiche della regolamentazione dei rapporti tra S. e il padre, ed inoltre, su richiesta del padre, venivano poste limitazioni alla frequentazione tra la minore e la nonna paterna.
All’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni si costituiva la nonna paterna,G. C., che chiedeva al tribunale di stabilire tempi, modalità e durata delle visite e degli incontri fra la stessa e la minore S. F. secondo l’interesse della minore e comunque in modo diverso da quanto stabilito con l’ordinanza del 28.12.2004. Il F. eccepiva la tardività ed irritualità dell’intervento
La causa passava quindi in decisione sulle conclusioni trascritte in epigrafe con l’assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve essere in primo luogo rigettata l’eccezione sollevata dal F. circa la tardività dell’intervento della propria madre, considerato che l’intervento è avvenuto all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, entro la quale, ai sensi dell’art. 268 c.p.c. l’intervento può avvenire.
2. Con riferimento all’ulteriore eccezione sollevata dal convenuto circa l’irritualità del medesimo intervento, osserva il Collegio che sebbene l’art. 150 c.c. riconosca la legittimazione ad agire unicamente ai coniugi, purtuttavia l’esistenza di un preciso interesse dei minori a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale – configurato ora dall’art. 155 c.c., come novellato dalla L. 54/2006, quale espresso diritto della prole – induca a far ritenere ammissibile, in relazione esclusivamente alla realizzazione di tale diritto, la possibilità di un intervento adesivo – nella specie rispetto alla domanda in tal senso formulata dalla madre della minore – da parte degli ascendenti per far valere e ottenere il riconoscimento dello specifico diritto della minore alla conservazione dei rapporti con gli stessi. Ciò considerato l’interesse degli ascendenti ad impedire che si ripercuotano negativamente nella propria sfera giuridica, quale effetto riflesso del mancato riconoscimento del corrispondente diritto dei minori, conseguenze dannose in caso di sconfitta della parte adiuvata (che è quanto caratterizza l’intervento adesivo dipendente: cfr. Cass. 7769/90; 12759/93; 4570/1988; 6431/81)
Ad avviso del Tribunale la nuova formulazione dell’art. 155 c.c. induce a ritenere che debba essere superato il precedente orientamento della Cassazione in base al quale oggetto del giudizio di separazione era unicamente l’accertamento della sussistenza dei presupposti della autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e nei rapporti dei coniugi stessi con i figli minori. Secondo la Cassazione ciò comportava come necessaria conseguenza della delimitazione dell’oggetto del giudizio l’attribuzione della legittimazione ad agire esclusivamente ai coniugi con esclusione di ogni possibilità di intervento in giudizio da parte di altri parenti (Cass. Sez. I, sent. n. 364 del 17-01-1996). Per contro secondo l’attuale disposto dell’art. 155 c.c. costituisce esplicitamente oggetto del giudizio di separazione il “diritto del minore” al mantenimento di rapporti significativi da parte del figlio non solo con i genitori, ma anche con gli “ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale”. A fronte di tale previsione, secondo questo Tribunale, deve ritenersi ammissibile nel giudizio di separazione l’intervento degli ascendenti ai sensi dell’art. 105 II c.p.c., quali portatori di un proprio interesse – quello al mantenimento delle relazioni affettive e familiari, di rilievo costituzionale, in base agli artt. 2 e 29, come tale meritevole di protezione giuridica – per sostenere le ragioni fatte valere da una delle parti per l’attuazione del corrispondente e convergente diritto del minore.
Ritiene il Tribunale che tale possibilità di intervento debba riconoscersi anche per il presente giudizio, pur instaurato prima dell’entrata in vigore della L. 54/2006, in quanto siffatto “diritto del minore”, pur non esplicitato come tale al momento dell’intervento, doveva ritenersi, anche antecedentemente alla riforma, immanente nel giudizio, dovendo essere assunto ogni provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, e non essendo escluso l’intervento adesivo dalla presenza del P.M. a tutela degli interessi del minore.
Viene di conseguenza riconosciuta l’ammissibilità dell’intervento della madre di W. F., per il riconoscimento del diritto di S. a mantenere rapporti con la nonna paterna, così come richiesto dalla stessa I.B..
3. Con riferimento alla domanda di affidamento esclusivo da parte di I. B. osserva il Collegio che l’art. 155 c.c., come novellato dalla L. 54/2006, dispone che “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”, stabilendo che “Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. L’art. 155 bis c.c. stabilisce poi che “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.
A fronte della recente modifica legislativa, e della chiara indicazione in favore dell’affidamento condiviso quale soluzione maggiormente idonea a realizzare l’interesse morale e materiale della prole, e della possibilità di disporre l’affidamento esclusivo solo ove l’affidamento condiviso sia contrario all’interesse del minore, deve preliminarmente riflettersi su quali siano i contenuti e presupposti che in concreto devono condurre all’adozione dell’una o dell’altra soluzione.
Sebbene il legislatore non abbia precisato il significato dell’espressione “affidamento condiviso” dal tenore della norma, che si riferisce ad un affidamento ad entrambi, alla cura, educazione ed istruzione che i minori hanno diritto a ricevere da entrambi, che esercitano paritariamente la potestà, e all’assunzione di comune accordo delle decisioni di maggiore interesse, si desume che con tale forma di affidamento il legislatore abbia inteso privilegiare un sistema in cui i genitori assumono eguali poteri e responsabilità nello sviluppo fisico e morale dei figli e nel rapporto educativo e condividono – almeno tendenzialmente – tutte le decisioni che li riguardano anche negli aspetti più minuti, rimanendo quindi attivamente partecipi della loro vita. Ciò comporta che i figli mantengono la stessa relazione con entrambi i genitori e crescono in conformità ad un unico e conforme progetto educativo, sia che risiedano presso un solo genitore sia che risiedano, con alternanza (che andrà graduata e articolata compatibilmente con le esigenze dei minori), presso entrambi. Il legislatore, privilegiando siffatta forma di affidamento, ha inteso richiedere, ogni qual volta non vi siano specifiche controindicazioni, pur nella dissoluzione dello stato di convivenza dei genitori, una loro contestuale presenza, operativa e costruttiva della personalità dei figli, che assicuri loro la massima continuità relazionale ed ambientale possibile. In tal modo il legislatore ha inteso ridurre, nella maggiore misura possibile, l’impatto psicologico negativo che la disgregazione del nucleo familiare comporta sempre, in misura pur differenziata, per i figli, richiedendo che i genitori, tra cui non esiste più affinità di sentimenti, comunione di intenti o aspirazioni a programmi da realizzare in comune, mantengano, o comunque ricostruiscano, la – ineliminabile – comune genitorialità nell’adempimento del compito inderogabilmente spettante ad entrambi della cura, della crescita fisica, psichica, culturale, affettiva e comportamentale dei figli. Ciò allo scopo di garantire ai figli il diritto alla bigenitorialità e l’effettiva possibilità di ricevere ascolto nelle scelte che li riguardano, mettendo i genitori qualitativamente sullo stesso piano, pur nel permanere di differenze quantitative (e all’occorrenza qualitative in punto di ordinaria amministrazione) da introdurre caso per caso, nella convinzione che il sistema migliore per abbattere o prevenire la conflittualità sia quello di eliminare discriminazioni.
E’ opportuno precisare che l’affidamento condiviso non comporta tuttavia la necessità di accordo su ogni scelta minuta, ricalcando piuttosto quanto avviene nelle famiglie unite in cui la temporanea assenza di un genitore non osta in alcun modo a ché sia l’altro ad effettuare le scelte che di volta in volta sono richieste dallo svolgersi della vita quotidiana (come accade, ad esempio, allorché il genitore che si rechi a prendere il figlio all’uscita dalla scuola dia l’assenso perché accetti un invito a giocare da un amico, o a recarsi in pizzeria la sera con i compagni di scuola) ciò che presuppone un dialogo costruttivo sulle impostazioni di fondo della vita del minore, in carenza del quale il giudice potrà valutare la possibilità, prevista dallo stesso art. 155 c.c. che “limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente”.
Tanto premesso deve rilevarsi che nel caso di specie – per quanto emerge dalle dichiarazioni rese dalle stesse parti e dalla CTU – nel primo periodo successivo alla separazione, intervenuta nel novembre del 1999, allorché era stato concordato l’affidamento esclusivo di S. alla madre, il padre aveva visto regolarmente la figlia, con la quale aveva buoni rapporti. Allorché dopo un paio di anni egli aveva introdotto nella sua vita una nuova compagna, con la quale aveva intrapreso la convivenza, la madre del F., l’intervenuta C., disapprovando il legame, aveva imbastito una guerra contro il figlio, erigendosi a paladina di S. per proteggerla e crescerla non riconoscendo né alla signora B. né al figlio, sufficienti capacità genitoriali, e di fatto, sia pur inconsapevolmente, aveva utilizzato la nipote per colpire il figlio. Nel contempo anche I. B. aveva maturato e manifestato i suoi timori sulla nuova coppia, ciò che ha influito sul rapporto tra S. e il padre. Nel momento in cui il F. intraprese la convivenza e richiese dei cambiamenti nella frequentazione con S. la moglie negò di fatto la sua disponibilità (in sede presidenziale la moglie ha riferito al riguardo “io non detti la mia disponibilità a che la bambina venisse presa da mio marito con modalità diverse dalle precedenti perché rifiutava di appoggiarsi ai nonni e S. ne soffriva”). Cominciò da allora un allontanamento progressivo dal padre di S. la quale andò a dormire qualche volta nel 2001, ma saltuariamente, senza regolarità, a casa del padre, andando in vacanza d’estate con lui sia nel 2001 sia nel 2002, mentre nel Natale del 2002 S. non era voluta andare con il padre, e nel 2003 si erano visti tra marzo e aprile andando due o tre giorni al mare, e qualche volta dalla mattina alla sera, ma non era più voluta andare a dormire dal padre (dove stavano anche i due figli della compagna dello stesso), riferendo di non sentirsi accettata a casa del padre dove sarebbe stata sempre “brontolata”, oltre a dirsi impaurita dal padre, dopo un episodio occorso nell’estate, nel quale erano intervenuti i carabinieri a fronte del litigio tra il padre e i suoi genitori presso il quale si era recato per prendere S. che stava trascorrendo un periodo di vacanze nella loro casa in località marina.
La bambina, secondo la consulente, da parte sua ha vissuto per la seconda volta l’abbandono: la prima volta quando il padre era uscito di casa e la seconda nel momento in cui si era costruito una nuova famiglia. La CTU ha evidenziato che “la rabbia e l’aggressività della bambina sono forti e represse e quella che sarebbe potuta essere una normale gelosia transitoria si trasforma in rifiuto verso il padre”. In sede di consulenza la bambina aveva poi manifestato, pur con debolezza, il desiderio di stare con il padre ma senza la presenza della compagna e dei figli della stessa.
La consulente, nel tratteggiare i profili psicologici dei genitori ha evidenziato che il padre è persona con buone capacità di tipo cognitivo e logico, che tende ad assumere un atteggiamento pratico, ma che in specifiche circostanze può esacerbarsi fino a divenire un po’ troppo rigido, e che “in situazioni particolarmente difficili (situazioni di rifiuto, non riconoscimento, non apprezzamento) tende ad operare un ritiro della relazione, manifestando ostilità e risentimento per l’ingiusto trattamento e soccombendo a una rassegnazione rabbiosa”.
Quanto alla madre ha evidenziato che si tratta di persona socievole ed estroversa, spinta dal bisogno di essere parte integrante del suo ambiente di riferimento, che in ragione di una ipersensibilità nei confronti delle reazioni altrui può avere atteggiamenti non autentici che tendono alla compiacenza nel tentativo di mantenere buona la relazione con l’altro, avvalendosi del meccanismo dell'”evitamento di ciò che è disturbante”, e di meccanismi di difesa quali la banalizzazione, la minimizzazione o la franca negazione, con alcuni tratti di immaturità che sono gli stessi che la garantiscono e la tutelano contro gli aspetti più conflittuali della vita. La CTU segnala poi una specifica difficoltà nell’esprimere apertamente la rabbia e una necessità di controllo rigido della carica aggressiva che è sovente manifestata con modalità passivo-aggressive.
Quanto a S. la CTU ha riferito che non si evidenziano specifici tratti psicopatologici in atto, anche se presenta inibizioni di natura emotiva. Questo è soprattutto deducibile dalla pervasività e dalla pervicacità delle difese messe in atto dalla minore, che nella relazione assumono i connotati dell’ostilità e del ritiro e nei test del controllo massiccio dell’emotività, e non si sente libera di esprimersi sia in termini di contenuti sia in termini di qualità dei propri stati emotivi, come se temesse in parte di compromettersi e in parte di non ricevere risposte adeguate, con la conseguenza che il mondo degli adulti non le appare così valido e rassicurante. La bambina in parte idealizza una situazione di dipendenza e parallelamente appare spaventata dall’espressione autentica dei suoi bisogni per il rischio di scontrarsi con la delusione, stante il rifiuto o l’inadeguatezza che possono emergere dalle risposte parentali. S. percepisce la figura materna come importante ma anche piccola, mentre quella paterna è vissuta con ambivalenza, al contempo ricercata e rifiutata, percepita come estremamente severa e imprevedibile. In lei la gestione dell’aggressività risulta problematica, essendo il più delle volte inibita e repressa o manifestata con oppositività e il ritiro.
A fronte dei tratti psicologici dei componenti del nucleo familiare la CTU aveva ipotizzato, allorché la relazione venne depositata alla fine del 2004, un affidamento congiunto, considerato che nella vigenza dell’affidamento esclusivo S. aveva sviluppato un malessere rilevante e ritenendo di dover assicurare alla minore la possibilità di rapportarsi continuamente con duplici e complementari modelli esistenziali impegnati nell’attuazione verso e per la minore di un medesimo programma educativo. La CTU evidenziava l’importanza della possibilità per la minore di rapportarsi nella quotidianità al padre e alla madre, con una specifica regolamentazione del diritto di visita paterno tale da garantire continuatività degli incontri onde permettere/obbligare sia il padre sia la madre ad assumersi pari responsabilità, pari diritti, pari poteri. La CTU aveva fatto quindi una proposta transitoria per il riavvicinamento tra padre e figlia, che prevedeva, quale necessario complemento, l’affiancamento di S. da un educatore, il proseguimento della terapia individuale di S., un sostegno genitoriale ai genitori, una terapia individuale per ciascuno dei genitori, una temporanea limitazione dei rapporti con la nonna paterna.
In corso di causa sono stati fatti molteplici tentativi, mediante particolari modulazioni della frequentazione tra padre e figlia, per riattivare i rapporti. La CTU aveva suggerito un programma per la ripresa della frequentazione che è stato recepito dal Giudice ed è stato disposto il sostegno ad opera del servizio sociale e di psicologia, oltre che alcune limitazioni dei contatti tra S. e la nonna paterna, per evitare che la negatività del rapporto tra madre e figlio potesse riflettersi sul rapporto tra il F. e S.. Tuttavia ogni tentativo è stato vano, in particolare in quanto dalla fine del dicembre del 2004, allorché il F. si era recato a prendere S., che non stava bene, con la polizia, la bambina si è categoricamente rifiutata di vedere il padre. Alle parti era stato proposto un sostegno genitoriale e suggerito un percorso di mediazione, valutando gli operatori indispensabile per il superamento delle difficoltà di S., la ripresa del dialogo tra i genitori, ma il F. ha opposto un fermo rifiuto che è stato anche raccolto a verbale affermando “Io non intendo incontrare mia moglie in un percorso di mediazione che preveda nostri incontri”. Nell’ultima relazione dei servizi sociali del 21.11.2005 si dà atto che gli incontri protetti, che erano stati organizzati proprio per riattivare i rapporti tra padre e figlia, non erano stati possibili per esplicito volere di S., per la quale i contatti con il padre sono “una realtà dolorosa dalla quale si vuole allontanare”, nonostante i tentativi fatti dalla madre in accordo con i servizi sociali. La bambina ha fatto avere ai servizi uno scritto di suo pugno, che è stato allegato agli atti, apposto sulla fotocopia di un giornale a margine di un articolo dal titolo “Bimbi, lo schiaffo lascia il segno”, in sui si riporta l’esito di ricerche circa il fatto che gli schiaffi sui bambini non hanno mai effetti positivi, e che anzi rendono i bimbi aggressivi e ansiosi, in quanto “le botte fanno male, più alla mente che al fisico, anche a quelle culture che ancora percepiscono le punizioni corporali come un dato necessario, anzi indispensabile dell’educazione infantile”. A margine dell’articolo la piccola S. ha chiosato” secondo me le cose scritte in questo articolo sono giustissime. I bambini di qualsiasi età non si picchiano perché le botte non servono a niente. Servono solo a impaurire ed allontanare dalle persone. Come è scritto sull’articolo le botte fanno solo male sia alla mente sia la fisico. Sono meglio punizioni di altro genere”. A motivazione della sua volontà di non vedere il padre S. ha inoltre scritto ai servizi “io non voglio fare questo incontro perché mi ricordo che mi ha picchiata, quando sono andata in campeggio con lui mi ha insultata perché la Stefania mi ha chiesto se mi piacerebbe andare al mare con mia nonna. Poi quando abbiamo riprovato a rifare questi incontri la situazione è peggiorata…infine per il mio compleanno perché non ho aperto i regali subito, lui mi ha portato in un posto, rimanendo in macchina e mi ha picchiata senza motivo, poi mi ha chiesto se volevo tornare a casa mia e lui ha detto “va bene” ed è andato a prendere la mia torta di compleanno e mi ha riportato a casa”.
D’altronde già in sede di CTU, nella interazione tra padre e figlia, S. era rimasta muta, alzando un muro definito dalla CTU “disarmante” e tale da non lasciare spazio alla interazione”.
A fronte del fallimento dei percorsi di sostegno indispensabili per addivenire ad una condivisione della genitorialità, e del fermo rifiuto da un lato di W. F. per ogni iniziativa che richieda contatti con I. B. a cui corrisponde un altrettanto fermo e doloroso rifiuto da parte di S. di vedere il padre ed avere contatti con lui, con un risentimento profondo, il cui nucleo risiede certamente nell’essersi sentita la bambina non solo abbandonata dal padre, ma più in radice non compresa e non accettata per come ella è, ritiene il Collegio che sia radicalmente impraticabile l’affidamento condiviso. Risulta infatti contrario all’interesse di S. un affidamento anche al padre per il tenace, rabbioso rifiuto di S. e per il risentimento paterno: difatti questi atteggiamenti ostano a che il padre possa cogliere autenticamente le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni della figlia, delle quali è indispensabile che i genitori tengano conto nelle scelte circa l’istruzione e l’educazione da dare alla prole, essendo egli chiuso ad ogni possibilità di ascoltare e comprendere la figlia, sia attraverso il dialogo con I. B. che comunque vive e vivrebbe a più stretto contatto con S., sia attraverso il dialogo con S. che rifiuta categoricamente ogni rapporto con il padre, adducendo motivi di sofferenza che non possono rimanere inascoltati, con la conseguenza che devono altresì allo stato escludersi incontri tra padre e figlia. In proposito va osservato che il Tribunale può legittimamente – o meglio deve – disciplinare il diritto del coniuge non affidatario a mantenere vivo il rapporto affettivo con il figlio, in modo da non arrecare pregiudizio alla sua salute psicofisica, anche prevedendo particolari cautele e restrizioni agli incontri, arrivando perfino a sospenderli del tutto (Cass. 17 gennaio 1996, n. 364; 12 luglio 1994, n. 6548; 9 luglio 1989, n. 3249; 9 maggio 1985, n. 2882; 13 dicembre 1980, n. 6446).
Osserva il Collegio che si attaglia perfettamente al caso di S., che ha dodici anni (e che è stata sentita sia tramite CTU sia tramite gli operatori del servizio sociale e di psicologia) il principio – ricavabile dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 176 del 1991, ed in particolare dagli artt. 3 e 9 – affermato dalla sezione I della Corte di Cassazione con la sentenza n. 317 del 15-01-1998 secondo cui “la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o addirittura di ripulsa – a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche – costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra il minore stesso ed il coniuge non affidatario. Tale sospensione può essere disposta indipendentemente dalle eventuali responsabilità di ciascuno dei genitori rispetto all’atteggiamento del figlio ed indipendentemente anche dalla fondatezza delle motivazioni addotte da quest’ultimo per giustificare detti sentimenti, dei quali vanno solo valutati la profondità e l’intensità al fine di prevedere se disporre il prosieguo degli incontri con il genitore avversato potrebbe portare ad un superamento senza gravi traumi psichici della sua animosità iniziale ovvero ad una dannosa radicalizzazione della stessa (nello stesso ordine di idee, cfr. Cass. 2 giugno 1983, n. 3776, sul diverso tema dei criteri di affidamento dei figli minori all’uno o all’altro dei genitori).
Al contempo, considerata l’importanza per S., evidenziata dal CTU, di potersi rapportare con duplici e complementari modelli esistenziali, ed avere punti di riferimento esterni alla famiglia, deve confermarsi il mandato al servizio sociale e di psicologia per un supporto a S., sia con l’affiancamento di un educatore, sia con la prosecuzione della terapia individuale, per l’elaborazione e il superamento della radicalità del rifiuto della figura paterna, e il recupero di tale figura genitoriale (con possibilità di introdurre incontri per i quali S. manifesti il proprio consenso, essendo inutili oltre che improduttivi interventi di coazione autoritaria) nel precipuo interesse di S. ad un equilibrato sviluppo psico-emotivo, che trova un ostacolo nella sofferenza e nel rigetto della figura paterna.
Al contempo va ridato spazio alla possibilità che S. mantenga rapporti con i nonni paterni (non avendo avuto l’esito sperato la temporanea limitazione degli incontri con la nonna) con i quali ha un buon legame affettivo – tanto che nella relazione del servizio sociale e di psicologia del 22.7.2003 si afferma che S. ha un valido legame affettivo con la nonna paterna dalla quale si sente capita, protetta ed amata, e che desiderava trascorrere un periodo di vacanza al mare con la nonna (periodo che va previsto possa essere nuovamente goduto), nonostante la contrarietà del padre, desiderio valutato positivamente dal servizio per il benessere psichico della bambina – in attuazione del diritto specifico al mantenimento di un vincolo, non solo autentico, ma che per di più affonda le radici nella tradizione familiare la quale trova il suo riconoscimento anche nella Costituzione (art. 29 Cost.) (Cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 9606 del 25-09-1998).
Con riferimento alla contribuzione al mantenimento di S. da parte del padre, si osserva che gli artt. 147 e 148 c.c. pongono l’obbligo di mantenimento dei figli minori, siano essi legittimi o naturali, a carico di entrambi i genitori che devono adempiere a tale obbligazione in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro. Peraltro articolandosi il dovere dei genitori verso i figli in quello di mantenere, istruire e educare la prole, ne discende un obbligo per gli stessi di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all’ambiente abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, con la predisposizione di una organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di vita ed educazione. (Cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 2196 del 14-02-2003). L’art. 155 c.c., come novellato dalla L. 54/2006, precisa poi che “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”
Al fine di determinare la misura in cui ciascuno dei genitori è tenuto ad adempiere al proprio obbligo, occorre quindi considerare la capacità economica dei genitori, tenendo conto delle loro sostanze e delle rispettive capacità reddituali, al fine di assicurare ai figli, anche a fronte della dissoluzione familiare, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia e corrispondente a quello che avrebbero mantenuto se il rapporto tra i genitori non fosse venuto meno. (Cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 2993 del 07-04-1997)
Nel caso di specie, tenuto conto del fatto che (alla luce degli scarni elementi disponibili sul reddito dei genitori) I. B. risulterebbe avere un reddito di circa euro 927 al mese, e abita nella casa che era della propria madre, mentre il F. guadagnerebbe circa euro 1.127 al mese, e pagherebbe congiuntamente alla convivente, un mutuo dell’importo semestrale complessivo di circa euro 6.347,53, ritiene il Tribunale che, tenuto conto dell’età di S., del tenore di vita rapportabile ai redditi dei genitori e dell’assenza di frequentazione tra padre e figlia, sia opportuno porre a carico del padre il pagamento di un assegno periodico che consenta la realizzazione della proporzionalità del contributo richiesto dalla norma citata, nella misura di euro 300 mensili (che di fatto costituisce un arrotondamento dell’importo pattuito tra le parti in L. 500.00 nel 1999, in sede di separazione, valutata la rivalutazione nelle more intervenuta) oltre rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT.
Al fine poi di non pregiudicare i diritti primari ed irrinunciabili di S. alla salute e all’istruzione, deve stabilirsi che le spese straordinarie che verranno sostenute a tal fine, verranno separatamente suddivise in misura paritaria tra i genitori.
Ritiene infatti il Tribunale che tali spese non possano essere incluse nel contributo fisso in quanto sono difficilmente quantificabili preventivamente e soggette a variazioni anche sensibili, cosicché ove fossero forfetariamente considerate nel contributo mensile predeterminato sussisterebbero due opposti rischi: da un lato, ove in certi periodi non ve ne fosse la necessità o fossero assai contenute di imporre al genitore non affidatario un contributo non proporzionato alle necessità effettive della figlia, con evidente locupletazione dell’altro genitore; dall’altro, ove per contro assumessero significativo rilievo economico tali spese potrebbero assorbire (se non superare, in specie in ipotesi di particolari spese mediche straordinarie) una parte, anche rilevante, del contributo ordinario così sacrificando sia la soddisfazione dei diritti primari irrinunciabili della minore sia il patrimonio del genitore non affidatario.
In considerazione dell’esito complessivo del giudizio si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti principali le spese per la metà, restando per un mezzo le spese processuali della ricorrente a carico del F. prevalentemente soccombente, mentre vengono compensate integralmente rispetto all’interveniente, e sono poste a carico paritario delle parti le spese di CTU sostenute nel precipuo interesse della minore.

P.Q.M.

 Tribunale di Firenze definitivamente pronunciando sul ricorso depositato il 26.7.2003 daI.B. nei confronti di W. F., così provvede:
1) affida la figlia minore S. in via esclusiva alla madre;
2) esclude la possibilità di incontri diretti tra padre e figlia;
3) incarica il servizio sociale e di psicologia territorialmente competenti (SIAST 5) di offrire il proprio sostegno psicologico a S. per l’elaborazione da parte della stessa delle problematiche relative al rapporto con la figura paterna, (con possibilità di introdurre incontri per i quali S. manifesti il proprio consenso);
4) dispone che C. G. possa vedere e tenere con sé S. liberamente, almeno una volta alla settimana, oltre che per un periodo di almeno una settimana durante le vacanze estive, previ accordi diretti con I. B., ;
5) dispone che W. F. corrisponda a I. B. entro il giorno cinque di ogni mese l’importo di euro 300,00 oltre rivalutazione annuale secondo indici ISTAT (prima decorrenza aprile 2007) oltre al 50% delle spese straordinarie mediche e scolastiche necessarie per la minore;
6) condanna W. F. a rifondere ad I. B. la metà delle spese del presente procedimento, che dichiara compensate per un mezzo, liquidate, per l’intero, in euro 951,50 per diritti, euro 1.925,00 per onorario, euro 359,56 per rimborso forfetario delle spese generali, oltre IVA e CPA come per legge.
7) Pone in via definitiva le spese di CTU a carico di W. F. e di I. B. per metà ciascuno.
8)dichiara integralmente compensate le spese del giudizio tra l’interveniente e le altre parti
Manda alla cancelleria per la comunicazione al servizio sociale e di psicologia incaricati del supporto alla minore (Quartiere 5, Firenze)
Così deciso, in Firenze, nella Camera di Consiglio del 12.4.2006.
IL GIUDICE EST. IL PRESIDENTE


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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