V. Come si contesta una CTU, di Mirco Minardi
Il giudice è davvero peritus peritorum? Scrive a tal proposito Carlo Brusco, La prova tecnico-scientifica nel processo penale, in www.csm.it: “…lasciamo perdere l’illusione del giudice peritus peritorum. Parliamo invece di un giudice informato sui presupposti di validità del metodo o prova scientifici utilizzati nel processo, di un giudice pronto a esaminare contrapposte visioni scientifiche e a scegliere quella più convincente non in base ad una opzione pregiudiziale e immotivata ma, dopo aver dato il più ampio spazio al contradditorio, quella fondata su una dimostrata competenza scientifica e su argomentazioni che non abbiano trovato obiezioni insuperabili tenendo anche conto, e non marginalmente, delle eventuali evidenze probatorie atte a confermare o smentire il giudizio dell’esperto”.
È illusorio, dunque, credere che il giudice (tanto civile, quanto penale), che di norma non possiede le necessarie conoscenze, possa davvero entrare nel merito delle osservazioni tecnico scientifiche e stabilire la correttezza dell’elaborato del CTU sotto tale profilo. Ciò che invece il giudice può e deve fare è utilizzare una serie di criteri per verificare che il consulente abbia seguito un “metodo scientifico”, attesa l’imprescindibilità del rigoroso esame critico delle prove, cui non si sottrae quella tecnico-scientifica.
In particolare, specie allorquando il giudice si trovadi fronte a soluzioni contrastanti formulate dai consulenti (d’ufficio e di parte), occorre adottare una serie di strumenti concettuali per stabilire quale opinione, tra quelle avanzate, debba ritenersi preferibile.
Ecco allora una serie di criteri indispensabili per vagliare criticamente i risultati del tecnico nominato:
- il consulente ha competenza ed esperienza nella materia oggetto di indagine?
- la conclusione cui è giunto il consulente è supportata da letteratura scientifica, dati obiettivi, o da misurazioni o prove di laboratorio?
- le premesse di fatto da cui è partito il consulente sono corrette?
- la conclusione è coerente con le premesse?
- la conclusione è controllabile?
- quella del consulente è una conclusione logicamente motivata oppure è apodittica o illogica?
- il consulente è mai caduto in contraddizione?
- il consulente ha tenuto in considerazione tutte le ipotesi ragionevolmente possibili?
- il consulente ha verificato compiutamente l’ipotesi scelta?
- il consulente ha falsificato correttamente tutte le ipotesi che ha scartato?
- il consulente ha tenuto in considerazione i margini di errore?
- la risposta del consulente si basa su dati probabilistici o assoluti? Nel primo caso, qual è il grado di probabilità?
- il consulente ha tenuto in considerazione le osservazioni formulate dai consulenti di parte?
I sopra elencati criteri possono essere ricondotti a tre categorie:
- l’autorità scientifica o la competenza tecnica del consulente;
- l’acquisizione al patrimonio scientifico comunemente accettato dei metodi di indagine;
- la coerenza logica e la correttezza dell’iter argomentativo.
Ovviamente, detti criteri rappresentano anche le “armi” dei consulenti di parte. Anzi, loro per primi debbono sottoporre l’elaborato del CTU a questa serrata verifica.
Dispiace, invece, constatare che nella pratica raramente il giudice sottopone l’elaborato del consulente tecnico ad un così serrato esame. Anzi, nemmeno ci si preoccupa, all’udienza fissata per il giuramento, di sapere dal CTU se ha già avuto esperienza nella materia oggetto di indagine, specie quando questa presenta elementi di specificità. Ancora una volta, si dà per scontato ciò che scontato non è, e non è infrequente che novelli consulenti tecnici ricevano come primo incarico il compito di eseguire indagini molto complesse, ben al di sopra delle proprie capacità e della propria esperienza.
Del pari, è già stato ricordato come il più delle volte il giudice si appiattisca sulle conclusioni del consulente, ritenendo di poter fare ragionevolmente affidamento sulla sua relazione.
Detto ciò, vediamo alcuni degli errori “tecnici” più frequentemente commessi dai consulenti tecnici:
- valutare fatti che in giudizio non sono stati provati;
- ritenere un fatto esistente, solo perché affermato dalla parte che ha un interesse diretto ad provarne l’esistenza;
- basare le proprie conclusioni sul “sentito dire”;
- selezionare il materiale probatorio;
- affermare apoditticamente l’esistenza di una opinione tra esperti del settore non identificati;
- nell’accertare il nesso di causalità tra un evento e un fatto, omettere di valutare come causa efficiente tutte le ipotesi in concreto verificatesi o verificabili;
- esprimere un giudizio di probabilità senza specificare il grado;
- formulare conclusioni sulla base di premesse false o non verificate;
- rassegnare conclusioni senza argomentare;
- nelle relazioni medico-legali, attribuire un punteggio senza alcun riferimento ai barème utilizzati;
- sempre in campo medico-legale, ritenere esistente una malattia, nonostante l’assenza di dati obiettivi e solo sulla base del riferito della parte.
Uno dei momenti più difficili, nel valutare la prova tecnico-scientifica, si verifica quando la risposta al quesito presuppone l’impiego di nuove tecnologie, sperimentazioni originali, prove inedite oppure nuove leggi scientifiche. In forza del principio del libero convincimento, nulla impedisce di ritenere provato un fatto il cui accertamento sia avvenuto, ad esempio, mediante una nuova tecnologia sulla quale la comunità scientifica non si è ancora pronunciata, purché però il giudice dimostri di avere verificato la sua affidabilità; compito, questo, evidentemente più facile a dirsi che a farsi.
Gradirei una semplice informazione, buonasera vorrei sapere : il giudice nella veste di Peritus Peritorum con sentenza, accettando completamente la CTU sana i piccoli illeciti urbanistici?
Grazie.
una sentenza civile non può sanare illeciti urbanistici