Domande sull’appello (parte II): l’onere di riproposizione ex art. 346 c.p.c.

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Introduzione. L’art. 346 intitolato “Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte” stabilisce che le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate.

La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria, richiamandosi al principio tantum devolutum quantum appellatum, ritengono che sia preclusa la possibilità di riaprire la discussione su punti che, oggetto della decisione di primo grado, non siano espressamente sottoposti a riesame con l’atto di appello. Pertanto l’appello va ritenuto un gravame ad effetto devolutivo limitato dalle specifiche censure avanzate dalle parti nell’atto di appello o in via di riproposizione ex art. 346 (da ultimo, Cass 20.1.06 n. 1108; Cass. 8.11.05 n. 21659; Cass. 6.10.05 n. 19424; Cass. 19.7.05 n. 15223 ed altre ancora).

In assenza di specificità della censura, dunque, il giudice non è tenuto ad estendere la propria indagine alle questioni esposte in maniera assolutamente generica, con la conseguenza che rispetto a tali questioni non è configurabile il vizio di omessa pronuncia (Cass. 1.8.97 n. 7152).

A quali domande ed eccezioni si riferisce l’art. 346?
– L’art. 346 si riferisce alle domande subordinate o alternative assorbite per accoglimento di altra domanda. Si tratta di domande, cioè, sulle quali il giudice di primo grado non ha pronunciato in quanto l’accoglimento di detta domanda ha reso superfluo l’esame e la decisione su queste. Per quanto riguarda le eccezioni, si tratta eccezioni di rito e di merito non accolte, formulate dalla parte che è risultata totalmente vittoriosa.

Come si manifesta la riproposizione?
– La riproposizione non necessita di motivi d’appello, ma della manifestazione inequivocabile della volontà che le stesse siano sottoposte alla cognizione del giudice d’appello e da questo decise.

Le domande e le eccezioni accolte vanno espressamente riproposte?
– Secondo Cass. 13308/1999 l’onere di espressa riproposizione in appello riguarda le domande ed eccezioni non esaminate o non accolte dal giudice di primo grado e non è estensibile alle domande ed eccezioni che il primo giudice abbia invece esaminato ed accolto, per ribadire le quali, salva l’ipotesi di una linea difensiva con esse incompatibile, è sufficiente che la parte vittoriosa richieda la conferma della sentenza impugnata ex adverso.

Qualora il petitum sia stato accolto in base ad una sola causa petendi tra quelle fungibilmente poste a fondamento di esso, l’appellato ha l’onere di proporre appello incidentale?
– No, è sufficiente il mero richiamo delle stesse da valutare in base al complesso dei motivi, delle difese e delle richieste, indipendentemente dalla formale riproposizione (Cass. 3392/1998).

Fino a quando è possibile riproporre in appello la domanda non esaminata in primo grado?
– La riproposizione dalla parte vittoriosa di domanda non esaminata in primo grado, perché ritenuta assorbita, può operarsi, durante tutto il corso del giudizio d’appello, in qualunque forma idonea ad esprimere la relativa volontà fino alla precisazione delle conclusioni (Cass. 3730/1998). Tuttavia, alla luce del richiamo, contenuto nel primo comma dell’ art. 347 c.p.c., alle forme ed ai termini della costituzione nel giudizio di primo grado e la nuova struttura del giudizio di appello, autorevole dottrina (ARIETA) afferma che oggi detta riproposizione debba avvenire contestualmente al deposito della comparsa di costituzione o comunque non oltre la prima udienza di trattazione collegiale.

E’ sufficiente il generico richiamo alle difese di primo grado?
– No, secondo Cass. 11 maggio 2009, n. 10796, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice.

La parte vittoriosa nel merito in primo grado è tenuta a riproporre con appello incidentale le domande e le eccezioni già proposte e respinte o dichiarate assorbite dalla decisione del primo giudice?
– No, in quanto difetta il presupposto della soccombenza; ha solo l’onere di provocare il riesame di tali domande ed eccezioni, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia, di cui all’art. 346 c.p.c., manifestando in maniera chiara e precisa la volontà di riproporle. – difettando il presupposto della soccombenza (Cass. 8854/2007)

Va riproposta la domanda subordinata dall’appellato vincitore?
– Sì, altrimenti si presume rinunciata. Secondo Cass. 27570/2005 tale riproposizione, peraltro, può ritenersi rituale ai sensi dell’art. 346 c.p.c., solo se la relativa domanda sia proposta con chiarezza e precisione sufficienti a renderla inequivocamente intellegibile per la controparte ed il giudicante.

Nel caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo di questi ultimi e rigettata nei confronti dell’altro, l’appello del soccombente, non basta a devolvere al giudice dell’impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell’attore nei confronti del convenuto alternativo?
– No, secondo Cass. 7 gennaio 2009, n. 65, in quanto l’unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate – pur nell’unità del petitum – dalla diversità dei soggetti convenuti (personae) e in parte dei fatti e degli argomenti di sostegno (causae petendi); in relazione alla suddetta pretesa, pertanto, l’attore-appellato ha l’onere di riproporre la domanda già formulata in primo grado, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

Se con la sentenza di primo grado viene respinta una eccezione rilevabile d’ufficio, va riproposta l’eccezione?
– Sì, allorquando con la sentenza di primo grado venga respinta una eccezione anche in senso lato, ad esempio giudicato esterno, e avverso tale capo non venga proposta impugnazione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. , in applicazione dei principi sui limiti devolutivi dell’appello e sul giudicato interno, l’eccezione deve ritenersi rinunciata e sul relativo capo si forma il giudicato parziale interno, con la conseguenza che l’eccezione, quand’anche fosse da ritenere rilevabile d’ufficio, è definitivamente preclusa (Cass. 5681/2008).

Il giudice d’appello può rilevare d’ufficio una eccezione di usucapione qualora l’appellato sia contumace?
– No, qualora l’eccezione di usucapione sollevata in primo grado non sia stata riproposta dall’appellato rimasto contumace, la questione non è rilevabile d’ufficio dal giudice del gravame, atteso che, alla luce del principio di parità delle parti nel processo e dell’effetto devolutivo dell’appello, non può attribuirsi all’appellato contumace una posizione di maggiore favore rispetto all’appellante (Cass. 10236/2007).

Le questioni attinenti alla proponibilità dell’azione sono sempre rilevabili d’ufficio dal giudice?
– Dipende; in grado d’appello tale potere d’iniziativa del giudice sussiste ogni qualvolta tali questioni, come ogni altra il cui oggetto non è disponibile dalle parti, non siano state proposte e decise in primo grado. In tale ultima ipotesi, ossia quando tali questioni siano state decise dal giudice di primo grado, il potere del giudice della impugnazione trova un limite nella preclusione determinata dell’acquiescenza della parte soccombente o di quella, che, pur non avendo l’onere della impugnazione perché praticamente vittoriosa, per altre regioni, non abbia riproposto al giudice d’appello la relativa eccezione, incorrendo nella decadenza di cui all’art 346 c.p.c. (Cass. 9297/2007).

L’art. 346 si applica anche alle istanze istruttorie?
– Secondo la giurisprudenza più recente (Cass. 11554/2008) la disposizione del citato art. 346 c.p.c., attiene alla determinazione in appello del thema decidendum, e non del thema probandum, sicché essa si riferisce alle domande ed alle eccezioni proposte nel precedente grado, ma non anche alle istanze istruttorie non accolte; siffatte istanze neppur possono intendersi implicitamente riproposte nel grado successivo per il solo fatto che siano state reiterate le domande o le eccezioni a sostegno delle quali esse erano state formulate dinanzi al primo giudice, essendo invece onere della parte rinnovare la propria richiesta di ammissione di ? tali prove in sede di gravame nei termini e nelle forme previste per il giudizio di primo grado (cfr. Cass. 26 ottobre 2000, n. 14135, Cass. 25 novembre 2002, n. 16573, Cass. 4 aprile 2003, n. 5308, e Cass. 25 novembre 2003, n. 17904.
Nel caso di specie, l’appellante si era limitato a richiamare, “ai sensi dell’art. 346 c.p.c., tutte le deduzioni, produzioni e/o eccezioni del giudizio di primo grado”. Secondo la Corte ciò non basta a far considerare la prova validamente dedotta in appello (e ne rende perciò tardiva la riformulazione in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di secondo grado).

La rinuncia implicita ex art. 346 ha valore sostanziale o processuale?
– In caso di mancata riproposizione di domande assorbite, la cui decisione non dipende dalle domande ed eccezioni oggetto di decisione da parte del giudice di primo grado, la giurisprudenza ritiene che la rinuncia implicita disposta dall’art. 346 abbia valore solo processuale e non sostanziale, con conseguente possibile riproposizione della relativa pretesa con separato processo (Cass. 10888/1993).


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


3 commenti:

  1. Valentina grimaldi

    Grazie x il prezioso contributo su un tema così importante. Mi rimane un dubbio che mi permetto di porLe:

    l’attore di un’azione di risarcimento danni ha ottenuto, in primo grado, una sentenza che, pur accogliendo la sua domanda, ha omesso di pronunciarsi in merito ad alcune sue richieste risarcitorie (singole voci di danno).
    Il convenuto propone appello: l’attore parzialmente vittorioso in primo grado, si limita a costituirsi, ma non spiega appello incidentale. La corte di appello riforma la sentenza, in senso peggiorativo per l’appellato, affermando, tra l’altro, che sulle domande promosse in primo grado, non decise dal Tribunale e non riproposte in sede di appello, si è formato giudicato interno.
    Allo stato tale sentenza è passata in giudicato.
    Può il danneggiato promuovere nuovo autonomo giudizio per veder accolte quelle domande risarcitorie su cui il precedente giudizio non si è espresso (fatta salva, naturalmente, l’eventuale prescrizione)?
    Le sarei grata se mi desse il Suo parere a riguardo.
    La ringrazio sin da ora e Le invio cordiali saluti.
    Valentina

  2. Donatella

    – il giudice di primo grado pur ritenendo fondata la domanda di risarcimento danni, l’ha dichiarata prescritta,
    – nella fase di appello, l’appellato non ha mai contestato con appello incidentale la quantificazione dei danni,
    secondo te , opera il passaggio in giudicato sulla quantificazione del danno?
    – oppure può il giudice dell’impugnazione , dichiarando non prescritta la domanda, condannare al risarcimento dei danni in una misura diversa ?

    Non so se sono stata chiara…grazie e complimenti per il sito!



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