Vi spiego il caso. Un geometra chiede ed ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti di un Comune per prestazioni rese. Il Comune propone opposizione eccependo, guarda caso, la mancanza di un contratto scritto e dunque la nullità del rapporto professionale. A quel punto il professionista aggiusta il tiro e chiede in via subordinata una domanda di condanna per ingiustificato arricchimento.
Il giudice di primo grado rigetta entrambe le domande. In appello, invece, viene accolta la subordinata. Ricorre quindi in Cassazione il Comune ma, sorprendentemente, la Corte conferma la sentenza del giudice di appello. Cerchiamo di capire perchè.
Va anzitutto detto che per giurisprudenza costante le due domande sono del tutto diverse sia nel petitum, sia nella causa petendi. Pertanto costituisce domanda nuova, come tale inammissibile, la domanda di ingiustificato arricchimento proposta dopo aver formulato una domanda di condanna fondata su un titolo contrattuale, in quanto si introducono nel processo gli elementi costitutivi di una diversa fattispecie giuridica (Cass. Civ. n. 14267/2002; 17335/2002; 4365/2003).
Sennonchè, nella fattispecie, il giudice di appello aveva rilevato che le risultanze processuali acquisite agli atti evidenziavano il ricorrere di tutti i presupposti di fatto che condizionano l’accoglimento della domanda di cui all’art. 2041 cod. civ., cioè
(a) l’impoverimento dell’attore, tramite l’impiego del tempo e delle risorse, necessari per effettuare la prestazione;
(b) l’utilità della prestazione stessa in vista dei fini istituzionali dell’ente,
(c) e la sua concreta utilizzazione per detti fini.
Tali circostanze erano state desunte dai medesimi atti con i quali il Comune si era riconosciuto debitore, che il professionista aveva posto a base del ricorso per decreto ingiuntivo: cioè dalla delibera comunale di riconoscimento dei debiti pregressi e dalla convenzione successivamente intercorsa fra il Comune ed il professionista, dai quali risultava che lo studio geomorfologico del territorio era stato eseguito ed era stato effettivamente utilizzato dal Comune per avviare il processo di variante al piano regolatore.
La Corte di appello aveva pertanto correttamente rilevato che, nel caso in esame, la domanda di ingiustificato arricchimento non aveva comportato la deduzione di fatti nuovi, rispetto a quelli posti a base del ricorso per ingiunzione, ma solo la deduzione (in subordine) di una diversa qualificazione dei medesimi fatti di cui al suddetto ricorso, ai fini dell’accoglimento della domanda.
I medesimi atti e documenti prodotti dal geometra fin dall’origine, a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, giustificavano la domanda di pagamento della somma riconosciuta a titolo di ingiustificato arricchimento. La mera specificazione del titolo, all’atto della costituzione in giudizio, non aveva comportato pertanto l’ampliamento dell’ambito oggettivo della lite, nè la deduzione o cognizione di fatti nuovi.
Possiamo allora parlare di revirement? Apparentemente no, in quanto la Corte afferma che i fatti costitutivi dell’azione di ingiustificato arricchimento erano stati allegati e provati sin dall’inizio. Pertanto l’attore non aveva introdotto nuovi fatti, bensì aveva aggiustato il tiro, a fronte della eccezione di nullità del Comune, qualificando diversamente, in via subordinata, l’azione esercitata.
Di certo, la sentenza è “giusta”, visto che il Comune aveva utilizzato la prestazione del professionista, salvo poi eccepire, al momento del pagamento, la nullità del contratto.
Un consiglio: in questi casi, per non correre rischi, fin dall’inizio la domanda di ingiustificato arricchimento va proposta in via subordinata.
Cassazione civile , sez. III, 18 novembre 2008, n. 27406
Diritto
1.- Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 cod. proc. civ.).
2.- Appare logicamente pregiudiziale l’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale, che investe la sentenza impugnata nel capo in cui ha negato che il C. potesse fondare il suo credito su di un titolo negoziale; mentre i tre motivi del ricorso principale riguardano tutti l’ammissibilità o la fondatezza della domanda di pagamento del compenso a titolo di ingiustificato arricchimento.
3.- Il C. denuncia la violazione del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 24, convertito in L. 24 aprile 1989, n. 144; degli artt. 1321 e 1372 cod. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, poichè la Corte di appello avrebbe indebitamente trascurato di considerare il fatto che egli ha posto a base del suo ricorso per ingiunzione la convenzione scritta, stipulata il 2.1.1991 con il Sindaco del Comune di Delianuova, in esecuzione della Delib. Giunta Municipale 8 ottobre 1987, n. 533, con cui il Comune si è riconosciuto debitore nei suoi confronti e si è impegnato a pagare la somma di L. 19.62 5.590, comprensiva di interessi al tasso del 5%, per l’attività da lui svolta.
Rileva il ricorrente che la convenzione di cui sopra, regolarmente stipulata in forma scritta, costituisce l’atto negoziale finale del procedimento di riconoscimento dei debiti pregressi, previsto dal D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 24, punto 4, conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, ed in quanto tale impegna l’ente pubblico entro i limiti della somma riconosciuta.
Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto il suddetto atto nullo/inefficace, qualificandolo come riconoscimento di un debito inesistente, perchè derivante da un contratto nullo, in quanto il D.L. n. 66 del 1989, è stato approvato specificamente allo scopo di sanare le situazioni irregolari pregresse, attraverso un procedimento di verifica dell’utilità per l’ente pubblico delle prestazioni rese per l’espletamento di pubblici servizi, ancorchè non concordate sulla base di una valida procedura di attribuzione dell’incarico.
3.1.- Il motivo non è fondato.
Giustamente la Corte di appello ha escluso che la delibera della Giunta municipale e la successiva convenzione con il Comune, assunte nell’ambito della procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio di cui alle norme richiamate dal ricorrente, valgano a sanare la nullità-inesistenza del rapporto fondamentale, derivante dalla mancanza dell’attribuzione dell’incarico in forma scritta.
E’ noto che la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale.
Essa ha il solo effetto di esonerare il destinatario della promessa dall’onere di fornire la prova dell’esistenza del rapporto fondamentale.
Ove tuttavia il debitore dimostri la nullità o l’inesistenza di detto rapporto, la ricognizione di debito rimane del tutto inefficace, perchè priva di causa (cfr., fra le altre, Cass. n. 11426 del 2002; Cass. n. 8515 del 2003; Cass. n. 18259 del 2006).
Nella specie è stato per l’appunto accertato, e non è contestato, che l’incarico al C. non venne conferito in forma scritta. Nè il C. ha dedotto che la Delib. Giunta 2 gennaio 1991, emessa ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 24, e la successiva convenzione con il Comune, abbiano costituito sanatoria (se del caso con effetto ex nunc), o ratifica del mancato conferimento dell’incarico nelle forme di legge, dimostrandone i presupposti di fatto, nelle competenti sedi di merito.
Il ricorrente, in realtà, vorrebbe indebitamente estendere la sanatoria legale della nullità di cui al D.L. n. 66 del 1989, oltre il suo ambito di applicazione, che concerne solo le nullità derivanti dal fatto che l’ente ebbe ad assumere impegni di spesa privi di regolare copertura.
Ed invero, la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica, è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se sia indicato l’importo dovuto al professionista e se il relativo impegno di spesa sia accompagnato dall’attestazione, da parte del responsabile del servizio finanziario, della copertura finanziaria. L’inosservanza di tale disposizione determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale, comportando l’esclusione di qualsiasi responsabilità od obbligazione dell’ente pubblico in ordine alle spese assunte senza il suddetto adempimento (Cass. civ. S.U. 10 giugno 2005 n. 12195; Cass. civ., Sez. 1^, 27 marzo 2008 n. 7966).
La procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio sana la nullità conseguente alla mancata indicazione della copertura finanziaria: ha cioè l’effetto contabile di rendere possibile il pagamento, in applicazione della complessa disciplina approvata ai fini del risanamento delle finanze degli enti locali. Non vale a sanare altre cause di nullità, nè in particolare quella derivante dalla mancata attribuzione dell’incarico in forma scritta (Cass. civ. n. 7966/2008, cit.).
4.- Con il primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione degli artt. 645 e 184 cod. proc. civ. (vecchio rito), in relazione all’art. 2041 cod. civ., nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, il Comune di Delianuova lamenta che la Corte di appello abbia accolto la domanda del C., sotto il profilo dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento, sebbene si trattasse di domanda nuova, sulla quale non era stato accettato il contraddittorio. Richiama la giurisprudenza secondo cui chi abbia chiesto decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento di un credito a titolo contrattuale, non può poi – costituendosi nel giudizio di opposizione – avanzare domanda di indennizzo a titolo di ingiustificato arricchimento, trattandosi di domanda nuova, poichè muta sia l’originario petitum, sia la causa petendi, introducendo nel processo gli elementi costitutivi di una diversa fattispecie giuridica (Cass. Civ. n. 14267/2002; 17335/2002;
4365/2003).
Erroneamente, pertanto, la Corte di appello vi ha ravvisato una mera modificazione della domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo.
5.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 99 e 101 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta che la Corte di appello, avendo delibato la domanda di pagamento a titolo di ingiustificato arricchimento, sebbene l’opponente avesse dichiarato di non accettare il contraddittorio, è andata oltre i limiti della domanda proposta (e proponibile), incorrendo nella violazione delle norme citate.
6.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, perchè connessi, non sono fondati.
La Corte di appello non si è limitata ad affermare che la domanda del C. integrava non il mutamento della domanda inizialmente proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, ma una mera emendatio libelli. Ha anche congruamente motivato il suo convincimento rilevando che le risultanze processuali acquisite agli atti evidenziavano il ricorrere di tutti i presupposti di fatto che condizionano l’accoglimento della domanda di cui all’art. 2041 cod. civ.: cioè l’impoverimento dell’attore, tramite l’impiego del tempo e delle risorse, necessari per effettuare la prestazione; l’utilità della prestazione stessa in vista dei fini istituzionali dell’ente, e la sua concreta utilizzazione per detti fini. Tali circostanze ha desunto dai medesimi atti con i quali il Comune si è riconosciuto debitore, che il C. ha posto a base del ricorso per decreto ingiuntivo: cioè dalla delibera comunale di riconoscimento dei debiti pregressi e dalla convenzione successivamente intercorsa fra il Comune ed il C., dai quali risulta che lo studio geomorfologico del territorio è stato eseguito ed è stato effettivamente utilizzato dal Comune per avviare il processo di variante al piano regolatore.
La Corte di appello ha correttamente rilevato pertanto che, nel caso in esame, la domanda di ingiustificato arricchimento non ha comportato la deduzione di fatti nuovi, rispetto a quelli posti a base del ricorso per ingiunzione, ma solo la deduzione (in subordine) di una diversa qualificazione dei medesimi fatti di cui al suddetto ricorso, ai fini dell’accoglimento della domanda.
Ed invero, l’atto di riconoscimento di debiti pregressi di cui al D.L. n. 66 del 1989, contiene in sè l’accertamento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento per l’ente (Cass. civ., Sez. 3^, 31 maggio 2005 n. 11597) e costituisce titolo idoneo a fondare un’azione di pagamento a titolo di ingiustificato arricchimento (in precedenza non consentita entro i limiti della somma riconosciuta (Cass. civ., Sez. 1^, 27 marzo 2008 n. 7966, cit.).
I medesimi atti e documenti prodotti dal C. fin dall’origine, a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, giustificavano la domanda di pagamento della somma riconosciuta a titolo di ingiustificato arricchimento. La mera specificazione del titolo, all’atto della costituzione in giudizio, non ha comportato pertanto l’ampliamento dell’ambito oggettivo della lite, nè la deduzione o cognizione di fatti nuovi.
7.- Con il terzo motivo, deducendo violazione dell’art. 163 cod. proc. civ., n. 5 e art. 636 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697 proc. civ., comma 1, erroneità della motivazione e del procedimento logico, il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia liquidato l’importo richiesto dal C., determinato sulla base delle tariffe professionali, adducendo che non vi erano agli atti diversi parametri di valutazione e che il Comune non aveva specificamente contestato la richiesta.
7.1.- Il motivo non è fondato.
Giustamente la Corte di appello ha fatto ricorso alla tariffa professionale, nel liquidare al C. la somma richiesta, essendo consentito al debitore contestare l’effettiva erogazione delle prestazioni, o la violazione della tariffa professionale; non certo il fatto che essa sia stata rispettata.
Nè risulta che il ricorrente abbia contestato l’erogazione della prestazione riconosciuto essere stata resa che ha anzi così come ha riconosciuto di dover pagare esattamente l’importo richiesto dal professionista, nell’atto di ricognizione di debito di cui al D.L. n. 66 del 1989.
8.- Entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
9.- Considerata la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio si compensano fra le parti.
P.Q.M
La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta.
Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2008
“Un consiglio: in questi casi, per non correre rischi, fin dall’inizio la domanda di ingiustificato arricchimento va proposta in via subordinata”
Non mi è chiaro questo passaggio: cosa intende per “fin dall’inizio”?
Non mi pare che con il ricorso per decreto ingiuntivo si possa proporre in via subordinata una domanda di ingiustificato arricchimento, anche perché l’eventuale indennizzo è tutt’altro che certo, liquido ed esigibile.
Dunque, come fare per utilizzare la (più veloce) procedura sommaria, senza correre il rischio di non poter far valere in via subordinata la domanda ex art. 2041 c.c. in caso di opposizione e contestazione sulla validità del sinallagma contrattuale?
@Raul: in effetti mi riferivo al giudizio ordinario; in quello di opp. a decr. ing. non c’è possibilità di fare una subordinata nel ricorso.
Grazie per la cortese risposta, che leggo soltanto adesso.
Dunque, mi sto sempre più convincendo che, per non correre rischi, in casi simili sia meglio optare per l’azione ordinaria, in cui proporre in via principale l’azione di inadempimento contrattuale, in via gradata quella di ingiustificato arricchimento ed in via ulteriormente gradata – ove vi sia stata anche consegna di beni: è il mio caso – quella di restituzione delle cose vendute.
In sede di giudizio ordinario di cognizione, poi, si potrà poi sempre proporre istanza di ingiunzione ex art. 186 ter.
Che ne pensa?