Danni provocati da fauna selvatica: una interessante sentenza del Tribunale di Vasto

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L’attore evoca in giudizio la Regione Abruzzo allegando di aver subito danni patrimoniali e non patrimoniali a causa dello scontro con un grosso cinghiale, che era fuorisciuto all’improvviso dal margine sinistro della carreggiata, in un tratto di strada privo di misure idonee ad evitare l’attraversamento di animali selvatici di grossa taglia.

Come sempre, in questa tipologia di cause si pone il problema della titolarità passiva del rapporto (giustamente, osserva il giudice abruzzese, non è una questione di legittimazione passiva, la quale sussiste ogni qual volta il convenuto viene individuato dall’attore come il destinatario della pretesa fatta valere con la domanda giudiziale).

Il Tribunale di Vasto passa anzitutto in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali principali formatisi in materia.

“a) Secondo un indirizzo prevalente, l’ente preposto alla tutela risarcitoria dei terzi danneggiati dagli animali selvatici è la regione, in quanto – come titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica – essa è obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la detta fauna arrechi danni a persone o cose e, in caso di violazione di tale obbligo, diventa responsabile, ex art. 2043 c.c., dei pregiudizi che ne sono derivati in capo a terzi, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (cfr., Cass., 14.02.2000, n. 1638; Cass., 13.12.1999, n. 13956; Cass., 01.08.1991, n. 8470).
Tale conclusione muove dall’assunto che, “sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la l. 11.02.1992, n. 157 (recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma terzo) e affida alle medesime (cui la l. n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni, Province e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle provincie le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della l. n. 142 del 1990 (art. 9, comma primo).” (cfr., da ultimo, Cass., 16.11.2010, n. 23095, nonché Cass., 13.01.2009, n. 467, proprio sulla legittimazione passiva della Regione Abruzzo; Cass., 07.04.2008, n. 8953; Cass., 24.10.2003, n. 16008; Cass., 24.09.2002, n. 13907).
Non sarebbe, peraltro, mai configurabile una responsabilità concorrente o esclusiva dell’ente provinciale, poiché, quand’anche la regione avesse delegato i relativi poteri e funzioni alla provincia, essa rimarrebbe responsabile in quanto “la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante” (cfr., Cass., 01.08.1991, n. 8470).

b) Secondo un opposto orientamento, sostenuto prevalentemente da una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle province, sul rilievo che ad esse spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell’ambito del loro territorio, in forza dei compiti rilevanti di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali.

c) In posizione mediana tra le due diverse tesi si colloca una terza soluzione, da ultimo propugnata dalla Corte di Cassazione (cfr., Cass., 08.01.2010, n. 80), secondo la quale non è possibile aprioristicamente imputare alla regione o alla provincia la responsabilità per i danni provocati alla circolazione stradale dalla fauna selvatica, dal momento che i principi generali in tema di responsabilità civile impongono di individuare il responsabile dei danni nell’ente a cui siano concretamente affidati, con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e di controllo del territorio e della fauna selvatica ivi esistente, e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta. Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: “La responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc, a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata (e quindi, tendenzialmente, alle Province, ndr.), sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest’ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni”.

d) In una recentissima pronuncia, la Corte di Cassazione (cfr., Cass., 21.02.2011, n. 4202), pur affermando il principio appena esposto, è invece tornata a ribadire la tesi della responsabilità esclusiva della regione, argomentando la conclusione dal presupposto che quest’ultima non avrebbe dimostrato (come era suo onere fare) “che all’ente delegato (provincia) sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi inerenti all’esercizio dell’attività stessa e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni””.

Il Tribunale di Vasto pur riconoscendo un fondamento di verità e fondatezza in tutti gli orientamenti se ne discosta affermando il principio secondo cui:

“Stante la sovrapposizione di competenze, poteri e funzioni tra regioni e province, la responsabilità non è da ascrivere ad uno solo di essi, ma ad entrambi gli enti, i quali, pertanto, sono corresponsabili, sia pure a diverso titolo, dei danni provocati dalla fauna selvatica e possono essere chiamati a rispondere, in solido, dei pregiudizi lamentati dagli utenti della strada”

Esaminando gli atti normativi, secondo il giudice abruzzese, ai fini della responsabilità verso i terzi per danni causati dalla fauna selvatica  la provincia è responsabile per le catture, i ripopolamenti e le immissioni degli animali selvatici e per le verifiche della densità faunistica all’atto dell’immissione in natura, mentre la regione è responsabile per i controlli da esercitare in ordine alle condizioni, agli spostamenti, al numero di capi raggiunto, alla densità e agli habitat di vita della fauna medesima.

Pertanto, preso atto della oggettiva sovrapposizione di poteri e competenze regionali e provinciali in materia di fauna selvatica, deve concludersi nel senso che entrambi gli enti possono essere chiamati, alternativamente o congiuntamente, a rispondere dei danni provocati alla circolazione stradale dagli animali selvatici, sempreché colui che assuma di aver subito un danno fornisca la prova della colpa degli enti evocati in giudizio, nell’ambito delle rispettive competenze.

La sentenza è estremamente interessante anche perchè esemplifica i comportamenti colposi dei vari enti. Così la provincia potrà, ad esempio, essere ritenuta responsabile, anche sul piano dell’elemento soggettivo, per:

1) aver effettuato ripopolamenti in numero eccessivo;

2) aver individuato aree di ripopolamento manifestamente inidonee, per esempio perché caratterizzate da diffusa presenza antropica;

3) la mancata segnalazione delle aree di ripopolamento con la specifica cartellonistica di cui al predetto art. 10, commi 4, 11 e 12, della legge regionale n. 10/04;

4) aver scelto, per il ripopolamento, animali allevati in cattività e, per l’effetto, solo formalmente selvatici, agendo quindi in contrasto quanto meno con lo spirito delle norme di cui agli artt. 10, comma 3, e 16 legge 10/04, le quali parlano di ripopolamento di fauna selvatica.

Mentre la Regione sarà responsabile nei seguenti casi:

1) mancato esercizio dei poteri sostitutivi in caso in inerzia dell’ente provinciale nella redazione dei piani faunistico–venatori e dei piani di miglioramento ambientale;
2) mancata o insufficiente attivazione dei propri poteri di controllo sulla densità e l’inidonea ubicazione della fauna;
3) omessa segnalazione alla provincia o al comune competente della presenza di determinata fauna selvatica in area interessata dal traffico veicolare, affinché la provincia o il comune medesimo possa provvedere all’apposizione della segnaletica stradale occorrente;
4) mancata effettuazione degli abbattimenti mirati (cd. caccia di selezione) laddove la presenza della fauna selvatica sia divenuta eccessiva ed abbia già recato ripetuto nocumento a terzi, specie ove vi siano stati preesistenti numerosi avvistamenti e\o incidenti già verificatisi e ritualmente segnalati alle autorità;
5) esercizio della delega di funzioni in maniera tale che il delegato non potesse utilmente esercitarla.

Ai profili di corresponsabilità della regione e della provincia, si deve poi aggiungere la possibile ricorrenza di un ulteriore titolo di responsabilità in capo agli enti territoriali o alle società cui sono affidati i servizi di gestione e manutenzione della strada lungo la quale si è verificato il sinistro (per lo più, province e comuni ovvero l’A.N.A.S. s.p.a. o le concessionarie di tratti autostradali), sui quali incombe non solo l’onere di custodire le strade con manutenzione costante, ma anche quello di attuare tutte le misure atte a scongiurare i rischi di sinistri provocati dalla fauna selvatica e a tutelare l’incolumità di terzi.
Ne consegue che questi ultimi potranno essere citati in giudizio e ritenuti responsabili, ex art. 2043 c.c., per aver colposamente omesso (con onere della prova sempre a carico di parte attrice) di adottare mezzi idonei a salvaguardare la collettività dai possibili danni da animali selvatici. In proposito, è noto che sussiste la possibilità di predisporre in modo diretto interventi idonei a scongiurare la maggior parte dei sinistri, quali, ad esempio: l’utilizzo di sottopassaggi o sovrapassaggi (i cd. “ecodotti”); l’utilizzo di recinzioni lungo i tratti stradali sui quali è frequente questo tipo di incidenti; l’utilizzo di catarifrangenti, a riflesso direzionale, posti a bordo strada a distanza di 10-25 metri uno dall’altro (in questo caso si sfrutta il riflesso dell’immobilizzazione indotto dal fascio luminoso dei fari sull’animale: se il fascio di luce, deviato dai catarifrangenti, investe l’ungulato ai lati della carreggiata, blocca l’animale e gli impedisce di invadere improvvisamente la sede stradale). Esistono, peraltro, anche misure di prevenzione indirette, come la predisposizione di adeguata e specifica segnaletica stradale di pericolo ovvero la diffusione di campagne di educazione volte a modificare l’atteggiamento degli automobilisti al volante.

Nel caso di specie la domanda è stata rigettata, non avendo l’attore provato uno specifico profilo di colpa in capo alla Regione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI VASTO
in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile iscritto al n. 1580/2006 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE.
TRA
TROFINO ….;
ATTORE
E
REGIONE ABRUZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore, ….
CONVENUTA

FATTO

1. Trofino …ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, la Regione Abruzzo, per ivi sentirla dichiarare responsabile del sinistro occorsogli, secondo la dinamica descritta nell’atto introduttivo, e condannarla al risarcimento dei danni consequenziali.
A sostegno della domanda deduce l’attore che:
– in data 03.07.2006, mentre percorreva, a bordo della propria autovettura, la strada Fondovalle Treste, in territorio di Palmoli, impattava contro un grosso cinghiale che all’improvviso fuoriusciva dal margine sinistro della carreggiata e attraversava l’asse stradale, in un tratto di strada privo di misure idonee ad evitare l’attraversamento di animali selvatici di grossa taglia;
– in conseguenza del sinistro, l’autovettura riportava danni per complessivi € 3.915,68, oltre ad € 150,00 per fermo tecnico del mezzo, mentre esso attore subiva lesioni quantificabili in € 2.860,00 (per I.P., I.T.T. e I.T.P.) e un danno morale stimato in € 1.000,00;
– la responsabilità del sinistro deve ascriversi, ai sensi dell’art. 2043 c.c., alla Regione Abruzzo, quale ente cui la L.157/92 affida poteri di gestione, tutela e controllo della fauna selvatica.
Sulla base delle circostanze appena riferite, Trofino …ha formulato le seguenti

CONCLUSIONI

“1) rigettare l’eccezione di incompetenza per territorio poiché infondata e non correttamente formulata e, per l’effetto, dichiarare competente territorialmente il Tribunale di Vasto; 2) accertare e dichiarare che in data 3.7.2006, in territorio di Palmoli, Strada Fondovalle Treste, un cinghiale di grosse dimensioni, improvvisamente fuoriuscito dal margine sinistro della strada, attraversando velocemente la strada, si scontrava con la parte anteriore dell’auto …., tg. …., di proprietà e condotta dall’attore; 3) accertare e dichiarare che la responsabilità del sinistro è da scriversi, ai sensi dell’art. 2043 c.c. e della L.157/92 alla regione Abruzzo, in persona del legale rapp.te p.t., per condotta omissiva per i motivi di cui alle premesse del presente atto; 4) accertare e dichiarare che a seguito del sinistro l’attore subiva un danno di complessivi euro 7.925,68, di cui euro 3.915,68 per danno auto,di cui euro 150,00 per fermo tecnico, di cui euro 2.860,00 per danno biologico e di cui euro 1.000,00 per danno morale; 5) condannare, per l’effetto, l’ente convenuto al pagamento in favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno per i motivi e le causali suesposte, della complessiva somma di euro 7.925,68, di cui euro 3.915,68 per danno auto,di cui euro 150,00 per fermo tecnico, di cui euro 2.860,00 per danno biologico e di cui euro 1.000,00 per danno morale, o a quell’altra cifra maggiore o minore che risulterà dall’esito dell’istruttoria, oltre gli interessi legali dal dì del sinistro al soddisfo ed una indennità per la svalutazione monetaria; 6) con vittoria di spese, diritti ed onorari”.
Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, la quale ha eccepito: 1) l’incompetenza territoriale del giudice adito, in favore del Giudice di pace di L’Aquila, quale foro della Pubblica Amministrazione, ex art. 25 c.p.c., giusta ordinanza n. 13893/05 della Corte di Cassazione che ha confermato l’applicabilità in favore della Regione Abruzzo delle disposizioni di cui al R.D. 1611/33; 2) il proprio difetto di legittimazione passiva, per legittimazione generale della Provincia competente per territorio, ex art. 9 della L. 157/92, come ribadito dalle LL.RR. n. 30/94 e 72/98; 3) l’omesso assolvimento dell’onere probatorio per quanto attiene alla violazione, da parte della Regione, dei canoni di prudenza, negligenza e perizia propri del neminem laedere.
Sulla base delle riferite deduzioni, la convenuta ha rassegnato le seguenti

CONCLUSIONI

1) “Dichiarare la propria incompetenza per territorio in favore del Giudice di Pace de L’Aquila; 2) dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Regione Abruzzo; 3) in via subordinata, rigettare la domanda attrice in quanto infondata in fatto ed in diritto e comunque non provata; 4) in via di ulteriore subordine, limitare l’eventuale condanna della Regione al risarcimento del danno nei limiti risultanti dall’accertato concorso di colpa dell’attore nella causazione dell’evento per cui si procede. Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.

DIRITTO

1. Deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione pregiudiziale di incompetenza territoriale del Tribunale adito, avanzata, ai sensi dell’art. 25 c.p.c., sul presupposto che la Regione Abruzzo si avvale del patrocinio sistematico dell’Avvocatura dello Stato, ex art. 10 legge 3-4-1979 n. 103.
L’eccezione non è tardiva, come erroneamente sostenuto dall’attore, poiché, avendo ad oggetto un’ipotesi di competenza territoriale inderogabile (quale è sicuramente quella disciplinata dall’art. 25 c.p.c. – cfr., in tal senso, Cass., ord. 03/09/2004 n. 17880), essa poteva essere tempestivamente sollevata (come, in effetti, è stato fatto) dal convenuto nella comparsa di costituzione, in ossequio alle prescrizioni dettate dall’art. 38, primo comma, c.p.c., nella versione vigente all’epoca di instaurazione del presente giudizio, a norma del quale l’incompetenza per territorio inderogabile (id est, nei casi previsti dall’art. 28) può essere rilevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione.
Nel merito, l’eccezione di incompetenza è infondata. Pur volendo dare credito alla tesi affermata, in un caso analogo, dalla Corte di Cassazione (cosa di cui, peraltro, questo giudicante dubita fortemente), secondo la quale “l’entrata in vigore della legge regionale (Abruzzo, ndr.) n. 9 del 14.02.2000, che ha istituito l’Avvocatura Regionale ed ha disciplinato i casi di deroga al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, non ha modificato il regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio valevole ex lege per le amministrazioni dello Stato” (cfr., Cass., ord. 28.06.2005, n. 13893), sicuramente la regola processuale del foro erariale non può trovare applicazione nel caso di specie, avendo la Regione Abruzzo scelto di farsi rappresentare nel presente giudizio non dall’Avvocatura dello Stato, bensì dall’ufficio della propria avvocatura regionale, con conseguente esclusione dell’operatività dell’art. 25 c.p.c.
La stessa Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che, nei casi in cui le regioni decidono di ricorrere al patrocinio di difensori dell’ufficio legale interno, “vengono a trovarsi in una condizione incompatibile con quella che comporta l’operatività del foro erariale” (cfr., in tal senso, Cass., S.U., 04/11/1996, n. 9523).
Opinando diversamente, si perverrebbe alla inaccettabile conclusione di dover radicare la competenza in capo al giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, anche per quei processi in cui la Regione non è rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato.
L’eccezione, pertanto, deve essere rigettata.
2. Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta dalla convenuta. Per giurisprudenza costante e condivisibile, il difetto di legittimazione riguarda la mancata astratta coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti rispettivamente richiedenti e destinatari della pronuncia richiesta. “La questione relativa alla legittimazione, pertanto, si distingue nettamente dall’accertamento in concreto che l’attore ed il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio” (cfr., Cass., 24.3.2004, n. 5912).
Ed, infatti, “quando il convenuto eccepisca la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, viene a discutersi non di una condizione per la trattazione del merito della causa, quale la legitimatio ad causam, ma dell’effettiva titolarità passiva del rapporto controverso, cioè dell’identificabilità o meno, nel convenuto stesso, del soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall’attore” (cfr., Cass., 07.12.2000, n. 15537; Cass., 24.02.2000, n. 2105), che rappresenta una questione attinente al merito della controversia (cfr., Cass., 17.05.2000, n. 6420), la quale si risolve nell’accertamento di una situazione di fatto comportante l’accoglimento o il rigetto della pretesa azionata (cfr., Cass., 05.11.1997, n. 10843; Cass., 24.07.1997, n. 6916).
Quindi, quella della legittimazione è una verifica intrinseca alla domanda giudiziale; è, invece, un problema soltanto di merito accertare se la dedotta responsabilità, o anche la sola competenza dell’ente pubblico convenuto in giudizio rispetto alla competenza di altri ed eventuali enti pubblici, sussistano o meno.
Nel caso di specie, è evidente che si configuri una astratta coincidenza tra il soggetto giuridico costituitosi in giudizio in qualità di convenuto e quello nei cui confronti l’attore ha azionato la propria pretesa risarcitoria; è, poi, questione attinente al merito – e non già alla legittimazione passiva della convenuta – accertare la ricorrenza di eventuali profili di responsabilità in capo alla Regione.
3. Venendo al merito, la domanda è infondata e, pertanto, non merita di essere accolta, per le ragioni di seguito illustrate.
Appare, anzitutto, corretta sul piano giuridico l’impostazione data alla presente vicenda, sin dall’atto di citazione, dal Trofino, il quale ha richiamato la clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. Vero è, infatti, che per i danni provocati dalla fauna selvatica non è applicabile la presunzione “a prevalente carattere oggettivo” (cfr., Cass., 07.09.1966, n. 2333) prevista dall’art. 2052 c.c. in materia di danno cagionato da animali, in quanto il fondamento di tale presunzione va ricercato nella disponibilità dell’animale da parte del dominus e, quindi, nel potere-dovere di custodia, ossia nella concreta possibilità di vigilanza e controllo del comportamento degli animali, per definizione non configurabile nei confronti della selvaggina, la quale tale non sarebbe se non potesse vivere, spostarsi e riprodursi liberamente nel proprio ambiente naturale; di talchè, può ben dirsi che questo stato di libertà sia concettualmente incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia incombente sulla P.A.
Secondo l’indirizzo prevalente, “il danno cagionato dalla fauna selvatica, che ai sensi della legge 27 dicembre 1977 n. 968 appartiene alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato, non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 c.c., inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma solamente alla stregua dei princìpi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. anche in tema di onere della prova e richiede, pertanto, l’accertamento di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico” (cfr., Cass., 21.11.2008, n. 27673; Cass., 28.07.2004; Cass., 24.06.2003, n. 100008; Cass., 24.09.2002, n. 13907; Cass., 14.02.2000, n. 1638; Cass., 13.12.1999, n. 13956; Cass., 01.08.1991, n. 8470).
Anche la Corte Costituzionale ha escluso la sussistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra il privato, proprietario di un animale domestico (o in cattività), e la Pubblica Amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi anche gli animali selvatici, sotto il profilo che gli eventuali pregiudizi provocati da “animali che soddisfano il godimento della intera collettività costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico, secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile, ex art. 2043 c.c.” (cfr., Corte Cost., ord. n. 4 del 4.1.2001).
Dunque, proprio perché – in mancanza di un’effettiva disponibilità e potere di controllo – non è configurabile in capo all’ente un obbligo di custodia della selvaggina (di cui è, in ogni caso, giuridicamente proprietario), non è neppure possibile fare applicazione del regime aggravato di responsabilità previsto dall’art. 2051 c.c. (arg. ex Cass., 25.11.1988, n. 6340).
Dall’operatività della clausola generale dell’art. 2043 c.c. consegue pacificamente, per il danneggiato, l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, ossia la condotta commissiva od omissiva, il dolo o la colpa del danneggiante, l’evento dannoso ed il rapporto di causalità tra condotta e danno (cfr., Cass., cit., n. 1638/2000). La prova della mera dinamica del sinistro e della riconducibilità dello stesso all’impatto con l’animale selvatico è quindi necessaria, ma non sufficiente.
Ad avviso di questo giudice non è, invece, giuridicamente corretto sostenere che sia l’ente pubblico convenuto in giudizio a dover dimostrare di aver assunto tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica possa arrecare danno a terzi (così invece, con riferimento all’ente regionale, Cass., 13.12.1999, n. 13956; contra, vedi, però, Cass., cit., n. 1638/2000): una tale inversione dell’onus probandi è prevista dal legislatore e dalla giurisprudenza soltanto per le varie ipotesi di responsabilità aggravata – che, come si è detto, sono inapplicabili nella materia che ci occupa – ma non per la clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass., 08.04.1997, n. 3041).
Ciò detto, occorre verificare se il soggetto obbligato a risarcire il danno sia effettivamente la Regione Abruzzo e, in caso positivo, se dagli atti di causa siano ravvisabili specifiche condotte colpose o dolose, commissive o omissive, da parte della Regione, per effetto delle quali il danno sofferto dal Trofino possa essere ascritto alla responsabilità dell’ente regionale.
4. In ordine al primo profilo, la Regione Abruzzo contesta ogni imputazione di responsabilità, sull’argomento dell’avvenuto trasferimento, in capo alle province territorialmente competenti, delle funzioni amministrative in materia di fauna selvatica.
È appena il caso di evidenziare come, sul tema dell’individuazione dell’ente obbligato a risarcire i danni cagionati dagli animali selvatici, anche nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, si registrano orientamenti interpretativi discordanti.
a) Secondo un indirizzo prevalente, l’ente preposto alla tutela risarcitoria dei terzi danneggiati dagli animali selvatici è la regione, in quanto – come titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica – essa è obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la detta fauna arrechi danni a persone o cose e, in caso di violazione di tale obbligo, diventa responsabile, ex art. 2043 c.c., dei pregiudizi che ne sono derivati in capo a terzi, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (cfr., Cass., 14.02.2000, n. 1638; Cass., 13.12.1999, n. 13956; Cass., 01.08.1991, n. 8470).
Tale conclusione muove dall’assunto che, “sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la l. 11.02.1992, n. 157 (recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma terzo) e affida alle medesime (cui la l. n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni, Province e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle provincie le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della l. n. 142 del 1990 (art. 9, comma primo).” (cfr., da ultimo, Cass., 16.11.2010, n. 23095, nonché Cass., 13.01.2009, n. 467, proprio sulla legittimazione passiva della Regione Abruzzo; Cass., 07.04.2008, n. 8953; Cass., 24.10.2003, n. 16008; Cass., 24.09.2002, n. 13907).
Non sarebbe, peraltro, mai configurabile una responsabilità concorrente o esclusiva dell’ente provinciale, poiché, quand’anche la regione avesse delegato i relativi poteri e funzioni alla provincia, essa rimarrebbe responsabile in quanto “la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante” (cfr., Cass., 01.08.1991, n. 8470).
b) Secondo un opposto orientamento, sostenuto prevalentemente da una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle province, sul rilievo che ad esse spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell’ambito del loro territorio, in forza dei compiti rilevanti di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali.
c) In posizione mediana tra le due diverse tesi si colloca una terza soluzione, da ultimo propugnata dalla Corte di Cassazione (cfr., Cass., 08.01.2010, n. 80), secondo la quale non è possibile aprioristicamente imputare alla regione o alla provincia la responsabilità per i danni provocati alla circolazione stradale dalla fauna selvatica, dal momento che i principi generali in tema di responsabilità civile impongono di individuare il responsabile dei danni nell’ente a cui siano concretamente affidati, con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e di controllo del territorio e della fauna selvatica ivi esistente, e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta. Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: “La responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc, a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata (e quindi, tendenzialmente, alle Province, ndr.), sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest’ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni”.
d) In una recentissima pronuncia, la Corte di Cassazione (cfr., Cass., 21.02.2011, n. 4202), pur affermando il principio appena esposto, è invece tornata a ribadire la tesi della responsabilità esclusiva della regione, argomentando la conclusione dal presupposto che quest’ultima non avrebbe dimostrato (come era suo onere fare) “che all’ente delegato (provincia) sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi inerenti all’esercizio dell’attività stessa e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni”.
e) In questo variegato panorama interpretativo, sebbene tutte le tesi fin qui esposte presentino elementi di fondatezza e di verità, ad avviso di questo giudicante, nessuna di esse sembra essere pienamente condivisibile, poiché, pur nella diversità degli approdi interpretativi cui esse pervengono, tutte si fondano sul comune presupposto di poter individuare la responsabilità soltanto in capo ad uno degli enti pubblici a vario titolo coinvolti dalla normativa vigente in tema di fauna selvatica.
Diversamente, in una materia in cui dalle leggi statali e regionali che regolano competenze e responsabilità dello Stato e degli enti locali non si possono trarre indicazioni univoche, né quanto all’ente responsabile, né quanto ai criteri di imputazione della responsabilità per i danni arrecati alla circolazione stradale, la soluzione interpretativa che questo giudice ritiene preferibile seguire è quella secondo la quale, stante la sovrapposizione di competenze, poteri e funzioni tra regioni e province, la responsabilità non sia da ascrivere ad uno solo di essi, ma ad entrambi gli enti, i quali, pertanto, sono corresponsabili, sia pure a diverso titolo, dei danni provocati dalla fauna selvatica e possono essere chiamati a rispondere, in solido, dei pregiudizi lamentati dagli utenti della strada.
Da un lato è, infatti, vero che l’art. 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ed attualmente l’art. 19 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267) sulle autonomie locali attribuisce alle province le funzioni amministrative che attengano a determinate materie, fra cui la protezione della fauna selvatica (comma 1, lett. f), nelle zone che interessino in parte o per intero il territorio provinciale e che la legge 11 febbraio 1992, n. 157, destinata a regolare la protezione della fauna selvatica, attribuisce alle regioni a statuto ordinario il compito di “emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica” (art. 1, comma 1) e dispone che le province attuano la disciplina regionale “ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 14, comma 1, lett. f)” (art. 1, comma 3), cioè in virtù dell’autonomia ad esse attribuita dalla legge statale e non per delega delle regioni.
Dall’altro lato è, parimenti, vero che la legge 11 febbraio 1992 n. 157 affida alle regioni poteri di gestione, tutela e controllo della fauna selvatica che si affiancano, in posizione sovraordinata, a quelli riconosciuti alle province in materia di caccia e protezione faunistica dalle citate disposizioni (art. 14 della legge 8 giugno 1990 n. 142 ed attualmente art. 19 D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267) e che sono stati ribaditi dalla legislazione regionale di dettaglio. Non può, dunque, revocarsi in dubbio che la regione, in quanto titolare dei poteri anzidetti, sia tenuta ad adottare tutte le cautele necessarie ad impedire che la fauna selvatica protetta arrechi danni a terzi, non solo impartendo le opportune disposizioni alle province ed agli altri enti gestori di riserve, oasi e parchi naturali, ma anche verificando la corretta esecuzione delle misure prescritte ed attuando gli interventi sostitutivi richiesti in caso di perdurante inerzia degli enti gestori. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, deve rilevarsi che i provvedimenti che la pubblica amministrazione ha l’obbligo di adottare al fine di evitare danni e persone e cose devono considerarsi “obbligatori per legge”, perché imposti dal principio generale del neminem laedere sancito dall’art. 2043 c. c., e ricadono, perciò, nella sfera di applicazione dell’art. 136 D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (e per il periodo precedente in quella dell’abrogato art. 48 legge 8 giugno 1990 n. 142, che conteneva analoga disposizione), che prevede il potere dovere della Regione di sostituirsi all’ente territoriale minore inottemperante.
La descritta sovrapposizione di competenze regionali e provinciali in materia di fauna selvatica trova conferma, con riferimento al caso di specie, anche nei rapporti tra la Regione Abruzzo e la Provincia di Chieti.
Dal complesso di norme rappresentato dalla legge statale n. 157 del 11.02.1992, dalla legge regionale Abruzzo n. 10 del 28.01.2004, nonché dalla legge regionale Abruzzo n. 10 del 24.06.2003, si evince che all’ente regionale sono per lo più affidate funzioni di programmazione e di coordinamento dell’attività faunistico/venatoria, con ulteriori compiti sostitutivi, di orientamento e di controllo rispetto alle funzioni di carattere amministrativo che, nella medesima materia, sono invece affidate alle province (cfr. art. 9 legge 157/1992 e art. 2 l.r. 10/04). Alle province, in particolare, spetta l’elaborazione e la redazione dei piani faunistico-venatori “per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio” (art. 10, comma 1, legge 157\1992). Il contenuto dei piani faunistici e dei piani di miglioramento ambientale di competenza provinciale comprende, tra le varie attribuzioni, anche: a) l’individuazione “[del]le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l’immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all’ambientamento fino alla ricostituzione ed alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio” (art.10, comma 8, lett. b), legge 157/1992 e art. 10, comma 3, lett. b), legge regionale 10/04); b) la predisposizione di piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale della fauna (cfr. art. 11, legge 10/04); c) la predisposizione di piani di immissione di detta fauna selvatica, anche mediante la cattura dei capi presenti in soprannumero in altri parchi nazionali o regionali (cfr. art.11 legge 10/04); d) l’individuazione delle “attività di cattura e di ripopolamento tende[nti] all’immissione equilibrata sul territorio delle specie di fauna selvatica autoctona, fino al raggiungimento delle densità faunistiche ottimali” (art. 11, comma 2, legge 10/04); e) l’individuazione “[del]le oasi di protezione, destinate a rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica” nonché “[del]le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l’immissione nel territorio in tempi e condizioni utili all’ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio” (art. 10, comma 3, legge 10/04). A cura delle province interessate, tali ultime aree debbono essere delimitate da specifiche e ben visibili tabelle (cfr. art. 10, commi 4, 11 e 12, legge 10/04).
In tali settori l’intervento regionale è soltanto eccezionale: “le regioni, in via eccezionale, ed in vista di particolari necessità ambientali, possono disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e cattura, nonché l’attuazione dei piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7” (art. 10, comma 16, legge 157/1992).
Il piano faunistico/venatorio regionale, a sua volta, svolge funzioni di coordinamento e di verifica dei piani provinciali (cfr., art. 12, legge 10/04), provvedendo altresì alla “destinazione differenziata del territorio”, ossia all’individuazione delle aree del territorio regionale destinate all’attività venatoria.
Dal suddetto tessuto normativo emerge una specifica competenza della provincia in ordine al controllo sulla fauna selvatica presente all’interno del proprio territorio: le attività di cattura e ripopolamento sembrerebbero implicare un conseguente e successivo controllo sulla fauna che sia stata introdotta sul territorio o comunque sia già presente in esso. A ciò, in particolare, condurrebbe quel generale dovere di controllare la densità faunistica ottimale, di cui si è detto in precedenza: esso, per la sua assolutezza, sembrerebbe concernere sia la fauna selvatica frutto di interventi di ripopolamento, sia quella autoctona, frutto invece della naturale riproduzione e dei naturali spostamenti sul territorio.
Tale conclusione deve essere, però, letta in combinato disposto con l’art. 19, comma 2, della legge 157/1992, il quale stabilisce che “le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia”. Ebbene, il termine controllo implica, anche soltanto sul piano lessicale, una responsabilizzazione nell’evitare che il bene da controllare possa essere fonte di pericolo per i terzi.
Ne consegue che, anche ai fini della responsabilità verso i terzi per danni causati dalla fauna selvatica, da un lato la provincia è responsabile per le catture, i ripopolamenti e le immissioni degli animali selvatici e per le verifiche della densità faunistica all’atto dell’immissione in natura; dall’altro la regione è responsabile per i controlli da esercitare in ordine alle condizioni, agli spostamenti, al numero di capi raggiunto, alla densità e agli habitat di vita della fauna medesima.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, preso atto della oggettiva sovrapposizione di poteri e competenze regionali e provinciali in materia di fauna selvatica, non può che concludersi nel senso che entrambi gli enti possono essere chiamati, alternativamente o congiuntamente, a rispondere dei danni provocati alla circolazione stradale dagli animali selvatici, sempreché colui che assuma di aver subito un danno fornisca la prova della colpa degli enti evocati in giudizio, nell’ambito delle rispettive competenze.
La soluzione propugnata, nella misura in cui prospetta una corresponsabilità solidale della regione e della provincia, presenta un duplice vantaggio: su un piano prettamente giuridico, permette di ricostruire una più puntuale correlazione tra i titoli di responsabilità e le funzioni svolte, di guisa che ciascuno degli enti pubblici citati in giudizio potrà e dovrà rispondere soltanto delle azioni od omissioni colpevolmente commesse nell’esercizio delle proprie funzioni; su un piano pratico, sottrae l’ignaro utente della strada non solo all’incertezza circa l’esatta individuazione del soggetto pubblico responsabile dei danni, ma anche agli inconvenienti legati ai prevedibili rimpalli di responsabilità tra regione e provincia, con l’ulteriore pregio: a) di evitargli il rischio di coltivare iniziative processuali destinate all’insuccesso, perché intraprese nei confronti di un soggetto ritenuto non legittimato al risarcimento; b) di introdurre un elemento di facilitazione, anche sotto il profilo probatorio, in un ambito giuridico caratterizzato da molteplici fattori di significative difficoltà, rappresentati, sul piano sostanziale, da oscillazioni interpretative della giurisprudenza non ancora sopite e, sul piano processuale, dalla necessità di far fronte ad oneri probatori di non facile ottemperanza.
5. Chiarita, quindi, la sussistenza di una corresponsabilità tra ente regionale ed ente provinciale, in applicazione della clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., colui che agisce in giudizio per ottenere il ristoro di un danno cagionato dalla fauna selvatica dovrà offrire la prova che la regione o la provincia (o entrambe) si siano rese responsabili di una condotta attiva od omissiva posta in essere con dolo o colpa. Tenendo presente la ripartizione delle funzioni, come delineata dalla normativa statale e regionale sopra richiamata, la provincia potrà, ad esempio, essere ritenuta responsabile, anche sul piano dell’elemento soggettivo, per: 1) aver effettuato ripopolamenti in numero eccessivo; 2) aver individuato aree di ripopolamento manifestamente inidonee, per esempio perché caratterizzate da diffusa presenza antropica; 3) la mancata segnalazione delle aree di ripopolamento con la specifica cartellonistica di cui al predetto art. 10, commi 4, 11 e 12, della legge regionale n. 10/04; 4) aver scelto, per il ripopolamento, animali allevati in cattività e, per l’effetto, solo formalmente selvatici, agendo quindi in contrasto quanto meno con lo spirito delle norme di cui agli artt. 10, comma 3, e 16 legge 10/04, le quali parlano di ripopolamento di fauna selvatica.
Tale ultimo aspetto merita un chiarimento ulteriore. E’ noto, infatti, che mentre gli animali selvatici tendono a sfuggire l’uomo e le sue presenze, gli animali domestici tendono spesso ad avvicinarvisi, tanto più che, negli allevamenti in cattività, la comparsa dell’essere umano e del veicolo a motore che frequentemente lo accompagna spesso non è fonte di pericolo, ma di sostentamento. Ergo, l’animale, prima allevato in cattività e poi immesso sul territorio come animale formalmente selvatico, nel sentire il rumore del motore di un’automobile che passa lungo la strada, tenderà non a scappare, ma ad accostarvisi, aumentando così la probabilità di impatti lesivi.
Quanto alla Regione, alla luce della menzionata normativa, possibili profili di responsabilità, anche sul piano dell’elemento soggettivo, possono essere i seguenti: 1) mancato esercizio dei poteri sostitutivi in caso in inerzia dell’ente provinciale nella redazione dei piani faunistico–venatori e dei piani di miglioramento ambientale; 2) mancata o insufficiente attivazione dei propri poteri di controllo sulla densità e l’inidonea ubicazione della fauna; 3) omessa segnalazione alla provincia o al comune competente della presenza di determinata fauna selvatica in area interessata dal traffico veicolare, affinché la provincia o il comune medesimo possa provvedere all’apposizione della segnaletica stradale occorrente; 4) mancata effettuazione degli abbattimenti mirati (cd. caccia di selezione) laddove la presenza della fauna selvatica sia divenuta eccessiva ed abbia già recato ripetuto nocumento a terzi, specie ove vi siano stati preesistenti numerosi avvistamenti e\o incidenti già verificatisi e ritualmente segnalati alle autorità; 5) esercizio della delega di funzioni in maniera tale che il delegato non potesse utilmente esercitarla.
In ordine alla prova dell’elemento soggettivo, la casistica che, a titolo esemplificativo, si è ritenuto opportuno esporre fa ben comprendere che non si tratta di probatio diabolica: è sufficiente che il danneggiato dimostri anche uno solo dei richiamati specifici profili di responsabilità, ovvero altre circostanze da cui emerga una responsabilità colpevole della regione o della provincia, affinché, nell’àmbito di quella valutazione congiunta di tutte le risultanze processuali che sempre spetta al giudice, possa ritenersi assolto l’onere della prova su di lui gravante.
6. Ai profili di corresponsabilità della regione e della provincia, si deve poi aggiungere la possibile ricorrenza di un ulteriore titolo di responsabilità in capo agli enti territoriali o alle società cui sono affidati i servizi di gestione e manutenzione della strada lungo la quale si è verificato il sinistro (per lo più, province e comuni ovvero l’A.N.A.S. s.p.a. o le concessionarie di tratti autostradali), sui quali incombe non solo l’onere di custodire le strade con manutenzione costante, ma anche quello di attuare tutte le misure atte a scongiurare i rischi di sinistri provocati dalla fauna selvatica e a tutelare l’incolumità di terzi.
Ne consegue che questi ultimi potranno essere citati in giudizio e ritenuti responsabili, ex art. 2043 c.c., per aver colposamente omesso (con onere della prova sempre a carico di parte attrice) di adottare mezzi idonei a salvaguardare la collettività dai possibili danni da animali selvatici. In proposito, è noto che sussiste la possibilità di predisporre in modo diretto interventi idonei a scongiurare la maggior parte dei sinistri, quali, ad esempio: l’utilizzo di sottopassaggi o sovrapassaggi (i cd. “ecodotti”); l’utilizzo di recinzioni lungo i tratti stradali sui quali è frequente questo tipo di incidenti; l’utilizzo di catarifrangenti, a riflesso direzionale, posti a bordo strada a distanza di 10-25 metri uno dall’altro (in questo caso si sfrutta il riflesso dell’immobilizzazione indotto dal fascio luminoso dei fari sull’animale: se il fascio di luce, deviato dai catarifrangenti, investe l’ungulato ai lati della carreggiata, blocca l’animale e gli impedisce di invadere improvvisamente la sede stradale). Esistono, peraltro, anche misure di prevenzione indirette, come la predisposizione di adeguata e specifica segnaletica stradale di pericolo ovvero la diffusione di campagne di educazione volte a modificare l’atteggiamento degli automobilisti al volante.
Orbene, in base al principio dell’onere della prova, in questi casi spetta al danneggiato dimostrare che il luogo del sinistro fosse abitualmente frequentato da animali selvatici con un numero eccessivo di esemplari, tale da costituire un pericolo per gli utenti della strada, ovvero che fosse stato teatro di precedenti incidenti già noti o segnalati dalle autorità competenti (ad es. forze di polizia o enti locali) e tali da imporre al gestore della strada di attivarsi, collocando appositi cartelli di segnalazione stradale di pericolo (cfr., Cass., 21.11.2008, n. 27673).
Non è, invece, pensabile che l’ente responsabile della strada (e la regione quale soggetto deputato al controllo della fauna selvatica) debbano essere obbligati alla recinzione di tutte le vie aperte al traffico veicolare. Uno specifico obbligo del genere, anche per i suoi costi, ove voluto sarebbe stato espressamente indicato dal legislatore, statale o regionale. Ma così non è, visto che, come si è precisato, il legislatore regionale si è limitato, persino per le aree soggette a ripopolamento (ossia per quelle su cui è più marcata la presenza di fauna selvatica), ad obbligare le province unicamente ad apporre uno specifico cartello. Del resto, si tratterebbe di una soluzione impraticabile, sia perché contrastante con lo stato brado in cui, per definizione, la fauna selvatica deve vivere, sia perché impedirebbe a tutti i proprietari dei fondi circostanti la sede stradale di accedervi liberamente. Non si può, in altri termini, realisticamente esigere una simile misura, soprattutto se si nega che la P.A. disponga di quei poteri di vigilanza e di controllo da cui discende l’applicazione dell’art. 2052 c.c.
In alternativa al titolo di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., il danneggiato potrà azionare anche la più vantaggiosa forma di responsabilità ex art. 2051 c.c., ma solo quando e a condizione che dimostri i presupposti applicativi di tale disposizione normativa, vale a dire: a) che sussista un effettivo potere di custodia sulla strada da parte dell’ente gestore; b) che il danno cagionato dall’animale sia scaturito dalla cattiva manutenzione stradale (come può essere lo stato di abbandono delle reti di recinzione che bloccano il passaggio degli animali sulle strade, ove esistenti). In difetto di prova del rapporto di custodia e del nesso causale tra il danno provocato dall’animale selvatico e la cosa custodita, non rimane all’interessato altra soluzione se non quella di intraprendere l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c.
7. Facendo applicazione al caso concreto dei principi finora esposti in via generale, e posto che il Trofino ha agito esclusivamente nei confronti della Regione Abruzzo (che – per quanto detto – deve essere chiamata a rispondere, in presenza degli altri presupposti di responsabilità, dei danni provocati dalla fauna selvatica) e non anche nei riguardi della Provincia di Chieti o dell’ente responsabile della manutenzione del tratto stradale sul quale si è verificato il sinistro, ai fini dell’accoglimento della domanda si impone la necessità di verificare se l’attore abbia fornito la prova di un concreto comportamento omissivo o commissivo, doloso o colposo, ascrivibile all’ente regionale e in conseguenza del quale si sia verificato l’evento dannoso dedotto in giudizio.
A ben vedere, tali elementi probatori non sono stati in alcun modo offerti dal Trofino, il quale si è limitato a fornire la prova della dinamica del sinistro e dei danni che ne sono conseguiti, senza dimostrare la ricorrenza di alcuna condotta negligente o comunque colpevole, nei termini di cui in premessa, da parte della Regione Abruzzo.
Né la prova della colpa dell’ente regionale può essere dedotta dalle dichiarazioni dei diversi testi di parte attrice, nella parte in cui affermano che lungo il tratto stradale interessato dal sinistro non ci sono recinzioni o guard rail atti ad impedire l’attraversamento degli animali selvatici, né segnali di pericolo che indicano agli utenti della strada tale possibile attraversamento.
Deve, infatti, precisarsi che, con riferimento alle strade regionali e provinciali (quale è quella per cui è causa), il soggetto tenuto a rispondere delle condizioni del tratto stradale in cui si verifica un incidente non è la regione, bensì la provincia, come confermato, nel caso di specie, dal fatto che, con legge regionale n. 11/99, la Regione Abruzzo ha trasferito ogni competenza in ordine agli assetti viari che attraversano il proprio territorio al demanio delle province territorialmente competenti. Il Trofino avrebbe, quindi, potuto far valere le sue pretese risarcitorie nei confronti della Provincia di Chieti, quale ente responsabile della gestione e manutenzione della strada, deducendo (e, naturalmente, provando) la colposa violazione degli obblighi di controllo e di garanzia delle condizioni di sicurezza della strada e/o l’omissione delle dovute misure precauzionali.
Avendo, invece, limitato l’azione nei soli riguardi della Regione (che non è direttamente responsabile per la manutenzione stradale), in base ai principi esposti in premessa, l’attore avrebbe dovuto dimostrare che la mancata apposizione della cartellonistica o di altre misure di sicurezza da parte della provincia fosse dipesa da una condotta omissiva colposa dell’ente regionale, anche semplicemente perché sulla strada interessata vi erano già stati numerosi pregressi avvistamenti ed attraversamenti di cinghiali o di altra fauna selvatica, se non anche incidenti tra veicoli a motore ed i predetti animali, debitamente segnalati alla regione.
Va, infatti, precisato che l’obbligo del gestore della strada di apporre specifica segnaletica stradale (ed il concorrente obbligo della regione di compulsare il primo in tal senso) sorge solo in presenza di concreti elementi che lo rendano cogente, quali, ad esempio, la presenza in loco di aree di ripopolamento e cattura, la segnalazione in determinate zone, da parte di cittadini o pubbliche autorità, di frequenti passaggi di animali selvatici o di pregressi sinistri con questi ultimi, una comprovata elevata densità faunistica in zone limitrofe, ecc.
L’attore, avrebbe dovuto, dunque, allegare e provare che, nonostante precedenti episodi di tal genere, la Regione Abruzzo non aveva provveduto a segnalare la circostanza all’ente proprietario della strada, ovvero – pur avendolo fatto – aveva omesso di adottare le iniziative opportune al fine di verificare l’esatto adempimento delle disposizioni impartite; sarebbe spettato, poi, alla Regione dimostrare il contrario.
Tali evidenze non sono state, però, in alcun modo raggiunte, perché il Trofino non ha fornito alcun elemento di prova in ordine a circostanze di fatto in base alle quali la Regione Abruzzo avrebbe dovuto sollecitare l’apposizione di adeguata segnaletica e vigilare sul puntuale adempimento di tale prescrizione. In mancanza di dette prove, non è possibile affermare la riconducibilità del sinistro a comportamenti imputabili alla Regione Abruzzo, né è dato cogliere alcun profilo di colpa addebitabile alla stessa.
In base a tutto quanto esposto, non potendosi basare la prova della fondatezza della domanda sulla deduzione di una mera responsabilità di posizione della regione, derivante dalla titolarità di poteri ed obblighi in ordine alla fauna selvatica, deve concludersi che la domanda risarcitoria proposta dal Trofino non può trovare accoglimento, in quanto il predetto non ha provato alcuna responsabilità colposa dell’ente convenuto in giudizio.
8. Quanto al regime delle spese processuali, la complessità in punto di diritto della questione affrontata, nonché l’esistenza di precedenti giurisprudenziali anche di segno difforme, inducono questo giudicante a ritenere sussistenti giusti e fondati motivi, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., per disporre la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.
Relativamente alle spese della consulenza tecnica d’ufficio, come in atti liquidate, esse devono porsi definitivamente a carico di ciascuna delle parti, in misura pari al 50%, con espresso riconoscimento del diritto della parte, che abbia eventualmente già corrisposto al c.t.u. l’intero importo delle sue spettanze, di ripetere, nei confronti dell’altra, le somme versate in eccedenza rispetto alla misura del 50% dalla stessa dovuta.

Per Questi Motivi

Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Trofino ….contro Regione Abruzzo, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede:
RIGETTA la domanda di cui in epigrafe;
DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese di lite;
PONE definitivamente a carico di ciascuna delle parti, nella misura del 50%, le spese di consulenza tecnica d’ufficio, per l’importo come liquidato in corso di causa, con espressa dichiarazione di ripetibilità delle somme versate in eccedenza rispetto alla misura dovuta da ciascuna delle parti;
MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Vasto, 07/07/2011.
IL GIUDICE
dott. Fabrizio Pasquale


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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2 commenti:

  1. John

    forse non ho ben capito, ma mi sembra che chi ha subito l’incidente non sia stato risarcito, se è così spero che il caro giudice si scontri contro un bel cervo adulto con la sua bella mercedes magari con i nipotini a bordo ovviamente senza che nessuno si faccia male, vediamo poi cosa ne pensa.



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