Contratto di locazione: quid juris nel caso in cui l’inadempimento del conduttore (inesistente al momento della domanda) sopraggiunga nel corso della stessa? Può il giudice pronunciare la risoluzione?

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La Corte di Cassazione (sent. 16645/2016) al quesito del post ha dato risposta affermativa.

Dunque, il conduttore chiamato in giudizio per sentire dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento, è tenuto comunque ad adempiere se intende opporsi alla domanda e mantenere in vita il contratto.

Queste le argomentazioni testuali.

7.3. Infondata è, altresì, la seconda censura.

E’ la stessa Corte d’appello a dichiarare che l’obbligo di pagamento del canone era sottoposto a condizione sospensiva (non retroattiva), avveratasi il 4.8.2008 (p. 25 della sentenza impugnata). Il presente giudizio tuttavia iniziò in primo grado con domanda di sfratto notificata il 7.8.2008, e fondata sul mancato pagamento dei canoni di maggio, giugno e luglio.

Dunque al momento dell’introduzione della domanda di risoluzione (sfratto) non vi era inadempimento.

Tuttavia il Tribunale, con statuizione non censurata e dunque passata in giudicato, ha rilevato che la condizione sospensiva si avverò il 2.1.2009, e dunque da quel momento sorse l’obbligo del conduttore di pagamento del canone: obbligo che nondimeno restò inadempiuto per tutto il corso del giudizio.

Occorre dunque stabilire se possa dichiarare risolto per inadempimento un contratto quando l’inadempimento del convenuto, insussistente al momento della domanda, sopraggiunga in corso di causa.

Questo problema è già stato esaminato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale l’ha così risolto:

(a) l’art. 1453 c.c., comma 3 non preclude al convenuto l’adempimento quando la domanda di risoluzione sia infondata;

(b) questo principio comporta un reciprocum, e cioè che la proposizione d’una domanda di risoluzione infondata non esonera il debitore dall’obbligo di adempiere o di offrire l’adempimento.

Se ciò il convenuto non fa, può accadere che una domanda di risoluzione, infondata al momento in cui venne proposta, diventi fondata in corso di giudizio, a causa del perdurare della mora del convenuto (Sez. 2, Sentenza n. 8955 del 29/08/1990, Rv. 469121).

7.4. Non condivisibile, per contro, è il diverso e minoritario orientamento, secondo cui l’inadempimento sopravvenuto nel corso del giudizio di risoluzione sarebbe irrilevante (principio affermato da Sez. 2, Sentenza n. 6121 del 01/06/1993, Rv. 482617). Tale diverso orientamento, infatti, sorto con riferimento all’inadempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo nella vendita, e ad un contratto ad esecuzione istantanea, e non ad un contratto di durata come la locazione, se applicato ai contratti di durata condurrebbe a risultati paradossali.

Infatti se si negasse che la gravità dell’inadempimento, insussistente al momento dell’introduzione della lite, potesse essere tenuta in considerazione dal giudice anche quando sopraggiunga in corso di causa, si perverrebbe alla seguente aporia:

(a) l’attore, che con la sua azione di risoluzione ha dimostrato di non essere ulteriormente interessato all’esecuzione del contratto, si vede respingere la domanda;

(b) il convenuto, che non ha offerto di adempiere in corso di causa perchè ha preso atto del disinteresse manifestato dall’attore con la sua domanda, e crede che il vincolo contrattuale sia destinato a venire meno, si ritrova, al momento della sentenza, vincolato dal contratto e obbligato ad eseguire una prestazione che magari non è più disponibile.

Ammettendo invece che si possa tenere conto, nel valutare la gravità dell’inadempimento, anche della condotta successiva alla domanda di risoluzione, l’attore evita l’inconveniente di dover proporre una seconda domanda di risoluzione.

Il convenuto, dal canto suo, sarà posto di fronte all’alternativa:

-) o adempiere le proprie obbligazioni sopravvenute in corso di causa, se ha interesse all’esecuzione del contratto;

-) ovvero, se ha perduto interesse alla prosecuzione del contratto, egli sa che la sua inerzia protratta in corso di causa condurrà alla risoluzione del contratto, e potrà di conseguenza cessare di tenersi pronto all’adempimento. Nel caso di specie, quindi, l’infondatezza originaria della domanda di risoluzione non esonerava MS dall’obbligo di pagamento dei canoni maturati successivamente alla domanda (o almeno dall’offerta di essi). Pertanto correttamente il Tribunale dichiarò risolto il contratto, giacchè l’inadempimento di MS, insussistente al momento della domanda, sopravvenne in corso di causa.

Una domanda sorge spontanea: che ne è del terzo comma dell’art. 1453, secondo cui dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione?


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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