Il Tribunale di Bari (sent. 3 marzo 2008) è chiamato ad affrontare due questioni:
- se la sentenza che condanna alle spese di lite sia provvisoriamente esecutiva, anche se di rigetto della domanda nel merito;
- se nel precetto sia possibile addebitare alla controparte le voci “posizione e archivio”; “consultazioni” e “corrispondenza“.
Relativamente alla prima questione, il Tribunale si allinea alla giurisprudenza più recente del Supremo Collegio, affermando che alla luce del nuovo testo della disposizione normativa (art. 282 c.p.c.), si deve ritenere che valga la regola dell’immediata efficacia endoprocessuale di qualsiasi pronuncia di condanna, quale inconfutabilmente è anche quella alle spese del processo.
Quanto alla seconda questione, secondo il Tribunale gli onorari e i diritti di procuratore per le voci tariffarie riferite a consultazioni con il cliente e alla corrispondenza informativa con il cliente non sono ripetibili – ai sensi dell’art. 1 della tariffa forense in relazione alla tabella B, parte I – nei confronti della parte soccombente, in sede di precetto intimato dalla parte vittoriosa (Cass. 20.8.2002 n.12270).
E la stessa ratio porta ad escludere che sia dovuto un diritto per “posizione e archivio”, atteso che una volta emessa la sentenza definitiva ed escluse alcune attività necessarie e consequenziali (come la registrazione), la fase di cognizione si intende chiusa e i diritti e gli onorari spettanti sono (eventualmente e solo) quelli indicati a tal fine nella parte 2″ della Tabella contenuta nelle Tariffe Forensi in vigore.
Tribunale Bari, 03 marzo 2008, n. 553, sez. II
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BARI
Seconda sezione civile
Il Giudice Unico Luigi Agostinacchio ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile iscritta nel registro generale affari contenziosi
sotto il numero d’ordine 4369 dell’anno 2006
TRA
La …….
– opponente –
CONTRO
Centro ………….
– opposto –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato 1’11.4.2006 la …..soc. coop. a r.1. con sede in Triggiano proponeva opposizione ai sensi dell’art.615, primo comma c.p.c, al precetto notificato il 22.3.2006, con il quale, su istanza della …..Si s.r.l. veniva intimato il pagamento della somma di e 10.301,08 sulla base della sentenza del Tribunale di Bari del 24.8.2004 n.1563, in relazione alle spese di lite liquidate in favore della parte vittoriosa; con avvertimento che, in caso di ulteriore inadempimento, sarebbe stata iniziata l’azione esecutiva.
Esponeva l’opponente che la sentenza indicata in precetto non costituiva titolo esecutivo, in quanto la decisione di merito aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo, cose rigettando la domanda proposta in sede monitoria; che solo nel caso in cui la pronuncia sulle spese fosse stata accessoria ad una sentenza di condanna avrebbe potuto giustificare l’esecuzione; che l’intimante aveva erroneamente determinato i diritti di avvocato, attribuendosi anche la maggiorazione del 12,50% – non prevista nel titolo – quale contributo per spese generale nonché diritti di “posizione e archivio” e di “consultazione”, successivi al deposito della sentenza.
Concludeva pertanto per la declaratoria d’inefficacia del precetto, con vittoria delle spese del giudizio. Si costituiva la società opposta, con comparsa depositata il 5.10.2006, chiedendo il rigetto dell’opposizione, sul presupposto dell’idoneità della sentenza in oggetto a costituire titolo esecutivo per il recupero coattivo delle spese processuali. Deduceva inoltre che la maggiorazione del 12,50% era dovuta, a prescindere dalla previsione nel titolo giudiziale.
In esito alla trattazione, la causa, incentrata su questioni di diritto, era istruita con acquisizioni documentali e riservata per la decisione alla suddetta udienza di precisazione delle conclusioni, con termine per il deposito di comparse e di repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
E’ indubbio che sussiste l’interesse ad agire dell’opponente all’accertamento della dedotta inidoneità del titolo a legittimare l’azione espropriativa in suo danno, preannunciata con la notifica del precetto opposto.
L’esistenza del titolo esecutivo costituisce infatti condizione dell’azione di opposizione ex art.615 c.p.c. e deve persistere fino al momento della decisione, con la conseguenza che solo la sua caducazione potrebbe determinare la mancanza (originaria o sopravvenuta) dell’interesse del creditore alla pronuncia di merito.
Ciò premesso, l’opposizione nel merito è infondata e non merita accoglimento.
La decisione della controversia verte principalmente su una circostanza in diritto: se sia cioè valido titolo esecutivo la sentenza di primo grado di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, nella parte in cui condanna la parte soccombente al pagamento delle spese processuali. Una consolidata giurisprudenza della Suprema Corte aveva in realtà affermato, con riguardo alla condanna delle spese del giudizio, contenuta nella sentenza di primo grado, che tale statuizione può costituire titolo esecutivo a norma dell’art.447 c.p.c. soltanto nel caso in cui sia accessoria ad una pronuncia di condanna dichiarata provvisoriamente esecutiva a norma dell’art.282 c.p.c. – così come sostituito dall’art.33 l. 26.11.1990 n.353, in vigore dall’1.1.1993 – oppure esecutiva per legge, ma non quando sia conseguente alla decisione di rigetto della domanda oggetto del giudizio oppure ad un pronuncia di accertamento; ciò sul presupposto del carattere accessorio del capo sulle spese rispetto a quello sul merito (ex multis Cass. sez. II 12.7.2000 n.9236). Autorevole dottrina aveva criticato tale impostazione, ritenendo addirittura iniquo che le spese del processo potessero farsi valere in via esecutiva contro la parte soccombente non al termine di ogni processo ma solo al passaggio in giudicato della sentenza, fatta eccezione per le pronunce su domande di condanna, accolte dal giudice di primo o secondo grado. In particolare, non aveva condiviso (in sede di commento a Cass.9236/2000) che, in generale, i provvedimenti di condanna contenuti in una più ampia sentenza – quali capi accessori o cumulati ad altre azioni di accertamento oppure costitutive – non potessero godere della provvisoria esecuzione fino al passaggio in giudicato della sentenza stessa che li conteneva.
Un recente mutamento interpretativo della Suprema Corte ha dato ragione a tale impostazione dottrinaria, con argomentazioni pienamente condivisibili, dalle quali non si ritiene pertanto di discostarsi.
Nel caso di specie, l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo si concreta nel rigetto della domanda del creditore intimante, determinando la revoca dell’ingiunzione.
Deve rilevarsi a riguardo che il giudice di legittimità ha preso atto del precedente orientamento e, sottoponendolo a rigoroso vaglio critico, lo ha consapevolmente disatteso. La sentenza in questione (Cass. sez. III 10.11.2004 n.21367) ha innanzitutto ribadito il principio secondo cui “l’anticipazione dell’efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato riguarda soltanto il momento della esecutività della pronuncia, con la conseguenza, per la necessaria correlazione tra condanna ed esecuzione forzata, che la disciplina dell’esecuzione provvisoria ex art.282 c.p.c. trova legittima attuazione solo con riferimento alla sentenza di condanna, poiché è l’unica che possa, per sua natura, costituire titolo esecutivo”. La Corte ha invece manifestato il proprio dissenso rispetto alla precedente scelta ermeneutica, basata sull’applicazione del principio di diritto meramente sostanziale accessorium sequitur principale all’ordinamento processuale: la pronuncia di condanna sulla spese, sebbene accessoria e strumentale a quella di merito (alla pronuncia cioè sul diritto fatto valere in giudizio), conserva sotto il profilo processuale una sua autonomia, non essendovi alcuna norma di diritto positivo che autorizzi a ritenere il contrario. Ha concluso pertanto che “va affermato il diverso principio di diritto secondo il quale, ai sensi del novellato art.282 del codice di procedura civile, deve ritenersi oggi legittimamente predicabile la provvisoria esecutività di tutti i capi delle sentenze di primo grado aventi portata condannatoria (quale quello relativo alle spese del giudizio), trattandosi di un meccanismo del tutto automatico e non subordinato all’accoglimento o meno della domanda (qual che essa sia) introdotto dalle parti” (in termini, in motivazione). L’adesione a tale interpretazione – che, in sé considerata, costituisce il superamento di una precedente opzione ermeneutica – implica il rigetto dell’opposizione, essendo la sentenza in questione valido titolo esecutivo, e non determina la declaratoria d’inefficacia del precetto. Non si trascura, nell’esame della fattispecie, che il suddetto mutamento interpretativo potrebbe trovare un duplice ordine di argomentazioni contrarie, in parte presenti nella difesa dell’opponente: in primo luogo per l’unicità della pronuncia che l’ha espresso, a fronte di un precedente e consolidato indirizzo difforme; inoltre per il successivo intervento sul punto della Corte Costituzionale (sent. C.Cost. 16.7.2004 n.232), letto in chiave favorevole alla soluzione prospettata dall’opponente.
Gli argomenti suddetti non sono idonei ad inficiare le conclusioni che precedono.
La Suprema Corte ha infatti ribadito in due altre occasioni l’orientamento espresso con la citata sentenza n.21367/2004, così consolidando il convincimento secondo cui, a norma dell’attuale formulazione dell’art.282 cpc, che ha introdotto nell’ordinamento la regola dell’immediata efficacia endoprocessuale di qualsiasi pronuncia di condanna, sono provvisoriamente esecutivi tutti i capi della sentenza che contengono una condanna, compreso il capo contenente la condanna alle spese del giudizio nei casi in cui la sentenza accolga azioni non di condanna oppure rigetti qualsiasi tipo di domanda (Cass. 3.8.2005 n.16262 e Cass. 3.8.2005 n.16263). In particolare, la lettura della motivazione della sentenza n.16262/2005 evidenzia che il mutamento del quadro gìurisprudenziale è coerente con le premesse della pronuncia della Corte Costituzionale 16 luglio 2004, n.232, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt.282 e 474 c.p.c. sollevata, in riferimento agli artt.3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, nonché all’art.6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal Tribunale di Torino.
La Suprema Corte ha precisato che la regola secondo cui la condanna alle spese segue la stessa sorte del capo principale della sentenza – nel senso che, se i capi di accertamento o costitutivi non possono godere di anticipazioni dell’efficacia ad un momento anteriore al passaggio in giudicato, lo stesso vale per la condanna alle spese del processo (accessorium sequitur principale) – poteva valere alla stregua del vecchio testo dell’art.282 cpc, allorquando si considerava che la clausola di provvisoria esecuzione ivi prevista andasse concessa se accordata anche per il merito. Alla luce del nuovo testo della disposizione normativa, si deve invece ritenere – come accennato in precedenza – che valga la regola dell’immediata efficacia endoprocessuale di qualsiasi pronuncia di condanna, quale inconfutabilmente e – anche quella alle spese del processo. Il ragionamento della Suprema Corte è rafforzato da un’ulteriore osservazione: la condanna alle spese ha la qualifica di accessoria non nel senso proprio di cui all’art.31 c.p.c. – così come stabilito dalla giurisprudenza e anche dalla Corte Costituzionale – perché si tratta di un capo della sentenza che non necessita di apposita domanda e trova il suo titolo nel dovere officioso del giudice di condannare il soccombente alle spese del giudizio (art.91 c.p.c.). L’accessorietà è stata piuttosto intesa come dipendenza della condanna alle spese da una pronunzia principale che, per ragioni processuali o di merito, definisce il giudizio e consente di individuare una soccombenza. In questo senso, il complessivo assetto processuale non consente di sottrarre la condanna de qua al regime dell’art.282 cpc, che si deve ritenere disciplini qualsiasi capo condannatorio della sentenza e, dunque, anche quello alle spese.
Con altro motivo di opposizione la società La Mongolfiera lamenta l’intimazione di una somma (contributo spese generali ex art.14 tariffe forensi) non prevista nel titolo esecutivo. Anche tale motivo è infondato, perché trattasi di un rimborso che trova titolo e misura nella legge e che compete all’avvocato pur in difetto di espressa menzione nel dispositivo della sentenza (Cass. 2.7.2003 n.10416; di recente Cass. 14.5.2007 n.10997).
Con ultimo motivo di doglianza la società opponente deduce l’arbitrario inserimento nel precetto di due voci, relative a diritti di avvocato non dovuti (per “posizione e archivio”, per “corrispondenza” e per “consultazione”). Il rilievo è fondato. Gli onorari e i diritti di procuratore per le voci tariffarie riferite a consultazioni con il cliente e alla corrispondenza informativa con il cliente non sono infatti ripetibili – ai sensi dell’art. 1 della tariffa forense in relazione alla tabella B, parte I – nei confronti della parte soccombente, in sede di precetto intimato dalla parte vittoriosa (Cass. 20.8.2002 n.12270). La stessa ratio porta ad escludere che sia dovuto un diritto per “posizione e archivio”: una volta emessa la sentenza definitiva ed escluse alcune attività necessarie e consequenziali (come la registrazione), la fase di cognizione si intende chiusa e i diritti e gli onorari spettanti sono (eventualmente e solo) quelli indicati a tal fine nella parte 2″ della Tabella contenuta nelle Tariffe Forensi in vigore.
L’accoglimento parziale dell’opposizione e la particolarità della questione in diritto, che poteva prestarsi a dubbi ed incertezze interpretative – nel senso evidenziato – giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull’opposizione a precetto proposta con citazione notificata l’11.4.2006 dalla La …..soc. coop. a r.l. nei confronti della …..Sì s.r.l. così provvede:
accoglie parzialmente l’opposizione e, per l’effetto: a) dichiara che al creditore opposto non sono dovuti diritti di avvocato per “posizione e archivo”, “corrispondenza” e “consultazioni”; b) rigetta ogni altro rilievo dell’opponente;
compensa tra le parti le spese del giudizio.
Bari, 26.2.2008
Giudice Luigi Agostinacchio
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