Si può proporre in un separato giudizio una domanda di condanna all’eliminazione delle cause produttive di un danno, qualora in un giudizio precedente sia stata proposta domanda di risarcimento del danno senza riserve?

Mirco Minardi

Il caso è questo:

Tizio cita la società Alfa allegando:

  • che a causa della omessa manutenzione di un canale di scarico, le acque avevano danneggiato l’immobile di sua proprietà;
  • che la società Alfa era già stata condannata al risarcimento dei danni con sentenza del 2002;
  • che i danni si erano nel frattempo aggravati;
  • che pertanto la stessa doveva essere condannata a risarcire i danni ulteriori (dal 2002 in avanti) e ad un facere, consistente nel eliminare le cause del danneggiamento.

La soc. Alfa resiste alla domanda.

Il Tribunale di Roma (sent. 27 febbraio 2007) , oltre a respingere le ulteriori richieste di danno, si sofferma sulla domanda di condanna ad un facere osservando che:

  • La domanda di condanna dell’autore di un fatto illecito alla rimozione delle cause di danno mira a porre il danneggiato nello stato di fatto in cui si trovava prima dell’evento dannoso. Anch’essa è pertanto una domanda di risarcimento, e rientra nel genus del risarcimento in forma specifica, di cui all’art. 2058 c.c..
  • Or bene, secondo il giudice di legittimità il diritto al risarcimento del danno ha carattere unitario.
  • La relativa domanda può essere proposta in misura incompleta o ridotta solo se il creditore faccia espressa riserva di domandare in separato giudizio le voci non richieste (così Cass., sez. III, 06-12-2005, n. 26687, in Foro it. Rep. 2005, Cosa giudicata civile, n. 25; ma nello stesso senso si veda già Cass., 08-07-1981, n. 4488, in Foro it., 1982, I, 763).
  • In assenza di tale precisazione o riserva da parte del danneggiato, trova applicazione il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, e cioè non solo le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio ma anche “tutte le altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente si caratterizzano per la loro comune inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente svolte, è precluso proporre in un successivo giudizio una domanda fondata su ragioni giuridiche che, seppure non prospettate né espressamente enunciate in quello precedente, costituiscano tuttavia una premessa ed un precedente logico della relativa pronuncia, tali da non comportare la prospettazione di un autonomo thema decidendum” (giurisprudenza sterminata: da ultimo, ma ex multis, Cass., sez. II, 04-11-2005, n. 21352, in Foro it. Rep. 2005, Cosa giudicata civile, n. 22).
  • Ne consegue che, avendo l’attore nel 1995 domandato la condanna dell’Alfa al risarcimento del danno, senza alcuna riserva in merito alla domanda di condanna alla rimozione delle cause, quest’ultima è oggi preclusa.
  • 3.2. La seconda ed indipendente ragione per la quale la domanda di condanna dell’ALfa ad un facere va rigettata è che è rimasta sfornita di prova. In tema di illecito aquiliano, infatti, è onere dell’attore provare tute le componenti del fatto illecito: condotta, nesso causale e danno.
  • Nel caso di specie, per quanto già esposto supra, § 2.1, non vi è alcuna certezza che dopo la sentenza del 2002 il danno patito dall’attore si sia aggravato, e men che meno vi è certezza del fatto che l’aggravamento sia imputabile ad una condotta omissiva o commissiva dell’ALfa.

Tribunale Roma, 27 febbraio 2007, sez. XIII
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome Del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI ROMA
– Sez. XIII Civile –
in persona del giudice unico, dott. Marco Rossetti, ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n° 48537/04 del
R.G.A.C., trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006,
vertente
tra
– A.R., elettivamente domiciliato in Roma, circ.ne C. 7, presso
l’Avv. Nicolino S. che lo rappresenta e difende per procura
apposta in margine all’atto di citazione;
– attore -;
e
-) E. Produzione s.p.a. in persona del legale rappresentante pro
tempore, sia in proprio che quale rappresentante volontaria di E.
s.p.a., elettivamente domiciliato in Roma, v. G. de C. 6, presso
l’Avv. Marcello P. che lo rappresenta e difende per procura apposta
in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
– convenuta -;
OGGETTO: risarcimento danni;
CONCLUSIONI DELLE PARTI: all’udienza del 27.11.2006 le parti
concludevano come da verbale in pari data;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione regolarmente notificato, A.R. conveniva dinanzi a questo Tribunale l’E. s.p.a..
L’attore esponeva che:
– era proprietario di un fondo con sovrastante casolare sito a M. S. (RI), loc. “P.”;
– nei pressi del suddetto fondo esisteva un canale di scarico delle acque provenienti dalla centrale idroelettrica “Torre B.”, gestita dall’E.;
– a causa di un difetto di manutenzione del canale, le acque provenienti da questo si erano diffuse nel terreno, giungendo alle fondamenta del proprio immobile, e danneggiandolo;
– in conseguenza di tali fatti aveva convenuto in giudizio l’E. s.p.a. dinanzi a questo Tribunale, chiedendone la condanna al risarcimento del danno ed alla esecuzione delle opere necessarie per la rimozione degli inconvenienti sopra descritti;
– con sentenza 17.6.2002 n. 24501 l’E. s.p.a. era stata condannata al risarcimento del danno in favore dell’attore;
– dopo tale sentenza, l’E. “nulla [aveva] fatto per ovviare” agli inconvenienti sopra descritti, né aveva eseguito le opere “indicate dal C.T.U. per una corretta manutenzione del canale”.
Concludeva pertanto chiedendo la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni subiti dal casolare, in conseguenza dei fatti ora descritti, dal 17.6.2002 (data del deposito della sentenza resa inter partes) ad oggi.
Si costituiva in giudizio la E. Produzione s.p.a., dichiarando di agire sia in proprio che quale rappresentante delle E. s.p.a., dichiarando che quest’ultima le aveva ceduto il ramo d’azienda concernente la produzione di energia elettrica, e tutti i relativi rapporti giuridici attivi e passivi.
Nel merito, negava la sussistenza dei danni lamentati dall’attore e la loro derivazione causale dal canale di cui si è detto.
Nel corso dell’istruzione venivano acquisiti documenti, raccolta prova testimoniale.
Esaurita l’istruzione e precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 10.12.2001.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Legittimazione.
Preliminarmente deve rilevarsi come legittimata passiva nel presente giudizio, rispetto alla domanda attorea, sia unicamente la E. s.p.a., ai sensi dell’art. 2560, comma 1, c.c…
La costituzione della E. Produzione s.p.a. va dunque qualificata come intervento adesivo dipendente.
2. La domanda di risarcimento del danno.
La domanda di risarcimento del danno ulteriore rispetto a quello liquidato con la sentenza n. 24501/02 pronunciata inter partes da questo Tribunale è infondata sia in fatto che in iure.
2.1. In facto, la domanda è infondata perché il danno del quale l’attore ha chiesto il ristoro nel presente giudizio risulta essere già stato liquidato con la sentenza pronunciata tra le stesse parti e per gli stessi fatti in data 17.6.2002.
Sarebbe stato, pertanto, onere dell’attore dimostrare che dopo la pronuncia della suddetta sentenza si siano verificati nuovi ed ulteriori danni, tali da rendere insufficiente la somma liquidata con la sentenza di cui si è detto.
Tale prova è mancata del tutto.
Infatti nessuno dei testimoni indotti dall’attore ha saputo riferire, con ragionevole certezza, se ed a partire da quando le condizioni dell’immobile dell’attore siano peggiorate. Ed infatti:
– il teste A. ha riferito che le crepe “hanno continuato ad allargarsi”, ma ha poi soggiunto di non essere in grado di dire a partire da quando ciò sia accaduto;
– il teste R. ha riferito che le crepe “sono aumentate”, ma ha poi soggiunto di non sapere dire se la crepa che dal terrazzo arriva fino a terra sia rimasta ferma o sia aumentata;
– il teste M. nulla ha saputo dire sulle crepe;
– il teste Re. ha riferito di non essere in grado di dire se le crepe siano aumentate col tempo.
2.2. La domanda attorea, come accennato, si è poi rivelata infondata in iure.
Si rileva infatti dalla sentenza n. 24501/02, all.ta sub 3 al fasc. attoreo, e dalla relazione di consulenza d’ufficio disposta in quel giudizio (all.ta sub 4 al fasc. attoreo), che il danno liquidato all’attore nel 2002 era pari al costo necessario per fare eseguire varie opere di totale bonifica e restauro dell’immobile, consistenti tra l’altro nel consolidamento delle fondazioni, nel rifacimento del tetto, nella realizzazione di un cordolo in cemento armato, nel rifacimento degli intonaci.
E’ pacifico che l’attore non abbia eseguito alcuna di tali opere.
Da ciò consegue che l’eventuale allargamento delle crepe, così come l’eventuale progressione dell’ammaloramento degli intonaci, non costituiscono un danno in senso giuridico, giacché essi comunque saranno eliminati dagli imponenti lavori di restauro il cui costo è già stato liquidato all’attore. Né questi ha mai provato (ed, in verità, nemmeno allegato) che per effetto della progressione del disfacimento dell’immobile si renderanno necessari ulteriori e più onerosi lavori rispetto a quelli il cui costo gli è stato già liquidato.
3. La domanda di condanna ad un facere.
Anche la domanda di condanna della convenuta alla rimozione delle cause delle infiltrazioni va rigettata, per due indipendenti ragioni.
3.1. La domanda di condanna dell’autore di un fatto illecito alla rimozione delle cause di danno mira a porre il danneggiato nello stato di fatto in cui si trovava prima dell’evento dannoso. Anch’essa è pertanto una domanda di risarcimento, e rientra nel genus del risarcimento in forma specifica, di cui all’art. 2058 c.c..
Or bene, secondo il giudice di legittimità il diritto al risarcimento del danno ha carattere unitario. La relativa domanda può essere proposta in misura incompleta o ridotta solo se il creditore faccia espressa riserva di domandare in separato giudizio le voci non richieste (così Cass., sez. III, 06-12-2005, n. 26687, in Foro it. Rep. 2005, Cosa giudicata civile, n. 25; ma nello stesso senso si veda già Cass., 08-07-1981, n. 4488, in Foro it., 1982, I, 763).
In assenza di tale precisazione o riserva da parte del danneggiato, trova applicazione il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, e cioè non solo le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio ma anche “tutte le altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente si caratterizzano per la loro comune inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente svolte, è precluso proporre in un successivo giudizio una domanda fondata su ragioni giuridiche che, seppure non prospettate né espressamente enunciate in quello precedente, costituiscano tuttavia una premessa ed un precedente logico della relativa pronuncia, tali da non comportare la prospettazione di un autonomo thema decidendum” (giurisprudenza sterminata: da ultimo, ma ex multis, Cass., sez. II, 04-11-2005, n. 21352, in Foro it. Rep. 2005, Cosa giudicata civile, n. 22).
Ne consegue che, avendo l’attore nel 1995 domandato la condanna dell’E. al risarcimento del danno, senza alcuna riserva in merito alla domanda di condanna alla rimozione delle cause, quest0ultima è oggi preclusa.
3.2. La seconda ed indipendente ragione per la quale la domanda di condanna dell’E. ad un facere va rigettata è che è rimasta sfornita di prova. In tema di illecito aquiliano, infatti, è onere dell’attore provare tute le componenti del fatto illecito: condotta, nesso causale e danno.
Nel caso di specie, per quanto già esposto supra, § 2.1, non vi è alcuna certezza che dopo la sentenza del 2002 il danno patito dall’attore si sia aggravato, e men che meno vi è certezza del fatto che l’aggravamento sia imputabile ad una condotta omissiva o commissiva dell’E..
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
-) rigetta la domanda come proposta da A.R. nei confronti di E. s.p.a.;
-) condanna A.R. alla rifusione in favore di E. s.p.a. delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 100 per spese; euro 1.500 per diritti di procuratore; euro 2.000 per onorari di avvocato, per complessivi euro 3.600, oltre spese generali, I.V.A. e C.N.P.A.F..
Così deciso in Roma, nella tredicesima sezione civile del Tribunale, addì 27.2.2007.
Il Giudice est.
(dott. Marco Rossetti)


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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