Il pagamento del decreto ingiuntivo in corso di causa.

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Avv. Mirco Minardi

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce il proprio orientamento secondo cui

  • l’opposizione non è azione di impugnazione della validità del decreto ingiuntivo e non si esaurisce nella verifica del controllo della legittimità originaria del decreto, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione, diretto all’accertamento della esistenza del diritto di credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione, nel quale il creditore opposto ad il debitore opponente assumono la posizione sostanziale, rispettivamente, di attore e di convenuto;
  • la sentenza che decide sull’opposizione, cosi come dove accogliere la pretesa creditoria rigettando l’opposizione qualora riscontri che le relative condizioni, pur se mancanti all’atto di quel ricorso, sussistano al momento della decisione, analogamente dove respingere la protesa medesima, accogliendo l’opposizione e revocando il decreto, qualora accerti, su eccezione del debitore, che all’indicato momento il credito sia estinto, per effetto di successivo adempimento senza riserve dell’obbligato, salvo il riflesso, sulla regolamentazione della spese, del fatto che tale adempimento sia intervenuto o sia stato eccepito solo nel corso del giudizio di opposizione.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 18 maggio 2007, n. 11660

Svolgimento del processo

Il Ministero dei lavori pubblici si oppose al decreto emesso in data 15 giugno, 1992 dal presidente del Tribunale di Bologna con il quale gli era stato ingiunto di pagare alla s.p.a. Ing. S. G. & C. la somma di lire 467.047.630, oltre interessi e spese, a titolo di prima rata di acconto sul corrispettivo per lavori di rialzo e ringrosso dell’argine terminale di destra del Po di Goro. Eccepì la inesigibilità del credito azionato in sede monitoria, non essendo intervenuta la registrazione del contratto di appalto e dei correlativi titoli di spesa da parte della Corte dei Conti – presupposto di legittimità del chiesto pagamento e condizione espressamente prevista contrattualmente – la quale, anzi, aveva operato rilievi di illegittimità al riguardo, tali da indurre la dovuta cautela a precludere il pagamento in questione.
Resistette l’ingiungente, deducendo che il decreto di approvazione del contratto di appalto ora divenuto efficace ex lego, in quanto era trascorso il termine previsto dall’art. 24 della legge n. 1/1978 per eventuali rilievi da parte dell’organo di controllo e che, d’altra parte, la clausola contrattuale recante la menzionata condizione per il pagamento della rata di acconto in discussione aveva natura vessatoria e non era stata specificamente approvata.
Concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, l’Amministrazione interessata provvide all’integrale pagamento di quanto dovuto in forza della ingiunzione per capitale, interessi e spese, attraverso la procedura del riconoscimento del debito.
Con sentenza resa pubblica il 12 marzo 1998, l’adito Tribunale di Bologna, respinta l’eccezione relativa alla legittimazione dell’opponente, revocò il decreto ritenendo fondata la tesi del Ministero circa l’inesigibilità del credito e la preclusione del pagamento, anche la inefficacia del contratto in questione a seguito del successivo rifiuto di registrazione da parte della Corte dei Conti. Peraltro, pur dando atto dell’intervenuto riconoscimento del debito e del relativo pagamento da parte del l’Amministrazione con riguardo non solo alla quota di cui al decreto ingiuntivo, ma all’intero importo dei lavori nel frattempo portati a termine dalla società appaltatrice, lo stesso giudice riconobbe il diritto di quest’ultima al corrispettivo integrale ai sensi dell’art. 2041 c.c. e condannò l’opponente al pagamento, in favore dell’opposta, della somma di lire 1.976.137.406, dichiarando compensate tra la parti la spese del giudizio.
Decidendo sul gravame del Ministero e su quello incidentale della s.p.a. Ing. S. G. & C., la corte d’appello di Bologna accolse il primo, ritenuta l’abnormità della statuizione di prime cure relativa alla condanna dell’opponente al pagamento di un credito mai azionato da controparte, rigettò il secondo e, in parziale riforma della sentenza impugnata, previa conferma della revoca del decreto ingiuntivo, dichiarò, per l’intervenuto pagamento in corso di causa, l’insussistenza del credito della società, compensando le spese di entrambi i gradi del giudizio. Nel respingere l’appello incidentale, la Corte osservò, per quanto ancora interessa, che il richiamato art. 24 della legge n. 1 del 1978 non “appare” applicabile alla fattispecie, riferendosi ai decreti di cui all’art. 18 del r.d. n. 1214/1934 e successive modificazioni ad integrazioni, concernenti le sola opere descritto all’art. 1 dello stesso tento normativo; in ogni caso, non prevede che l’atto acquisti efficacia definitiva ove la Corte dei conti non muova rilievi nel termine (oltretutto non definito perentorio) di trenta giorni, potendo essere posto nel nulla all’esito del controllo successivo da parte del predetto organo; quindi, gli aspetti di illegittimità già inizialmente segnalati dalla Corte dei conti (risoltasi poi a rifiutare il visto e la registrazione dell’atto) integravano una giustificata ragione impeditiva del pagamento per la via ordinaria; inoltre, la clausola espressamente apposta al contratto di appalto, che subordinava il pagamento all’esito positivo del controllo dell’atto da parte del citato organo, costituiva un ulteriore specifico fattore ostativo ed era priva di portata onerosa, prevedendo in realtà una condicio iuris riproduttiva di un precetto di legge in materia amministrativa. Quanto alla sorte del decreto ingiuntivo, nel giudizio di opposizione – il cui oggetto non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità dell’ ingiunzione, ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia – il giudice devo revocare il provvedimento opposto avo accerti come nella specie) l’intervenuto pagamento del debito in un momento posteriore alla sua emissione.
Della sopra compendiata sentenza, la s.p.a. Ing. S. G. & C. ha chiesto la cassazione con ricorso sostenuto da un unico complesso motivo, illustrato da successiva memoria.
Non resisto l’intimato Ministero.

Motivi della decisione

Con l’unico complesso motivo il ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 24 della legge 3 gennaio 1978 n. 1 e dell’art. 18 del r.d. n. 1214/1934 nonché Vizi motivazionali. Diversamente da quanto opina la corte territoriale, l’art. 24 della legge n. 1/1978 è sicuramente applicabile alla fattispecie in quanto: il decreto n. 9398 del Presidente del Magistrato del Po, che ha approvato il contratto di appalto stipulato il 3 dicembre 1991, rientra tra quelli indicati all’art. 18 del r.d. n. 1214/1934; le opere affidate in appalto erano urgenti, quali quelle contemplate all’art. 1 della legge n. 1/1978. Decorsi trenta giorni dalla data in cui era pervenuto alla Corte dei conti, il predetto decreto di approvazione acquistò efficacia non definitiva, ma tale da perdurare sino al (negativo) controllo successivo – peraltro comunicato in data 22 febbraio 1993, molti mesi dopo il decreto ingiuntivo, alla cui data era pienamente, soppur provvisoriamente, efficace, onde non vi ora alcuna giustificata ragione impeditiva del pagamento. La clausola richiamata dalla corte d’appello non ora contenuta nel contratto, ma nel verbale di consegna dei lavori che non costituisce atto contrattuale; essa non doveva più ritenersi applicabile una volta che la S. aveva eseguito lavori per altri nei, successivi pagamenti in acconto, senza nulla ricevere. Stante la mancata sottoposizione del decreto 14 dicembre 1991 al controllo preventivo nel termine previsto dall’art. 24 legge n. 1/1978, con conseguente acquisizione di efficacia dell’atto e del contratto approvato, non veniva più in rilievo la condizione apposta nel verbale di consegna dei lavori. La relativa clausola era sicuramente onerosa ove se ne dovesse intendere estesa l’operatività al caso in cui il controllo non fosse avvenuto tempestivamente, l’art. 24 prevedendo la inefficacia del contratto e del decreto di approvazione, qualora i rilievi intervengano nel termine ivi stabilito (decorso il quale, i due atti acquistano efficacia). Il pagamento integrale intervenuto in corso di giudizio di opposizione non poteva determinare la reiezione della domanda di conferma del decreto ingiuntivo opposto, essendone conseguiti altri importi (interessi, spose legali e spese della fase esecutiva).
Il ricorso non può trovare accoglimento.
Come puntualmente illustrato dalla ricorrente, la sentenza qui impugnata si fonda su cinque autonome rationea decidendi al fine dì rigettare l’appello incidentale: la prima è che il decreto del Magistrato del Po non rientra tra quelli di cui all’art. 18 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, richiamato dall’art. 24 della legge 3 gennaio 1978, n. 1; la seconda, è che le opere affidate in appalto non rientrano tra quelle contemplate all’art. 1 della legge n. 1 del 1978; la terza è che l’art. 24 della legge n. 1 del 1978 non prevede l’acquisizione di una definitiva efficacia del provvedimento amministrativo ove la Corte dei conti non formuli rilievi istruttori nel termine (oltretutto non definito perentorio) di 30 giorni, potendo essere posto nel nulla all’esito del controllo successivo da parte del predetto ente; la quarta è che la clausola apposta nel contratto di appalto, in virtù della quale il pagamento veniva subordinato all’esito positivo del controllo dell’atto ad opera dell’organo competente, costituiva un ulteriore specifico fattore ostativo ed era priva di portata onerosa, prevedendo in realtà una condicio iuris riproduttiva di un precetto di legge in materia amministrativa; la quinta è che nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, il cui oggetto non è limitato alla verifica delle relative condizioni di ammissibilità e di validità dell’ingiunzione, ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi dei diritto in contestazione con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia, l’intervenuto pagamento del debito in un momento posteriore all’emissione del decreto monitorio ne comporta la revoca.
Ne segue che è sufficiente dimostrare l’infondatezza delle censure rivolte a una sola di tali ragioni per rigettare il ricorso, senza necessità di esaminare quelle che investono le altre.
Si è detto che con l’ultima delle censure la società ricorrente critica la sentenza laddove ha ritenuto che Comunque il pagamento in corso di giudizio di opposizione induce la revoca del decreto opposto. Pagamento, è bene sottolinearlo, che con giudizio di fatto insindacabile e peraltro neanche specificamente contestato dalla ricorrente, la sentenza (vedine pag. 5, secondo capoverso) afferma essere stato “integrale” avendo compreso “quanto dovuto in forza dell’ingiunzione: per capitale, interessi e spese”.
In effetti la censura è infondata. in quanto l’affermazione della corte territoriale risponde a un principio che, dopo alcune oscillazioni, è ben fermo presso la giurisprudenza di questa Corte.
Sin dalla sentenza n. 7448/1993 con la quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno risolto il contrasto insorto in materia, si è andato affermando il principio secondo il quale il fatto sopravvenuto (sia esso considerato come estintivo del fondamento della pretesa azionata, ovvero come carenza sopravvenuta di interesse), se idoneo a precludere una decisione sul merito della pretesa, necessariamente travolge anche la pronunzia (di merito e suscettibile di passare in cosa giudicata) resa nella fase monitoria (vedi, in seguito, Cass. nn. 1690/1989, 1690/1992, 9490/1995, 13027/1995, 5336/1997, 4531/2000, 22489/2006). Infatti, l’oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto, ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi, moditicativi ed estintivi del diritto in contestazione con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza, sicché anche quando risulti fondata, anche solo parzialmente, un’eccezione di pagamento del debito in un Momento posteriore all’emissione del decreto, si deve comunque revocare in toto il decreto opposto senza che rilevi in contrario l’eventuale posteriorità dell’accortato fatto estintivo al momento dell’emissione dei provvedimento opposto. Del resto, l’indirizzo contrario è costretto a precisare che resta in ogni caso salva l’opponibilità dell’avvenuto pagamento ne il creditore, ancorché soddisfatto, sì avvalga del decreto non revocato come titolo esecutivo, dimostrando così l’incongruità e il contrasto con il principio di economicità di una soluzione che lasci persistere formalmente un titolo esecutivo per la realizzazione di un diritto che più non esiste.
In altri termini, l’opposizione non è azione di impugnazione della validità del decreto ingiuntivo e non si esaurisce nella verifica del controllo della legittimità originaria del decreto. ma introduce un ordinario giudizio di cognizione, diretto all’accertamento della esistenza del diritto di credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione, nel quale il creditore opposto ad il debitore opponente assumono la posizione sostanziale, rispettivamente, di attore e di convenuto. Pertanto, la sentenza che decida sull’opposizione, cosi come dove accogliere la pretesa creditoria rigettando l’opposizione qualora riscontri che le relative condizioni, pur se mancanti all’atto di quel ricorso, sussistano al momento della decisione, analogamente dove respingere la protesa medesima, accogliendo l’opposizione e revocando il decreto, qualora accerti, su eccezione del debitore, che all’indicato momento il credito sia estinto, per effetto di successivo adempimento senza riserve dell’obbligato, salvo il. riflesso, sulla regolamentazione della spese, del fatto che tale adempimento sia intervenuto o sia stato eccepito solo nel corso del giudizio di opposizione.
Manca però una impugnazione specifica della statuizione della Corte d’appello relativa al regolamento delle spese della fase monitoria, avendo la società ricorrente appuntato le suo censure sulla questione principale (e assorbente) della illegittimità della revoca dell’ingiunzione in presenza di un pagamento successivo alla relativa pronuncia. in ogni caso, sia detto per debito di ragione, la corte, con statuizione di per sé sottratta -al controllo di legittimità, ha provveduto alla compensazione delle spese dei due gradi del giudizio, tra le quali si devono presumere ricomprese anche quella liquidate nella fase monitoria.
Sulla scia di omologhe considerazioni sulla natura giuridica del processo di opposizione ad ingiunzione, come giudizio diretto a accertare l’esistenza del diritto fatto valere mediante il ricorso monitorio al momento della decisione (o non come mero giudizio di accertamento della validità del decreto), si rivelano infondate, sia detto per completezza di argomento, anche le censure rivolte all’affermata inefficacia retroattiva, a seguito dei rilievi istruttori formulati dalla Corte dei conti, del decreto 14 dicembre 1991 del magistrato del Po approvativo del contratto di appalto (terza ratio decidendi).
Stabilisce l’art. 24 della legge n. 1/1978 che “i decreti di cui all’art. 18 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni e integrazioni, comunque concernenti le opere di cui all’art. 1, acquistano efficacia qualora non siano restituiti con rilievo istruttorio entro trenta giorni dalla data in cui siano pervenuti alla Corte dei conti e sono assoggettati al controllo successivo”. Dal tenore della disposizione si evince che l’efficacia acquisita dal decreto non restituito nel termine previsto per legge è provvisoria e risolutivamente condizionata alla successiva formulazione di rilievi istruttori da parte dell’organo di controllo. non è dunque revocabile in dubbio che dalla elevazione, sia pure postuma, del rilievo contabile, consegue la caducazione, ex tunc, del decreto e, con effetto di rimbalzo, la sua inidoneità a costituire valido titolo per il pagamento delle opere appaltate.
Nella specie, dunque, i rilievi contabili formulati dalla Corte dei conti determinarono automaticamente la cessazione ex tunc degli effetti (provvisori) del decreto con cui il Magistrato del Po aveva approvato il contratto di appalto con conseguenziale inidoneità del decreto stesso a costituire titolo valido per il pagamento del relativo corrispettivo.
Ciò comportava, appunto, la revoca del decreto ingiuntivo emesso sulla base della provvisoria efficacia del provvedimento in parola, avuto riguardo al ricordato meccanismo del giudizio di opposizione, il quale non si esaurisce nella verifica della legittimità originaria dell’ingiunzione.
In diversi termini, ai fini della legittimità della ingiunzione, non è sufficiente che il titolo allegato al ricorso monitorio esista al momento in cui viene emesso il decreto, ma è necessario che permanga per tutto il corso del giudizio di opposizione; la sopravvenuta caducazione ex tunc del titolo giustificativo del credito importa necessariamente illegittimità con effetto omologo della ingiunzione. Quindi, se, come nel caso in ispecie, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo si accerti che l’efficacia del titolo giustificativo della pretesa creditoria azionata monitoriamento sia venuta meno con effetti risalenti al momento dell’emanazione dell’ingiunzione, questa deve essere revocata, con i conseguenziali riflessi in tema di interessi e spese del relativo procedimento.
Una volta rigettate le censure avverso la terza e la quinta ratio decidendi, le altre contenute in ricorso diventano inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse. Infatti va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, la censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, all’annullamento della decisione stessa (cfr. Caso. nn. 20454/2005, 9449/2000, 3951/1998, 10555/1994).
Non vi è luogo a statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato dicastero svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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