Le sentenze di primo grado pronunciate nell’azione ex art. 2932 c.c., sono provvisoriamente esecutive (Cass. 18512/2007)?

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Le sentenze civili possonno essere di tre tipi:

  • di accertamento
  • di condanna
  • costitutive

Mentre con riferimento alle sentenze di condanna nessuno ha mai dubito della loro provvisoria esecutività a seguito della riforma dell’art. 282 c.p.c. ad opera della legge 353/90, dubbi sono sempre esistiti in merito a quelle di accertamento, a quelle costitutive e a quelle di rigetto con condanna alle spese legali.

Con la sentenza in esame (n. 18512/2007) la Corte di Cassazione affronta ex professo la questione, stabilendo il principio secondo cui “Nel caso di pronuncia della sentenza costituiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell’adempimento delle prestazioni a carico della parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell’art. 282 c.p.c., di modo che, qualora l’azione ai sensi dell’art. 2932 c.c., sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerare immediatamente esecutiva“.

Questo in sintesi il ragionamento della Corte, la quale premette che con riguardo a questa particolare fattispecie non risulta essersi ancora pronunciata.

  • La Cassazione ricorda anzitutto che l’applicabilità dell’art. 282 c.p.c., a statuizione condannatoria conseguente ad una pronuncia costitutiva è stata affermata con riferimento ad azione volta ad ottenere la costituzione coattiva di una servitù. Si è ritenuto, infatti, che “la disciplina dell’esecuzione provvisoria di cui all’art. 282 c.p.c., trova legittima attuazione anche con riferimento alle sentenze di condanna implicita, nelle quali l’esigenza di esecuzione della sentenza scaturisce dalla stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere. Ne consegue che è suscettibile di provvisoria esecuzione una sentenza costitutiva di una servitù ex art. 1051 (o 1052) c.c., allorché contenga tutti gli elementi identificativi in concreto della servitù, sia pure con rinvio alla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel corso del giudizio, atteso che essa ha la funzione di risolvere un’esigenza fattuale dell’attore, assicurandogli il passaggio al fine di raggiungere la via pubblica“.
  • In precedenza, inoltre, la Corte, capovolgendo un precedente orientamento, aveva genericamente affermato l’applicabilità dell’art. 282 c.p.c., ai capi condannatori accessori a pronunce costitutive occupandosi del problema della esecutività della statuizione di condanna nelle spese che sia contenuta in una pronuncia di mero accertamento, qual è la sentenza di rigetto, affermando che “ancorchè l’art. 282 c.p.c., nella formulazione vigente per effetto della sostituzione operata dalla L. n. 353 del 1990, art. 33, non consenta di ritenere che l’efficacia delle sentenze di primo grado aventi natura di accertamento e/o costitutiva sia anticipata rispetto alla formazione della cosa giudicata sulla sentenza e debba, dunque, affermarsi che dette sentenze possono vedere anticipata la loro efficacia rispetto a quel momento soltanto in forza di espressa previsione di legge (come accade, ad esempio, nell’art. 421 c.c.), qualora ad esse acceda una statuizione condannatoria (come, ad esempio, quella sulle spese di una sentenza di rigetto di una domanda), tale statuizione, in forza della riferibilità dell’immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado a tutte le pronunce di condanna, indipendentemente dalla loro accessorietà ad una statuizione principale di accertamento e/o costituiva, deve considerarsi provvisoriamente esecutiva (principio affermato dalla Suprema Corte in relazione ad una fattispecie di opposizione a precetto inerente il pagamento delle spese di lite accessorie ad una pronuncia di primo grado di rigetto di una domanda)”. Così Cass. n. 21367 del 2004. In senso conforme: Cass. nn. 16262 e 16263 del 2005).
  • Ritiene il Collegio che non è sostenibile che le sentenze costitutive (e quelle di mero accertamento) siano prive di effetti prima del passaggio in giudicato, salvo che la legge disponga altrimenti. Infatti, proprio l’art. 282 c.p.c., suppone necessariamente che alla statuizione di accertamento contenuta in ogni sentenza debba riconoscersi una certa efficacia. Poichè, infatti, la statuizione di condanna suppone quella di accertamento della pretesa sostanziale che deve trovare attuazione tramite la condanna, è di tutta evidenza che la statuizione di accertamento presupposta ha un certo effetto secondo l’ordinamento, che è, appunto, quello di consentire l’attuazione forzata della dipendente statuizione condannatoria del giudice.
  • Sennonchè, anche la statuizione costitutiva suppone sempre, prima della statuizione diretta a realizzare tramite l’apposito dictum della sentenza l’effetto costituivo, modificativo od impeditivo, l’accertamento da parte del giudice del modo di essere dell’ordinamento nel senso che debba prodursi tale effetto. La particolarità della tutela costituiva si esprime, infatti, o nell’assicurazione tramite la sentenza di effetti che sarebbero potuti e dovuti scaturire per effetto dei comportamenti di taluni soggetti sul piano stragiudiziale, che invece non sono stati da essi tenuti (come nel caso delle c.d. azioni costitutive non necessarie), o nell’assicurazione per il tramite della sentenza di effetti che l’ordinamento consente si producano soltanto tramite l’intervento del giudice stesso e non prescindendo dal giudizio (come nelle c.d. azioni costitutive necessarie).
  • Ne discende che nel caso delle sentenze costitutive, poichè vi è sempre una statuizione di accertamento, qualora ad essa si accompagni una statuizione di condanna, la giustificazione dell’esecutività di quest’ultima è la medesima che opera per la statuizione di condanna che consegua all’accoglimento dell’azione di condanna, che anch’essa suppone una (logicamente) previa statuizione di accertamento.
  • Secondo la Cassazione la disputa della dottrina sull’estensione dell’art. 282 c.p.c., alle sentenze di mero accertamento o costitutive appare , in realtà, priva di giustificazione, poichè questa norma si riferisce alle statuizioni condannatorie della sentenza, sia che essa abbia come presupposto solo un accertamento, sia che essa abbia come presupposto un accertamento ed un effetto costitutivo. Il senso della norma è che l’accertamento positivo del modo di essere dell’ordinamento, tanto se sia stata esercitata un’azione di condanna quanto se sia stata esercitata un’azione costituiva, giustifica la possibilità di utilizzare la sentenza come titolo esecutivo se all’accoglimento di tali azioni si accompagni, come complemento della tutela sostanziale oggetto di esse una statuizione condannatoria.
  • Se questo equivale a dire che la sentenza nel suo contenuto di accertamento e nel suo contenuto di costituzione, modificazione od estinzione di una determinata situazione giuridica o di un certo rapporto, sono considerate efficaci dall’ordinamento prima del loro passaggio in cosa giudicata, l’affermazione può condividersi, atteso che è innegabile che dette sentenze, in quanto sono idonee a giustificare l’esecuzione provvisoria delle statuizioni condannatorie consequenziali, hanno efficacia a questo effetto.
  • L’unica precisazione da farsi, secondo la Cassazione, è che talvolta, in relazione alle azioni costitutive necessarie concernenti lo status, l’ordinamento prevede che l’effetto che deve assicurare la pronuncia costitutiva tramite l’intervento del giudice si produca solo con il passaggio in cosa giudicata della sentenza (es., L. n. 898 del 1970, art. 10, comma 2, in tema di divorzio).
    Ma anche in questi casi la legge non manca di consentire la produzione di effetti anteriormente (si veda la L. n. 898 del 1970, art. 9, e si consideri che lo stesso secondo comma dell’art. 10 citato fa riferimento “ad ogni effetto”).
  • Ora, in relazione alla sentenza pronunciata si sensi dell’art. 2932 c.c., la legge non prevede alcunchè che possa giustificare l’esclusione della immediata esecutività delle statuizioni condannatorie consequenziali alla statuizione di accertamento del modo di essere dell’ordinamento in relazione alla vicenda dedotta nel senso della sussistenza delle condizioni che avrebbero dovuto giustificare la conclusione del contratto in adempimento del contratto preliminare con la prestazione dei relativi consensi, e, quindi, all’ulteriore statuizione, in via consequenziale, degli effetti costitutivi del vincolo contrattuale, che di tale consenso tengono luogo.
    Ciò, sia per quanto attiene all’ipotesi che si tratti di statuizioni a favore del promissario acquirente, sia – come nella specie – quando si tratti di statuizioni a favore del promissario venditore.

Fatto

1. Con sentenza del 22 giugno 2005, il Tribunale di Roma, nella controversia pendente tra la ALFA CERAMICHE s.r.l. e GE.DE.R.P. s.r.l., attrici, e L.C., convenuto ed attore in riconvenzionale, nonchè P.F. e E. G., chiamati in causa, accogliendo la riconvenzionale proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c., condannava in solido la ALFA CERAMICHE, il P. (quale fideiussore di quest’ultima) e l’ E. al pagamento in favore del L. della somma di Euro 671.393,96, a titolo di saldo del prezzo dovuto per la promessa di acquisto della quota pari al 43% del capitale sociale della GE.DER.P., trasferendo alla ALFA CERAMICHE detta quota di proprietà del L. (promettente venditore) e subordinando tale effetto traslativo al pagamento da parte della ALFA CERAMICHE in favore del L. della suddetta somma. Inoltre, la sentenza accertava a carico del L. un debito a titolo risarcitorio verso la GE.DER. P.. S.r.l, di Euro 60.000.000, (somma poi corretta con procedura di correzione di errore materiale in Euro 60.000,), compensava le spese di lite tra tali parti e condannava in solido la ALFA CERAMICHE, il P. e l’ E. alla rifusione al L. dei 4/5 delle spese di lite.
Il L. iniziava esecuzioni forzate mobiliari e presso terzi nei confronti della ALFA CERAMICHE e del P. e costoro proponevano opposizione all’esecuzione con ricorso depositato il 29 luglio 2005 (come si evince dal fascicolo d’ufficio), adducendo l’inesistenza di titolo esecutivo, la compensazione del credito per cui si procedeva con un controcredito della ALFA CERAMICHE, ad essa ceduto dalla GE.DER.P.., e rappresentato da quello a quest’ultima riconosciuto dalla sentenza, e la manifesta eccessività delle somme, merci e crediti pignorati rispetto al credito per cui si procedeva.
Il Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Roma – come emerge dal fascicolo d’ufficio – sospendeva l’esecuzione con decreto del 29 luglio 2005, nel quale fissava l’udienza di comparizione per il 16 settembre 2005; revocava, quindi, la sospensione in tale udienza, nella quale nessuno era comparso, e, poi, la sospendeva nuovamente nell’udienza del 13 dicembre 2005.
Frattanto la Corte d’Appello di Roma era stata investita dell’appello della ALFA CERAMICHE avverso la sentenza emessa in sede di cognizione dal Tribunale di Roma, con atto notificato al L. il 20 luglio 2005 (ed a quel che sembra una seconda volta il 2 agosto 2005) e recante istanza ai sensi degli artt. 283 e 351 c.p.c., (si veda il documento 2 delle produzioni presenti nel fascicolo di parte del L. avanti al Tribunale giudice dell’esecuzione). Tale istanza veniva reiterata con ulteriore atto notificato il 4 agosto 2005 e la Corte d’Appello, con ordinanza del 31 agosto 2005 – copia della quale pure si rinviene nel fascicolo d’ufficio – sospendeva l’esecutività della sentenza quanto al capo recante la condanna in solido della ALFA, del P. e dell’ E..
Con sentenza del 27 settembre 2006, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva l’opposizione e dichiarava nulla l’esecuzione, con gravame delle spese sul L..
1.1. La motivazione della sentenza si basa sulle seguenti ragioni:
non era fondato l’assunto dell’opponente che, in ragione della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo da parte della Corte d’Appello, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto estinguere l’esecuzione, anzichè sospenderla; il ricorso andava, invece, accolto con riferimento alla carenza del titolo esecutivo, in quanto la sentenza di esecuzione dell’obbligo specifico era costitutiva e, quindi, non immediatamente esecutiva, “salve le statuizioni di condanna accessorie (ad esempio spese legali); nella specie era “vero che vi erano statuizioni di condanna (al pagamento del prezzo in favore del creditore procedente), ma era altresì vero che queste stesse statuizioni non erano a loro volta immediatamente esecutive, in quanto non essendo fissato un termine per l’adempimento, potevano essere adempiute dopo il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. 1992, n. 11756)”; inoltre andava considerato che la ALFA aveva “un credito ben maggiore portato in compensazione”.
3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione L. C., sulla base di sei motivi, notificandolo alla ALFA Ceramiche s.r.l. ed a P.F..
Entrambi gli intimati hanno resistito con separati controricorsi.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

1. Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 282 e 474 c.p.c., art. 2932 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, censurandosi la decisione impugnata per avere ritenuto la sentenza posta a base dell’esecuzione forzata priva della forza di titolo esecutivo in quanto costitutiva, all’uopo invocandosi a proposito dell’efficacia esecutiva delle statuizioni condannatorie accessorie a sentenze costitutive il precedente di cui alla sentenza n. 1619 del 2005 di questa Corte in genere e, con specifico riferimento all’azione all’azione ex art. 2932 c.c., le sentenze n. 3300 del 1998, n. 4981 del 1986 e 10454 del 2003 (nonchè alcuni precedenti di merito) ed assumendosi che con riguardo a detta azione la sentenza sarebbe titolo esecutivo allorquando detta domanda sia proposta dal promissario alienante. Si invoca, inoltre, il principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 21367 del 2004 a proposito dell’esecutività del capo condannatorio sulle spese accessorio alla sentenza di rigetto.
Si deduce ancora che la natura esecutiva della sentenza sarebbe stata riconosciuta anche dal cancelliere del Tribunale di Roma, che avrebbe apposto la formula esecutiva, dal Presidente del Tribunale che avrebbe concesso l’autorizzazione ai sensi dell’art. 482 c.p.c., in calce al precetto e dagli Ufficiali Giudiziari che avevano proceduto all’esecuzione.
Si sostiene, inoltre, che il Tribunale giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto dei principi espressi nella sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 2004, nel dichiarare infondata la questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 282 e 474 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost..
Si censura, in fine, l’affermazione fatta dalla sentenza impugnata circa il fatto che le statuizioni condannatorie presenti nella sentenza ex art. 2932 c.c., posta a base dell’esecuzione, non sarebbero state immediatamente esecutive, in quanto, in assenza della fissazione di un termine per l’adempimento, potrebbero essere adempiute solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza: in senso contrario si sottolinea che il precedente invocato dal Tribunale era, peraltro, relativo, a fattispecie anteriore alla modificazione dell’art. 282, di cui alla 1. n. 353 del 1990.
Si formula, quindi, il seguente quesito di diritto:
“se sia conforme all’ordinamento l’affermazione della non esecutività ex art. 282 c.p.c., dei capi di condanna al pagamento del prezzo contenuti nelle sentenze rese ai sensi dell’art. 2932 c.c., ove la domanda di esecuzione in forma specifica e di condanna al pagamento del prezzo sia proposta dal promettente venditore”.
1.1. Con un secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 282 c.p.c., e dell’art. 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, sotto il profilo che, come già eccepito in appello dal ricorrente, anche a voler riconoscere la non esecutività della sentenza per i capi condannatori, tuttavia, non avendo l’ALFA CERAMICHE ed il P. impugnato i capi della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma dispositivi del trasferimento delle quote della GE.DER.P.., oramai si era formato il giudicato su di essi per acquiescenza ai sensi dell’art. 329 c.p.c..
Si lamenta che sulla relativa questione non vi era stata pronuncia da parte del giudice d’appello e si formula il quesito di diritto sul “se sia conforme all’ordinamento la dichiarazione di nullità della esecuzione promossa in virtù di una sentenza resa ai sensi dell’art. 2932 c.c., in assenza di una motivazione sul punto”.
1.2. Il terzo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 125 e 163 c.p.c., art. 184 disp. att. c.p.c., artt. 1241, 1242, 1243 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè “omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″ ed impugna una affermazione che lo stesso ricorrente dice effettuata incidentalmente dalla sentenza impugnata, quella circa il fatto che l’IDROGOSS aveva un credito ben maggiore portato in compensazione, sostenendo che essa sarebbe erronea in fatto ed in diritto, sia in ragione della correzione della sentenza di primo grado circa l’importo del credito in compensazione, sia perchè il credito non era certo, liquido ed esigibile.
1.3. Il quarto motivo denuncia nuovamente violazione e falsa applicazione degli artt. 282 e 474 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa motivazione, rectius motivazione apparente, su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, sotto il profilo che, nel dichiarare la nullità dell’esecuzione, il Tribunale, pur riconoscendo l’esecutività del capo relativo alla condanna nelle spese, avrebbe dichiarato l’illegittimità dell’esecuzione proposta per il loro pagamento.
1.4. il quinto motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 615 e 617 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendosi che l’opposizione avrebbe avuto natura di opposizione agli atti esecutivi, come dimostrerebbero alcuni precedenti della Corte (vengono citate Cass. nn. 3400 del 2001, n. 8597 del 2001; n. 15634 del 2001; e n. 6221 del 1993), e che, pertanto, in ragione di tale qualificazione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per tardività, essendo stata proposta il 29 luglio 2006, là dove la notifica del precetto era avvenuta il 23 precedente.
1.5. Il sesto motivo denuncia in fine violazione falsa applicazione degli artt. 282 e 474 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, sotto il profilo che erroneamente il Tribunale avrebbe accolto l’opposizione anche nei confronti del P., nonostante che il medesimo fosse stato condannato non come promissario acquirente, bensì quale fideiussore.
2. Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di rito formulate dai resistenti nei rispettivi controricorsi.
2.1. La prima eccezione è nel senso che il ricorso avrebbe omesso di indicare le parti contro le quali è stato proposto.
Si tratta di un’eccezione infondata. E’ vero che il ricorso non reca un’apposita sede deputata all’indicazione delle parti, al fine dell’assolvimento del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 c.p.c.,n. 1.
Tuttavia, le parti figurano indicate nel ricorso nella ALFA e nel P. e lo sono sia nell’ambito della esposizione dei motivi (il sesto si riferisce proprio alla posizione del P.), sia nelle conclusioni, sia nelle indicazioni apposte nelle richieste di notificazione del ricorso. Ne discende che il ricorso deve considerarsi provvisto del detto requisito, riguardo al quale la previsione della sanzione di inammissibilità per la sua mancanza impone per un verso che il suo rispetto debba necessariamente emergere dal ricorso, impedendo, proprio per l’espresso riferimento del legislatore alla categoria della inammissibilità e non a quella della nullità, che possa desumersi allunate, cioè da atti diversi dal ricorso (come la sentenza impugnata ovvero la relazione di notificazione del ricorso ovvero atti del processo di merito) oppure dall’atteggiamento della parte intimata, che identifichi essa le parti, essendo preclusa la possibilità di applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, riferendolo ad atti diversi dal ricorso stesso (deve così assentirsi con quell’orientamento di questa Corte, secondo cui “l’omessa indicazione tanto nell’epigrafe che nel testo del ricorso per cassazione della parte nei confronti della quale esso è proposto realizza la causa di inammissibilità prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1. Nè una siffatta mancanza può essere sanata dalla relazione di notificazione, che è la dichiarazione dell’ufficiale giudiziario descrittiva dell’operazione di conoscenza avente ad oggetto il documento incorporante il ricorso da notificare, ed è, quindi, atto soggettivamente ed oggettivamente distinto dal ricorso”:
Cass. n. 17783 del 2004; Cass. n. 27707 del 2006; n. 751 del 2005).
Mentre deve dissentirsi da quell’altro orientamento che ha affermato che “ai fini della sussistenza del requisito della indicazione delle parti, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1, non è richiesta alcuna forma speciale, essendo sufficiente che le parti medesime, pur non indicate, o erroneamente indicate, nell’epigrafe del ricorso, siano con certezza identificabili dal contesto del ricorso stesso, dalla sentenza impugnata, ovvero da atti delle pregresse fasi del giudizio, sicchè l’inammissibilità del ricorso è determinata soltanto dall’incertezza assoluta che residui in esito all’esame di tali atti” (Cass. n. 57 del 2005; Cass. n. 3737 del 2 006, che allude all’applicabilità dell’art. 164 c.p.c., senza, però considerare che il legislatore ha previsto una inammissibilità e non una nullità).
2.2. La seconda eccezione proposta dai resistenti concerne la pretesa carenza di qualità di parte del giudizio di opposizione in capo al P.:
Riguardo ad essa è sufficiente osservare che, dall’esame del fascicolo d’ufficio, emerge che il ricorso in opposizione venne proposto congiuntamente dalla ALFA e dal P..
E’ necessario, inoltre, osservare che in entrambi i controricorsi, sotto l’apparente intenzione di discutere il primo motivo del ricorso, si introduce un tema di discussione che i resistenti avrebbero dovuto introdurre con apposito ricorso incidentale. Si pretende, infatti, di replicare al primo motivo di ricorso sostanzialmente sostenendo che il Tribunale non avrebbe potuto considerare esecutiva la sentenza fatta valere come preteso titolo esecutivo, per essere stata l’efficacia esecutiva della stessa sospesa nelle more dell’opposizione dalla Corte d’Appello in sede di impugnazione del titolo stesso. Poichè il Tribunale ha espressamente escluso che detta sospensione avesse effetti estintivi della esecuzione, scilicet che avesse rilievo ai fini dello scrutino dell’opposizione all’esecuzione in ordine alla dedotta mancanza del titolo esecutivo, i resistenti avrebbero dovuto dolersi con ricorso incidentale di tale statuizione (peraltro, corretta, tenuto conto che, allorquando l’esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo giudiziale che, al momento di tale inizio abbia efficacia esecutiva e venga proposta opposizione all’esecuzione, la successiva sopravvenienza della sospensione della sua efficacia esecutiva da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato impugnato, non ha alcuna incidenza sull’oggetto del giudizio di opposizione, che concerne l’accertamento negativo della sussistenza del diritto di procedere all’esecuzione al momento in cui l’esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell’esecuzione nell’ambito del processo esecutivo perchè disponga direttamente la sospensione dell’esecuzione (in particolare, nella sostanziale applicazione di questo principio è stato ritenuto che “la sospensione dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo, disposta dal giudice dell’opposizione, determina la sospensione della esecuzione forzata promossa in base a quel titolo, concretando l’ipotesi di sospensione della esecuzione ordinata dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo di cui all’art. 623 c.p.c., ed impedisce, quindi, che atti esecutivi anteriormente compiuti, dei quali resta impregiudicata la validità ed efficacia, possano essere assunti a presupposto di altri atti, in vista della prosecuzione del processo di esecuzione. Tale effetto del provvedimento di sospensione può essere rappresentato al giudice della esecuzione, nelle forme previste dall’art. 486 c.p.c., e senza necessità di opposizione alla esecuzione, da parte del debitore, il quale, peraltro, ha facoltà di contestare la validità degli atti di esecuzione compiuti dopo (e nonostante) la sospensione del processo esecutivo con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), tendente ad una pronuncia che rimuova l’atto in ragione del tempo in cui è stato adottato”:
Cass. n. 11342 del 1992; in precedenza, nel medesimo senso Cass. n. 4861 del 1991; si è, poi, precisato, che “nel caso di coesistenza del processo esecutivo promosso sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, del giudizio d’opposizione a decreto ingiuntivo e del giudizio d’opposizione all’esecuzione, nel momento in cui il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ha sospeso la provvisoria esecuzione del decreto si concretizza l’ipotesi della sospensione dell’esecuzione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo, a norma dell’art, 623 c.p.c., seconda ipotesi, con conseguente impedimento della prosecuzione del processo esecutivo, che non può essere riattivato fino a che, in dipendenza del giudizio d’opposizione a decreto ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto dell’opposizione la sua efficacia esecutiva a norma dell’art. 653 c.p.c.”:
Cass. n. 11378 del 2002).
3. Il quinto motivo va scrutinato prima degli altri, perchè logicamente prioritario.
Esso è infondato, perchè l’opposizione recava una chiara contestazione della mancanza di natura di titolo esecutivo della sentenza, quanto al capo azionato esecutivamente, mentre non allude nemmeno a vizi afferenti all’apposizione della formula esecutiva (ai quali, come emerge dalla lettura delle motivazioni, si riferisce la giurisprudenza citata dalla ricorrente).
4. E’ fondato il primo motivo.
Esso involge la questione della sussistenza dell’efficacia esecutiva ex lege ai sensi dell’art. 282 c.p.c., dei capi condannatori conseguenti alla pronuncia di una sentenza avente effetti costitutivi, cioè dispositivi di effetti innovativi nella realtà giuridica, in genere e con particolare riguardo alla fattispecie dell’accoglimento dell’azione di cui all’art. 2932 c.c..
Con riguardo a questa particolare fattispecie questa Corte non risulta essersi ancora pronunciata.
L’applicabilità dell’art. 282 c.p.c., a statuizione condannatoria conseguente ad una pronuncia costitutiva è stata affermata con riferimento ad azione volta ad ottenere la costituzione coattiva di una servitù. Si è ritenuto, infatti, che “la disciplina dell’esecuzione provvisoria di cui all’art. 282 c.p.c., trova legittima attuazione anche con riferimento alle sentenze di condanna implicita, nelle quali l’esigenza di esecuzione della sentenza scaturisce dalla stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere. Ne consegue che è suscettibile di provvisoria esecuzione una sentenza costitutiva di una servitù ex art. 1051 (o 1052) c.c., allorchè contenga tutti gli elementi identificativi in concreto della servitù, sia pure con rinvio alla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel corso del giudizio, atteso che essa ha la funzione di risolvere un’esigenza fattuale dell’attore, assicurandogli il passaggio al fine di raggiungere la via pubblica.
(Nella specie la S.C ha precisato che la sentenza può essere eseguita coattivamente osservando il disposto di cui all’art. 608 c.p.c., mediante ingiunzione da parte dell’ufficiale giudiziario al proprietario del fondo servente di riconoscere l’esecutante come possessore della servitù di passaggio, fermo il possesso di esso convenuto, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà)” (così Cass. n. 1619 del 2005).
In precedenza, inoltre, questa Corte, capovolgendo un precedente orientamento, ha genericamente affermato l’applicabilità dell’art. 282 c.p.c., ai capi condannatori accessori a pronunce costitutive occupandosi del problema della esecutività della statuizione di condanna nelle spese che sia contenuta in una pronuncia di mero accertamento, qual è la sentenza di rigetto, ed ha affermato che “ancorchè l’art. 282 c.p.c., nella formulazione vigente per effetto della sostituzione operata dalla L. n. 353 del 1990, art. 33, non consenta di ritenere che l’efficacia delle sentenze di primo grado aventi natura di accertamento e/o costitutiva sia anticipata rispetto alla formazione della cosa giudicata sulla sentenza e debba, dunque, affermarsi che dette sentenze possono vedere anticipata la loro efficacia rispetto a quel momento soltanto in forza di espressa previsione di legge (come accade, ad esempio, nell’art. 421 c.c.), qualora ad esse acceda una statuizione condannatoria (come, ad esempio, quella sulle spese di una sentenza di rigetto di una domanda), tale statuizione, in forza della riferibilità dell’immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado a tutte le pronunce di condanna, indipendentemente dalla loro accessorietà ad una statuizione principale di accertamento e/o costituiva, deve considerarsi provvisoriamente esecutiva (principio affermato dalla Suprema Corte in relazione ad una fattispecie di opposizione a precetto inerente il pagamento delle spese di lite accessorie ad una pronuncia di primo grado di rigetto di una domanda)”. Così Cass. n. 21367 del 2004. In senso conforme:
Cass. nn. 16262 e 16263 del 2005).
4.1. Ritiene il Collegio che il problema dell’efficacia esecutiva, ai sensi dell’art. 282 c.p.c., di quelle statuizioni di condanna dirette a fornire una tutela basata sul riconoscimento di una pretesa sostanziale (non ci si riferisce, quindi, alla statuizione sulla condanna nelle spese che si accompagni alla sentenza di rigetto), che siano pronunciate in via consequenziale ad una pronuncia dello stesso giudice di natura costitutiva, debba essere affrontato accertando se un ostacolo all’applicazione ad esse dell’art. 282 c.p.c., possa discendere dall’esistenza nell’ordinamento di un qualche principio per cui al riconoscimento della tutela costitutiva, nella sua tipica funzione, non possano conseguire effetti prima del passaggio in cosa giudicata della sentenza che ne riconosca i presupposti.
Questo approccio metodologico si impone, perchè nella prima delle due sentenze citate il problema non è stato toccato, mentre nella seconda, come si legge dalla massima e conferma la motivazione, si riviene, sulla premessa che l’art. 282 c.p.c., si riferisce solo alla condanna, l’espressa affermazione che le statuizioni costitutive (e quelle di mero accertamento) vedrebbero prodotti i loro effetti soltanto dal momento del passaggio in cosa giudicata della sentenza, salvo che l’ordinamento non preveda espressamente che essi si verifichino in un momento antecedente, come accadrebbe nel caso – citato come esempio di tale eccezione – previsto dall’art. 421 c.c..
Questa affermazione – peraltro, formulata sulla falsariga dell’orientamento di quella parte della dottrina, che, all’indomani della riforma operata dalla L. n. 353 del 1990, art. 282, ha negato che dall’art. 282 c.p.c., sia desumibile l’efficacia immediata della sentenza di accertamento o costitutiva pur non passata in cosa giudicata, pur condividendo, però, l’idea che i capì condannatori conseguenti invece siano soggetti a detta norma – non sembra condivisibile nella sua assolutezza.
Non è sostenibile, infatti, che le sentenze costitutive (e quelle di mero accertamento) siano prive di effetti prima del passaggio in giudicato, salvo che la legge disponga altrimenti.
Invero, proprio l’art. 282 c.p.c., là dove prevede l’esecutività e, secondo la dottrina in discorso, pur non riferendovisi espressamente alluderebbe alla sentenza di condanna (come dimostrerebbe sia la normale – ma trattasi di presupposto discutibile, secondo la migliore dottrina – correlazione della condanna all’esecuzione, sia il fatto che in norme di rito speciale come dell’art. 431, commi 1 e 5, e art. 447 bis c.p.c., comma 4, l’esecutività immediata è stata riferita alla condanna), suppone necessariamente che alla statuizione di accertamento contenuta in ogni sentenza debba riconoscersi una certa efficacia. Poichè, infatti, la statuizione di condanna suppone quella di accertamento della pretesa sostanziale che deve trovare attuazione tramite la condanna, è di tutta evidenza che la statuizione di accertamento presupposta ha un certo effetto secondo l’ordinamento, che è, appunto, quello di consentire l’attuazione forzata della dipendente statuizione condannatoria del giudice.
Se nonchè, anche la statuizione costitutiva suppone sempre, prima della statuizione diretta a realizzare tramite l’apposito dictum della sentenza l’effetto costituivo, modificativo od impeditivo, l’accertamento da parte del giudice del modo di essere dell’ordinamento nel senso che debba prodursi tale effetto. La particolarità della tutela costituiva si esprime, infatti, o nell’assicurazione tramite la sentenza di effetti che sarebbero potuti e dovuti scaturire per effetto dei comportamenti di taluni soggetti sul piano stragiudiziale, che invece non sono stati da essi tenuti (come nel caso delle c.d. azioni costitutive non necessarie), o nell’assicurazione per il tramite della sentenza di effetti che l’ordinamento consente si producano soltanto tramite l’intervento del giudice stesso e non prescindendo dal giudizio (come nelle c.d.
azioni costitutive necessarie).
Ne discende che nel caso delle sentenze costitutive, poichè vi è sempre una statuizione di accertamento, qualora ad essa si accompagni una statuizione di condanna, la giustificazione dell’esecutività di quest’ultima è la medesima che opera per la statuizione di condanna che consegua all’accoglimento dell’azione di condanna, che anch’essa suppone una (logicamente) previa statuizione di accertamento.
La disputa della dottrina sull’estensione dell’art. 282 c.p.c., alle sentenze di mero accertamento o costitutive appare allora, in realtà, priva di giustificazione, poichè questa norma si riferisce alle statuizioni condannatorie della sentenza, sia che essa abbia come presupposto solo un accertamento, sia che essa abbia come presupposto un accertamento ed un effetto costitutivo. Il senso della norma è che l’accertamento positivo del modo di essere dell’ordinamento, tanto se sia stata esercitata un’azione di condanna quanto se sia stata esercitata un’azione costituiva, giustifica la possibilità di utilizzare la sentenza come titolo esecutivo se all’accoglimento di tali azioni si accompagni, come complemento della tutela sostanziale oggetto di esse una statuizione condannatoria.
Se questo equivale a dire che la sentenza nel suo contenuto di accertamento e nel suo contenuto di costituzione, modificazione od estinzione di una determinata situazione giuridica o di un certo rapporto, sono considerate efficaci dall’ordinamento prima del loro passaggio in cosa giudicata, l’affermazione può condividersi, atteso che è innegabile che dette sentenze, in quanto sono idonee a giustificare l’esecuzione provvisoria delle statuizioni condannatorie consequenziali, hanno efficacia a questo effetto.
Se, poi, ne abbiano una ulteriore, come rivela l’art. 337 c.p.c., comma 2, cioè quella di poter essere considerate quanto agli effetti che sono espressi dal contenuto della loro statuizione in un diverso giudizio fra le parti, è questione che qui non interessa approfondire, bastando solo osservare che questa idoneità è certamente un altro effetto ricollegabile a dette sentenze prima del giudicato.
L’unica precisazione da farsi è che talvolta, in relazione alle azioni costitutive necessarie concernenti lo status, l’ordinamento prevede che l’effetto che deve assicurare la pronuncia costitutiva tramite l’intervento del giudice si produca solo con il passaggio in cosa giudicata della sentenza (es., L. n. 898 del 1970, art. 10, comma 2, in tema di divorzio).
Ma anche in questi casi la legge non manca di consentire la produzione di effetti anteriormente (si veda la L. n. 898 del 1970, art. 9, e si consideri che lo stesso secondo comma dell’art. 10 citato fa riferimento “ad ogni effetto”).
Ora, in relazione alla sentenza pronunciata si sensi dell’art. 2932 c.c., la legge non prevede alcunchè che possa giustificare l’esclusione della immediata esecutività delle statuizioni condannatorie consequenziali alla statuizione di accertamento del modo di essere dell’ordinamento in relazione alla vicenda dedotta nel senso della sussistenza delle condizioni che avrebbero dovuto giustificare la conclusione del contratto in adempimento del contratto preliminare con la prestazione dei relativi consensi, e, quindi, all’ulteriore statuizione, in via consequenziale, degli effetti costitutivi del vincolo contrattuale, che di tale consenso tengono luogo.
Ciò, sia per quanto attiene all’ipotesi che si tratti di statuizioni a favore del promissario acquirente, sia – come nella specie – quando si tratti di statuizioni a favore del promissario venditore.
La sentenza impugnata, con una motivazione non scevra da ambiguità, dopo aver affermato l’esecutività della statuizione sulle spese relativa alla sentenza costituiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., ritiene di negare l’esecutività alle statuizioni condannatorie al pagamento del prezzo al promettente venditore richiamandosi a Cass. n. 11756 del 1998, che ebbe a sancire che “la sentenza che a norma dell’art. 2932 c.c., disponga che il trasferimento del diritto a favore dell’attore sia subordinato al pagamento del prezzo senza fissare il termine entro il quale tale pagamento deve avere luogo non è affetta da nullità per mancanza di un requisito essenziale, in quanto alla stregua delle regole generali attinenti alle pronunce giudiziali il pagamento del prezzo rimane collegato all’esecutività della sentenza, divenendo la prestazione esigibile non appena si verifichi l’esecutività della pronuncia giudiziale. Ne deriva che il pagamento del prezzo può avvenire anche successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, poichè tale evento segna soltanto il dies a quo per l’adempimento entro un termine indeterminato”.
Se nonchè, l’evocazione di tale decisione è del tutto priva di pregio, perchè quella decisione concerneva un caso nel quale non veniva in giuoco la norma dell’art. 282 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990, ma il regime precedente alla stregua del quale, evidentemente, non era stata concessa provvisoria esecutività.
In base a tali rilievi il primo motivo va accolto e la sentenza impugnata va cassata in relazione ad esso.
Il giudice di rinvio provveder a decidere sulla base del seguente principio di diritto:
“Nel caso di pronuncia della sentenza costituiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell’adempimento delle prestazioni a carico della parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell’art. 282 c.p.c., di modo che, qualora l’azione ai sensi dell’art. 2932 c.c., sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerare immediatamente esecutiva”.
5. Gli altri motivi sono assorbiti.
Le spese del giudizio di cassazione saranno regolate dal giudice di rinvio.

P.Q.M.

La Corte:
Accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara infondato il quinto motivo. Dichiara assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Rinvia al Tribunale di Roma, che deciderà in diversa composizione e provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2007.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. Seby

    Egreggio Avvocato,
    volevo sapere se una sentenza passata in giudicato con capo di condanna a somma di denaro (migliorie per possessore in buona fede) condizionato dalla restituzione di un immobile e’ passibile di essere portata ad esecuzione forzata?

    Dubbi:
    1)In campo di migliorie e possesso mi pare che e’ previsto dal codice civile la sussistenza delle stesse al momento della restituzione che quindi deve essere accertata.
    2) seppur passata in giudicato e’ condizionata dalla restituzione

    Mi puo’ chiarire meglio??

    Grazie.



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