La strage silenziosa, ovvero il quesito di diritto nel ricorso in Cassazione.

Mirco Minardi

C’è una strage di cui poco si parla, si tratta dei ricorsi in Cassazione, che, a seguito dell’introduzione dell’art. 366 bis c.p.c. vengono frequentamente dichiarati inammissibili.

Detta norma stabilisce che nei casi previsti dall’articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Si tratta cioè dei casi di impugnazione:

1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
4) per nullità della sentenza o del procedimento.

Ma come deve essere formulato il quesito di diritto? Oggi è un po’ più chiaro, ma molti Colleghi, quelli cioè che hanno presentato i ricorsi avverso le sentenze pubblicate dopo il 2 marzo 2006 hanno fatto da cavie.

Per il momento vi sottopongo alcuni principi elaborati dalla Corte, anche a Sezioni Unite. Più avanti posterò una serie di esempi concreti:

  • I quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, comma 1:
  • intendono riaffermare la cultura del processo di legittimità;
  • rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata;
  • rispondo all’esigenza di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie.
  • Non si tratta di vuoto formalismo bensì di scelta operata dal legislatore al fine di assicurare un accesso consapevole e meditato al giudizio di legittimità (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002), onde consentire a questa Corte il miglior perseguimento del suo fine istituzionale.
  • Il quesito di diritto costituisce pertanto il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità (così, ex plurimis, Cass. S.U. 2007 n. 22640; Cass. 2007 n. 14682; Cass. S.U. 2007 n. 14385; Cass. 2007 n. 13329).
  • La formulazione del quesito di diritto a conclusione del motivo di ricorso è richiesto a pena d’inammissibilità (v. Cass., 22/6/2007, n. (Ndr: testo originale non comprensibile).
  • Il quesito di diritto deve essere a pena di inammissibilità specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non potendo esso introdurre un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949).
  • Il quesito deve essere separatamente formulato per ciascuna dedotta censura, come si evince sia dall’indicazione separata nella norma dei singoli motivi di ricorso sia dall’espressione “ciascun motivo” di cui al comma 2 dell’introdotto art. 366 bis c.p.c., (v. Cass., 19/12/2006, n. 27130). E deve essere tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 26/3/2007, n. 7258).
  • Nella elaborazione dei canoni di redazione del quesito di diritto la giurisprudenza della Suprema Corte è ormai chiaramente orientata a ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire:
  • l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato
  • e del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso.
  • Ove tale articolazione logico – giuridica mancasse, il quesito si risolverebbe in un’ astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.
  • Il quesito non può pertanto consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
  • Ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.
  • La formulazione del quesito di diritto funge in particolare da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.

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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. Avv. Giunio Massa

    Vorrei aggiungere che il quesito deve porsi in modo tale da essere formulato come sorta di interrogativo sulla corretta applicazione del principio ritenuto applicabile alla fattispecie cui la Corte deve dare una risposta ‘positiva o negativa’.
    Mi parrebbe come segue:
    Voglia la Suprema Corte dichiarare violato il principio di diritto secondo il quale……



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