Tizio conveniva in giudizio la SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI SALERNO ed il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI al fine di ottenere la condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni subiti, inciampando tra due massi che formavano un buca profonda, durante una visita presso gli scavi archeologici di Paestum.
Il ministero convenuto eccepiva e deduceva l’assoluta infondatezza della domanda in fatto e in diritto.
Il Tribunale affronta anzitutto la soluzione dell’annoso quesito circa la responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati da un bene demaniale ricordando i tre orientamenti:
1. quello che fonda la responsabilità sull’art. 2043 c.c.;
2. quello che fonda la responsabilità sull’art. 2051 c.c.
3. quello che distingue tra casi in cui la P.A. può esercitare una effettiva custodia ( art. 2051 c.c.) e casi in cui il bene è talmente esteso e di uso generalizzato da impedire una reale custodia (art. 2043 c.c.).
Il Tribunale aderisce a questo ultimo orientamento. Nel caso di specie si trattava di un parco archeologico, pertanto ritiene applicabile in linea di principio l’art. 2051 c.c.
Dopo di che passa all’esame della questione cui conseguirà il rigetto della domanda.
Il Tribunale afferma che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato da cose in custodia postula che il danno sia prodotto dalla cosa stessa:
- o perché questa sia per intrinseca natura suscettibile di produrlo,
- o perché in essa siano insorti agenti dannosi: tale ipotesi non si verifica, e perciò non è configurabile la responsabilità ex art. 2051 c.c., allorché il danno sia stato provocato non dalla cosa, per sua natura inattiva, ma per effetto dell’azione su di essa esercitata dall’uomo.
Il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale (che sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) esclude, infatti, la responsabilità della P.A., se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso.
Invero, virtù del c.d. “principio di autoresponsabilità“, come elaborato da dottrina e giurisprudenza, gli utenti sono tenuti ad osservare un onere di particolare attenzione nell’uso ordinario diretto del bene demaniale per salvaguardare la propria incolumità (Corte costituzionale 10 maggio 1999, n. 156).
Tale onere riveste un ruolo particolarmente pregnante nel caso in esame proprio in relazione alla tipologia di bene demaniale in questione trattandosi, appunto, di un sito archeologico che, per sua stessa natura, è caratterizzato dalla presenza di strutture tra loro disomogenee.
Non è, pertanto, configurabile una situazione che integri per l’utente gli estremi di una situazione di pericolo occulto.
Del resto, della particolare natura di tali beni demaniali ha tenuto conto lo stesso legislatore il quale, all’art. 29, comma 2, del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (c.d. Codice dei beni culturali) definendo le attività di prevenzione relative ai beni culturali, parla di “attività idonee a limitare – non ad escludere – le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto”. Tutto ciò, appunto, in virtù del fatto che gli interventi sui complessi archeologici devono sempre tener conto delle limitazioni imposte dal rispetto delle preesistenze storico-artistiche.
Il concetto di insidia o trabocchetto, (la cui prova incombe al danneggiato, spettando alla P.A. di provare a sua volta di non aver potuto rimuovere la situazione di pericolo) è caratterizzato da una situazione di pericolo occulto, connotato dall’elemento oggettivo della non visibilità e dall’elemento soggettivo della non prevedibilità.
Entrambi tali elementi difettano nel caso in esame proprio in ragione della particolare natura del bene demaniale in questione che, anzi, richiede da parte dell’utente un onere di attenzione superiore alla media.

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