La Comunità montana Alfa stipula un contratto di appalto con la società Beta. La società Beta stipula una polizza fidejussoria a garanzia del proprio adempimento, in favore della Comunità montana Alfa.
Beta fallisce. Alfa escute la polizza, ma l’assicurazione Omega eccepisce che l’Agente stipulante non aveva poteri rappresentativi in quanto nel ramo cauzioni era necessaria l’autorizzazione della direzione che nella specie era stata negata.
In primo grado vince l’assicurazione Omega, ma in appello la sentenza viene ribaltata. Ricorre in Cassazione l’assicurazione Omega ma la corte respinge il ricorso, con queste motivazioni:
- nei contratti a favore di terzi, l’estensione al beneficiario della tutela derivante dai principi in tema di rappresentanza apparente trova solido riscontro nel sistema;
- difatti, nel momento in cui dichiari di voler approfittare della stipulazione in suo favore, il terzo subentra nella stessa posizione dello stipulante, per quanto concerne presupposti e requisiti del suo diritto alla prestazione: nel senso che gli possono essere opposte tutte le eccezioni di invalidità del contratto che potrebbero essere opposte allo stipulante (art. 1413 cod. civ.), ma anch’egli può paralizzare le suddette eccezioni, sulla base delle medesime circostanze che potrebbe invocare lo stipulante, per tenere fermi gli effetti del contratto (nella specie, gli effetti della rappresentanza apparente; in altri casi, in ipotesi, l’intervenuta convalida o ratifica; la non essenzialità o non riconoscibilità dell’errore, ecc.);
- se è vero, quindi, che il beneficiario del contratto a favore di terzi è (per definizione) terzo, è indubbio che egli subentri nella stessa posizione giuridica dello stipulante, quanto alla validità ed all’efficacia della prestazione promessa in suo favore;
- ciò vale in particolar modo nei casi di polizze fidejussorie, ove il terzo non è solo il giuridico beneficiario del contratto, ma è il vero ed unico soggetto economicamente interessato alla sua stipulazione, nel senso che ad essa condiziona il suo comportamento commerciale, visto che all’appaltatore potrebbe anche non interessare l’effettiva validità ed efficacia dell’assicurazione, essendone sufficiente la mera apparenza agli effetti che egli persegue, che sono quelli di condizionare in suo favore il comportamento del committente;
- negare al beneficiario la tutela dell’affidamento sulla situazione apparente equivarrebbe ad adottare soluzione antitetica a quella richiesta dai reali interessi in discussione.
Cassazione civile , sez. III, 16 settembre 2008 , n. 23708
Fatto
La Comunità montana G. e C., avendo commissionato all’impresa Eco E. l’appalto per l’esecuzione di interventi di salvaguardia e valorizzazione di aree di rilevanza ambientale, ha chiesto ed ottenuto che l’appaltatrice stipulasse in suo favore polizza fideiussoria per l’importo di L. 500.000.000, a garanzia dell’adempimento e della restituzione delle somme versate in acconto.
La polizza è stata stipulata con un agente della s.p.a. A.
La Eco E. si è resa effettivamente inadempiente ed è stata poi dichiarata fallita. La Comunità ha escusso la polizza e, non ricevendo il pagamento, ha notificato ad A. decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 257.453,76.
A. ha proposto opposizione, eccependo la nullita-inefficacia del contratto, perchè sottoscritto da un agente privo di poteri rappresentativi, nonchè la decadenza della Comunità dal diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 1957 cod. civ..
Il Tribunale di Vallo della Lucania, in accoglimento dell’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo e respinto la domanda di pagamento.
La Corte di appello di Salerno – con sentenza 26 novembre 2002-14 febbraio 2003 n. 1452 – ha riformato la sentenza di primo grado, confermando il decreto ingiuntivo opposto.
Con atto notificato il 20 marzo 2004 la s.p.a. A. ha proposto ricorso per cassazione, affidandone l’accoglimento a due motivi, illustrati da memoria.
Ha risposto la Comunità montana con controricorso.
Rimessa la causa alla decisione della Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., A. ha depositato memoria, in replica alle conclusioni del procuratore generale.
Rinviata la causa alla pubblica udienza, A. ha depositato una seconda memoria.
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Diritto
1.- A. aveva dedotto a fondamento della sua opposizione all’ingiunzione di pagamento il fatto che:
a) la polizza di assicurazione era stata sottoscritta solo da un Agente della società, mentre – per il ramo cauzioni – le norme interne richiedevano che l’assunzione del rischio fosse autorizzata dalla Direzione generale, autorizzazione che, nel caso in esame, era stata negata;
b) la Comunità montana, dopo avere inviato una prima lettera di messa in mora all’appaltatrice inadempiente, non aveva agito in giudizio nei suoi confronti entro il termine di cui all’art. 1957 cod. civ..
La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, ha respinto la prima eccezione rilevando che – pur avendo l’agente operato come falsus procurator – A. è tenuta a rispondere degli obblighi contrattuali in base al principio della rappresentanza apparente; per avere cioè colposamente creato una situazione di fatto che ha indotto la Comunità montana a fare affidamento sull’effettiva sussistenza nell’agente dei poteri rappresentativi.
Ciò ha desunto dal fatto che l’Agente che ha sottoscritto la polizza era regolarmente inserito nell’organizzazione di vendita di A. ed ha fatto uso di moduli contrattuali appositamente rilasciati dalla società preponente, moduli che non menzionavano alcun limite al potere dell’Agente di impegnare la società; che A. ha regolarmente riscosso il premio pagato dall’assicurato e non lo ha restituito, neppure dopo il diniego dell’autorizzazione a concedere la garanzia; che il diniego dell’autorizzazione è stato comunicato al solo Agente, quaranta giorni dopo l’emissione della polizza, senza rendere nota la circostanza al terzo beneficiario che, confidando nella garanzia cauzionale, ha erogato l’anticipo all’appaltatore.
La Corte di appello ha poi respinto l’eccezione di decadenza di cui all’art. 1957 cod. civ., rilevando che la Comunità montana si era trovata nell’impossibilità di promuovere l’azione giudiziale contro la debitrice principale Eco-E., poichè questa era stata dichiarata fallita prima del decorso del termine di sei mesi di cui alla citata norma, e la Comunità si era regolarmente insinuata al passivo del fallimento, dimostrando così di non essere rimasta inoperosa.
2. – Con il primo motivo – deducendo violazione dei principi secondo cui la ed. rappresentanza apparente non può operare erga, omnes, ma solo opera in favore di colui che stipuli con il falsus procuratori violazione dei principi secondo cui il rappresentato non ha l’obbligo di portare a conoscenza dei terzi i limiti della procura conferita al proprio rappresentante o agente; violazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 116 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia – la ricorrente assume che la Comunità montana, pur essendo beneficiaria dell’indennizzo, deve considerarsi terza rispetto al contratto di assicurazione stipulato da Eco E. con A., e non può invocare in suo favore i principi in tema di rappresentanza apparente, che operano esclusivamente a tutela dell’incolpevole affidamento di colui che contratta con il rappresentante senza potere. Rispetto ai terzi dovrebbe esclusivamente valere la situazione reale.
La ricorrente censura poi la sentenza impugnata nella parte in cui ha dato rilevanza alla situazione apparente, assumendo che nulla autorizzava l’affidamento sulla sussistenza dei poteri rappresentativi, quanto al testo della polizza ed al mancato inserimento dei limiti al potere dell’agente, non avendo essa alcun obbligo di portare a conoscenza dei terzi (cioè della beneficiaria) i limiti inerenti alla procura conferita all’agente, considerato anche che il terzo non avrebbe potuto modificare il contenuto di un contratto concluso inter alios.
Nè il colposo comportamento potrebbe desumersi dalla mancata comunicazione alla Comunità montana del diniego dell’autorizzazione e dalla mancata restituzione del premio, non sussistendo alcun obbligo di inviare ai terzi la suddetta comunicazione ed essendo la Direzione generale della compagnia assicuratrice all’oscuro dell’avvenuta riscossione del premio stesso.
La Corte di appello, pertanto, avrebbe applicato i principi in tema di rappresentanza apparente, nonostante la mancanza dì prova della colpa del rappresentato nell’avere creato la situazione apparente, prova che deve essere fornita da chi invochi gli effetti dell’apparenza.
Nelle due memorie difensive la ricorrente ha ripetuto e integrato le suddette argomentazioni, rilevando che solo il diretto contraente la polizza affronta un sacrificio in vista degli effetti del contratto, quindi egli solo è da ritenere legittimato ad invocare in suo favore la tutela della cd. rappresentanza apparente. Nei confronti del terzo beneficiario, che non affronta alcun sacrificio nè subisce pregiudizio dalla stipulazione, non vi sarebbe ragione per far prevalere la situazione apparente su quella reale, in danno del rappresentato.
Tanto più quando si consideri che il codice civile prevede come solo effetto della rappresentanza senza potere la responsabilità per danni del falsus procurator (art. 1398 cod. civ.); non l’obbligo del rappresentato di rispondere della situazione apparente come se fosse reale. L’istituto della rappresentanza apparente andrebbe quindi applicato restrittivamente e senza estenderne gli effetti nei confronti di soggetti terzi.
Rileva ancora la ricorrente che non rientra fra i normali poteri dell’agente quello di rappresentare la società preponente (artt. 1742, 1745 e 1752 cod. civ.), sicchè la mancata indicazione nel testo della polizza dei limiti inerenti al potere di firma dell’agente risulta irrilevante. Nel caso di specie, poi, nello spazio riservato alla sottoscrizione della polizza era indicato “A. Le Assicurazioni d’Italia”, e non “L’Agente”; sicchè ogni affidamento era da ritenere ingiustificato.
Ha ribadito che la beneficiaria della polizza avrebbe dovuto espressamente dimostrare un comportamento colposo, non meramente omissivo, del rappresentato, e così dimostrare che la Compagnia era a conoscenza del fatto che l’Agente aveva sottoscritto la polizza e riscosso il premio, senza restituirlo successivamente alla mancata autorizzazione.
2. – Le molteplici censure non possono essere condivise.
2.1.- La questione di fondo sollevata dalla ricorrente concerne il diritto del beneficiario di un contratto a favore di terzi (qual’è l’assicurazione fideiussoria o cauzionale: Cass. civ., Sez. 111, Ord. 27 maggio 2005 n. 11261) di invocare in suo favore il principio dell’apparenza, per tenere fermi gli effetti del contratto di garanzia, ove esso sia stato stipulato, per il promittente, da un rappresentante senza potere.
Traendo argomento dal principio più volte affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il beneficiario è terzo rispetto al contratto, la ricorrente ritiene che egli non possa invocare gli effetti della rappresentanza apparente: istituto di formazione giurisprudenziale, che sostituisce ad ogni effetto la situazione apparente a quella reale e che pertanto è da applicare restrittivamente, in mancanza di espressa previsione di legge.
La tesi – pur pregevolmente illustrata – non può essere condivisa.
Premettiamo che la ricorrente – pur richiamandone la singolarità – non mette in discussione i principi giurisprudenziali circa gli effetti della rappresentanza apparente, per cui il contratto concluso dal falsus procurator si considera senz’altro valido, ove il rappresentato abbia colposamente creato, o contribuito a creare, la situazione apparente, laddove la legge prevede normalmente come sanzione solo il risarcimento dei danni.
Non v’è ragione, quindi, di discostarsi dalla giurisprudenza consolidata in materia (anche perchè la conservazione degli effetti del contratto “apparente”, come se fosse valido, si potrebbe considerare una modalità di risarcimento dei danni in forma specifica).
Per guanto concerne i contratti a favore di terzi, l’estensione al beneficiario della tutela derivante dai principi in tema di rappresentanza apparente trova solido riscontro nel sistema.
Ed invero, nel momento in cui dichiari di voler approfittare della stipulazione in suo favore, il terzo subentra nella stessa posizione dello stipulante, per quanto concerne presupposti e requisiti del suo diritto alla prestazione: nel senso che gli possono essere opposte tutte le eccezioni di invalidità del contratto che potrebbero essere opposte allo stipulante (art. 1413 cod. civ.), ma anch’egli può paralizzare le suddette eccezioni, sulla base delle medesime circostanze che potrebbe invocare lo stipulante, per tenere fermi gli effetti del contratto (nella specie, gli effetti della rappresentanza apparente; in altri casi, in ipotesi, l’intervenuta convalida o ratifica; la non essenzialità o non riconoscibilità dell’errore, ecc.).
Vale a dire, conseguendo il diritto alla medesima prestazione che è dovuta allo stipulante, il terzo beneficiario della prestazione soggiace alle eccezioni di invalidità-inefficacia del contratto negli stessi limiti in cui vi soggiace lo stipulante. Si verrebbe altrimenti a configurare in suo favore un diritto “claudicante” e comunque minore di quello spettante allo stipulante medesimo, il quale eroga la sua prestazione in vista di una contropromessa giuridicamente completa nei suoi effetti, pur se destinata ad altri.
Se è vero, quindi, che il beneficiario del contratto a favore di terzi è (per definizione) terzo, è indubbio che egli subentri nella stessa posizione giuridica dello stipulante, guanto alla validità ed all’efficacia della prestazione promessa in suo favore.
Ciò vale in particolar modo nei casi simili a quello di specie, ove il terzo non è solo il giuridico beneficiario del contratto, ma è il vero ed unico soggetto economicamente interessato alla sua stipulazione, nel senso che ad essa condiziona il suo comportamento commerciale.
In relazione alle polizze cauzionali stipulate dall’appaltatore su richiesta del committente e in suo favore, allo stipulante appaltatore potrebbe anche non interessare l’effettiva validità ed efficacia dell’assicurazione, essendone sufficiente la mera apparenza agli effetti che egli persegue, che sono quelli di condizionare in suo favore il comportamento del committente.
In questi casi alla forma giuridica bilaterale della stipulazione, rispetto alla quale il committente è terzo, corrisponde un’operazione economica sostanzialmente trilatera, ove l’unica parte autenticamente interessata alla validità del contratto è il beneficiario della polizza, che ad essa condiziona l’erogazione delle sue prestazioni.
Il negargli la tutela dell’affidamento sulla situazione apparente equivarrebbe ad adottare soluzione antitetica a quella richiesta dai reali interessi in discussione.
I rilievi del ricorrente, certamente seri e perspicui, secondo cui non vi sarebbe ragione di proteggere chi non affronti alcun sacrificio in relazione alla stipulazione, non appaiono in termini, poichè il committente – terzo è certamente danneggiato – sotto il profilo economico – dall’eventuale invalidità della polizza, in quanto eroga le sue prestazioni (ed in particolare i pagamenti), facendo pieno affidamento sulla validità della garanzia.
Si può aggiungere che è tutt’altro che pacifico che, in linea di principio, la tutela dell’affidamento sulla situazione apparente non possa essere estesa ai terzi, estranei alla contrattazione.
La dottrina è propensa ad estendere la tutela in favore di chiunque, essendo portatore di un interesse qualificato, abbia subito diretto e concreto pregiudizio dalla non corrispondenza della situazione apparente a quella reale.
La giurisprudenza ha più volte affermato che quando due o più persone operino in modo da suscitare legittimo affidamento sull’esistenza fra loro di una società, può essere loro attribuita la responsabilità solidale per le obbligazioni assunte, come se la società esistesse (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. 1, 22 febbraio 2008 n. 4529): cioè il creditore dell’uno dei soci apparenti potrebbe far valere la responsabilità solidale dell’altro per il pagamento del suo credito, pur non avendo mai direttamente contrattato con quest’ultimo.
La materia, pertanto, ha confini tutt’altro che certi e consolidati.
2.2.- Per quanto concerne la sussistenza, nel caso in esame, dei presupposti di fatto della rappresentanza apparente (colpa di A. e legittimo affidamento del beneficiario), trattasi di accertamenti e valutazioni affidati alla discrezionale valutazione del giudice di merito, non suscettibili di riesame in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr., fra le altre, Cass. civ., Sez. 111, 12 gennaio 2006 n. 408).
La sentenza impugnata ha ampiamente e logicamente motivato il suo convincimento e le censure della ricorrente non hanno evidenziato illogicità o incongruenze nelle argomentazioni, limitandosi sostanzialmente a contestarne il risultato: cioè a sollecitare in questa sede una diversa (e inammissibile) decisione nel merito.
2.3.- Quanto alla censura della ricorrente secondo cui non rientra fra i normali poteri dell’agente quello di rappresentare la società preponente, va rilevato che gli artt. 1752, 1753 e 1903 cod. civ. ammettono normalmente che all’agente sia conferita la rappresentanza per la conclusione dei contratti, delineando così un sistema in cui gli effetti del rapporto risultano interamente affidati agli accordi fra le parti.
Nella specie, la polizza è stata sottoscritta per A. dall’Agente generale per la zona di (OMISSIS) che – a quanto risulta dall’esposizione in fatto della sentenza e degli atti di parte – aveva il potere di firma dei contratti, in nome della società. Solo doveva chiedere l’autorizzazione della Direzione generale per assumere determinati rischi.
I limiti al potere di firma dell’Agente generale derivavano, cioè, dal rapporto interno di mandato fra agente e società, di cui terzi non erano, e non sono normalmente, a conoscenza; non da atti o situazioni apparenti, quali una procura, il testo della polizza, eventuali avvertenze al pubblico e simili, idonei a richiamare la loro attenzione (cfr. in materia l’art. 1903 c.c., comma 1).
Giustamente pertanto la Corte dì appello ha attribuito rilevanza essenziale alla mancata menzione nella polizza sottoscritta dalle parti dei limiti inerenti al potere dell’Agente generale di impegnare la società.
E’irrilevante che nello spazio riservato alla sottoscrizione fosse indicato “A.. “, e non “L’Agente”.
Ove infatti il contraente aderente abbia ragione di ritenere che l’Agente sia legittimato a rappresentare la società, l’indicazione appare normale. (Avrebbe potuto sollevare dei dubbi, se mai, la seconda espressione).
Parimenti irrilevante è il fatto che la beneficiarla Comunità montana non avrebbe potuto modificare il contratto già concluso, ove fosse stata informata.
Essa avrebbe potuto astenersi, infatti, dall’erogare anticipazioni e pagamenti all’appaltatore risultato insolvente, evitando il danno.
2.4.- Quanto alla mancata conoscenza da parte della Compagnia del fatto che l’Agente aveva sottoscritto la polizza ed aveva riscosso il premio, senza restituirlo dopo il diniego dell’autorizzazione, va ricordato che A. è tenuta a rispondere del comportamento dell’agente, quale suo ausiliario, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ..
Sotto ogni profilo, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
3.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 1957 cod. civ., e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, la ricorrente assume che il sopravvenuto fallimento della Eco E. non esonerava la Comunità montana dall’obbligo di proporre la sua domanda di pagamento contro la debitrice, considerato che la risoluzione del contratto di appalto, con il manifestarsi dell’insolvenza della debitrice, è intervenuta in data 8.8.1996, mentre la sentenza di fallimento è stata emessa il 18.11.1996.
3.1.- Il motivo non è fondato.
La Corte di appello ha rilevato – con accertamento in fatto, non contestato e non più discutibile in questa sede – che la Comunità Montana ha invitato la Eco E. a restituire le anticipazioni ricevute, con lettera racc. (OMISSIS); che il fallimento della società debitrice è sopraggiunto solo tre mesi dopo la scadenza dell’obbligazione garantita, e che la Comunità montana ha proposto regolare domanda di insinuazione al passivo della Eco E.. Ha giustamente escluso, pertanto, che sia addebitabile alla beneficiaria della polizza l’inerzia che giustifica la decadenza dalla garanzia, non potendo essa proporre azione individuale di pagamento contro la società, dopo l’apertura della procedura fallimentare, ed essendosi poi tempestivamente attivata per far valere il suo credito, nelle forme e nei termini di cui alla suddetta procedura.
Ed invero, ove sopraggiunga il fallimento del debitore garantito prima della scadenza del termine di cui all’art. 1957 cod. civ., il termine stesso è da ritenere sospeso, ed il creditore garantito conserva il diritto alla garanzia, ove proponga senza ritardo, nei tempi tecnici stabiliti dagli organi della procedura fallimentare, domanda di insinuazione al passivo.
La soluzione potrebbe essere dubbia ove neppure i tempi tecnici per l’insinuazione al passivo del Fallimento fossero stati rispettati (per esempio, nel caso di mancata insinuazione o di insinuazione tardiva).
Ma non sono state sollevate questioni in materia, nè in questa sede, nè soprattutto nelle competenti sedi di merito.
4.- II ricorso deve essere rigettato.
5.- Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate complessivamente in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2008
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