E’ noto che nel giudizio in opposizione a decreto ingiuntivo si verifica una sorta di inversione: il convenuto-opposto formale è in realtà il creditore che ha già proposto la domanda; l’attore-opponente formale è invece il debitore.
Si pone pertanto il problema di chi possa proporre domande riconvenzionali in quel giudizio: il creditore o il debitore?
La Corte di Cassazione (sent. 13086/2007) ribadisce il principio secondo cui nell’ordinario giudizio di cognizione introdotto dalla opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che incorrerebbe nel divieto di proporre domande nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi nella posizione processuale di convenuto.
L’inosservanza del divieto, aggiunge la Corte, correlata all’obbligo del giudice di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità, poichè costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione anche d’ufficio, ove sulla questione non si sia formato, pur implicitamente, il giudicato interno (Cass. 26 settembre 2005, n. 18786; Cass. 17 settembre 2004, n. 18767; Cass. 18 giugno 2004, n. 11415, tra le tantissime).
Naturalmente, il creditore-opposto ha potrà proporre domande nuove in relazione alle domande riconvenzionali del debitore-opponente. Tuttavia non sono ben chiari i tempi:
- in quale momento e con quale atto il debitore-opponente ha l’onere di proporre la domanda riconvenzionale?
- entro quando il creditore-opposto può a sua volta opporre la reconventio reconventionis?
Sembrerebbe che per il primo la preclusione sia collegata all’atto di citazione; per il secondo, alla tempestiva costituzione in giudizio.
Questo, però, fa sì che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non possa applicarsi la norma di cui all’art. 183, comma 5, c.p.c., che consente all’attore, in prima udienza, di proporre le domande nuove che siano conseguenza delle domande e delle eccezioni del convenuto. Diversamente, dovrebbe concludersi che in quel giudizio le parti hanno poteri più ampi rispetto al normale giudizio di cognizione.
Difatti, nell’ordinario giudizio di cognizione l’udienza di trattazione è l’ultima occasione per l’attore (e solo per l’attore) di proporre domande nuove. Il convenuto, infatti, può proporre solo eccezioni una volta consumato il potere con la comparsa.
Cassazione civile , sez. III, 05 giugno 2007, n. 13086
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. VARRONE Michele – Consigliere –
Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –
Dott. FICO Nino – Consigliere –
Dott. LEVI Giulio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.A.; D.G., elettivamente domiciliato in Roma,
viale Liegi n. 34, presso l’avv. Giuseppe Scapato, difesi dall’avv.
Tamarro Spena, giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
Comune di Sant’Antimo, in persona del Commissario Straordinaria Dott.
F.F., elettivamente domiciliato in Roma, Lungo Tevere
Flaminio n. 46, presso l’avv. Sasso Antonio che la difende giusta
delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 649/03 del
6/24 febbraio 2003 (R.G. 3797/01).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16 maggio 2007 dal Relatore Cons. Dott. Mario Finocchiaro;
Lette le conclusioni scritte del P.M., Dott. Martone Antonio che ha
chiesto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza,
conclusioni confermate in Camera di Consiglio dal P.M., in persona
del Sostituto Procuratore Generale Dott. Russo Rosario Giovanni.
Fatto
Con decreto 13 luglio 1992 il Presidente del tribunale di Napoli ha ingiunto al Comune di S. Antimo il pagamento, in favore di M. A., della somma di L. 41.241.356 da quest’ultimo pretesa per canoni di locazione, relativi ai mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 1992, quanto a un complesso immobiliare in (OMISSIS).
Con atto 10 settembre 1992 il comune intimato ha proposto opposizione, avverso il descritto decreto, affermando che il contratto inter partes era cessato il 28 febbraio 1992 e che l’immobile era stato messo a disposizione del locatore sin dal 27 febbraio 1992.
Costituitosi in giudizio il M. ha eccepito che non gli era mai stata comunicata la disdetta del contratto e che il Comune, ritenendo erroneamente cessato il contratto, non aveva riconsegnato l’immobile nella forme di legge.
Esposto, ancora, che il comune aveva arrecato danni all’immobile locato nonchè eseguito modifiche, il M. ha chiesto il rigetto della proposta opposizione nonchè la condanna del Comune al pagamento dei canoni maturati (e maturandi) fino alla riconsegna dell’immobile, possibile esclusivamente solo dopo il ripristino del fabbricato nella condizioni in cui si trovava al momento della stipula della locazione, o, in via subordinata, al risarcimento dei danni.
Eccepita dal Comune opponente la inammissibilità della domanda risarcitoria e intervenuta in giudizio D.G., che ha dichiarato di avere acquistato dal M. la proprietà della metà del fabbricato e di essere cessionaria dell’interni credito reclamato dal M., l’adito tribunale, con sentenza 4-5 ottobre 2001, ritenuta ammissibile la domanda nuova proposta dal M. (perchè il Comune ne aveva eccepito la inammissibilità non nella prima udienza successiva, ma nelle note depositate su riserva del giudice), e la sussistenza di danni nell’immobile per incuria e trasformazione dell’immobile stesso, nonchè la legittimità del rifiuto del locatore di riceverne la restituzione e un concorso del locatore stesso nella produzione dei danni, ha condannato il Comune al pagamento in favore di D.G. della somma di L. 350 milioni per il ripristino del fabbricato e di L. 1.640.000 per canoni di locazione dal 1992 al marzo 2001, e interessi, il tutto ridotto del 20% per la dichiarata concorsualità.
Il tribunale, ancora, ha condannato il M. a restituire la somma di L. 24 milioni detenute quale deposito cauzionale con interessi dal 12 marzo 1986 e ha obbligato le parti in causa alle operazioni di consegna dell’immobile, una volta avvenuto il relativo pagamento.
Gravata tale pronunzia in via principale dal M. e dalla D. e in via incidentale dal Comune di S. Antimo, la Corte di appello di Napoli con sentenza 6 – 24 febbraio 2003 rigettato l’appello principale ha accolto quello incidentale e, per l’effetto, in riforma della decisione del primo giudice, ha dichiarato inammissibile, per il suo carattere di novità, la domanda di risarcimento danni avanzata dal M. e fatta propria dalla D., con condanna di questi ultimi al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Per la cassazione di tale ultima sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso, affidato a un unico motivo, con atto 7 aprile 2003, M.A. e D.G..
Resiste, con controricorso il Comune di Sant’Antimo.
Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Diritto
1. Rileva in limine il Collegio la inammissibilità dell’atto con il quale, in sostituzione del precedente difensore, avv. Antonio Sasso, si è costituito in giudizio, per il comune di Sant’Antimo, l’avv. Vincenzo Grimaldi, con procura autenticata dallo stesso avv. Grimaldi a margine di “atto di costituzione in sostituzione di difensore”.
In conformità a quanto affermato in molteplici occasioni dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, infatti, deve ribadirsi, ulteriormente, che nel giudizio di cassazione – diversamente rispetto a quanto si ritiene con riguardo ai giudizi di merito – la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poichè l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati.
Pertanto, se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal citato art. 83, comma 2, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass. 1 aprile 1999, n. 3121).
Nè a una conclusione diversa può pervenirsi nel caso in cui debba sostituirsi il difensore nominato con il ricorso, non rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso e non soggetto agli eventi di cui agli art. 299 ss. c.p.c., il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore (nella specie denominato “atto di costituzione”) su cui possa essere apposta la procura speciale (Cass. 9 ottobre 1997, n. 9799).
2. Come accennato in parte espositiva, il Presidente del tribunale di Napoli ha ingiunto (con decreto 13 luglio 1992) al Comune di S. Antimo il pagamento, in favore di M.A., della somma di L. 41.241.356 da quest’ultimo pretesa per canoni di locazione, relativi ai mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 1992, quanto a un complesso immobiliare in (OMISSIS).
Proposta opposizione, innanzi al tribunale di Napoli, dal Comune intimato, il quale ha dedotto la cessazione del rapporto di locazione e la non debenza, per l’effetto, dei canoni reclamati da controparte, il M., in sede di costituzione in giudizio ha spiegato una nuova domanda volta a ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alle modifiche non autorizzate apportate all’immobile dalla parte conduttrice.
La Corte di appello di Napoli – andando di contrario avviso rispetto a quanto ritenuto dal primo giudice – in applicazione della giurisprudenza di questa Corte regolatrice, costante nell’affermare che nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione e che la inosservanza di tale divieto è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da M. e sulla quale ha insistito la D., avente causa del primo, evidenziando – tra l’altro – che il Comune di Sant’Antimo aveva ritualmente eccepito la violazione del divieto di cui sopra nel corso del giudizio di primo grado nonchè con l’appello incidentale.
3. Con l’unico motivo i ricorrenti censurano la riassunta pronunzia denunziando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto.
Art. 360 c.p.c., n. 3.
con riferimento agli articoli 645, 183 e 184 c.p.c. vigenti all’epoca della domanda di risarcimento”.
Assumono i ricorrenti, in particolare, che la domanda di risarcimento danni proposta dal M. con la comparsa di costituzione all’opposizione “è legittima e, tra l’altro, non costituendo una variazione del fatto giuridico posto a fondamento della pretesa, non prospetta nuovi elementi che mutano il fatto costitutivo del diritto vantato, nè un diverso oggetto della pretesa (mutatio libelli)”, atteso che nel procedimento di ingiunzione la posizione sostanziale di attore compete al creditore, convenuto in opposizione, al quale deve ritenersi consentita anche la facoltà di mutare la causa petendi, nei limiti della emendatio libelli, da esercitarsi con la comparsa di risposta.
La richiesta di risarcimento dei danni – proseguono i ricorrenti – già avanzata nel ricorso per decreto ingiuntivo, rappresenta una integrazione di tale domanda, atteso che per tale risarcimento il credito non era liquido nè esigibile e, pertanto non poteva chiedersi la liquidazione con la procedura monitoria.
4. La deduzione – come puntualmente evidenziato dal P.G. – è manifestamente infondata.
Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde la difesa dei ricorrenti e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi, nell’ordinario giudizio di cognizione introdotto dalla opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che incorrerebbe nel divieto di proporre domande nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi nella posizione processuale di convenuto.
L’inosservanza del divieto, correlata all’obbligo del giudice di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità, poichè costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione anche d’ufficio, ove sulla questione non si sia formato, pur implicitamente, il giudicato interno (Cass. 26 settembre 2005, n. 18786; Cass. 17 settembre 2004, n. 18767; Cass. 18 giugno 2004, n. 11415, tra le tantissime).
Pacifico quanto precede e pacifico, altresì, che nella specie il M. dopo avere chiesto, nel ricorso per ingiunzione, la condanna del Comune di Sant’Antimo al pagamento dei canoni di locazione, solo in occasione della costituzione in giudizio, per resistere all’opposizione proposta dalla parte intimata, ha introdotto la domanda tesa a conseguire il risarcimento dei danni conseguenti alla cattiva manutenzione dell’immobile da parte del conduttore nonchè alle opere abusive da questi eseguite, è di palmare evidenza che si è a fronte a una domanda riconvenzionale vietata e che correttamente i giudici di secondo grado ne hanno dichiarato la inammissibilità.
Deve escludersi, contemporaneamente, che la domanda volta al risarcimento dei danni per avere il conduttore danneggiato l’immobile costituisca una mera emendatio libelli della originaria pretesa volta a conseguire il corrispettivo della locazione per essere questa ancora in corso.
Non solo le due pretese hanno, chiaramente, due petita totalmente diversi ma sono diversi, chiaramente, le causae petendi certo che in un caso (con il ricorso per decreto ingiuntivo) si faceva valere l’inadempimento della parte conduttrice quanto all’obbligo di pagare i canoni del caso, mentre nell’altro (con la domanda introdotta nella comparsa di costituzione) si è dedotto un diverso inadempimento della stessa conduttrice (cfr. Cass. 12 aprile 2005, n. 7524; Cass. 11 marzo 2004, n. 5006).
Irrilevante e non pertinente, al fine del decidere, è la circostanza che nel ricorso per decreto ingiuntivo il M. abbia fatto riferimento a altri inadempimenti di controparte formulando, altresì “riserva di domanda per le ulteriori somme dovute, anche a titolo di risarcimento danni e che sar(ebbero) state richieste in un separato giudizio”.
Giusta la testuale previsione dell’art. 99 c.p.c., chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente.
Certo quanto sopra è evidente, da un lato, che colui che, esposte determinate circostanze, si riserva di proporre, in altro separato giudizio, le domande conseguenti a queste, non propone nel primo giudizio alcuna domanda sì che ove, successivamente, introduca in questo tali domande riservate non opera una emendatio libelli, ma una vera e propria, vietata, anche nel vigore degli artt. 183 e 184 c.p.c. nella formulazione assunta a seguito della novella del 1950 mutatio libelli, dall’altro, che le domande riservate, per essere validamente sottoposte all’esame del giudice devono essere introdotte in giudizio con il rispetto delle regole del processo civile.
5. Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso,in conclusione,deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.
P.Q.M
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 oltre Euro 1.600,00 per onorari oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2007
Ultimi commenti