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L’art. 360 n. 3 c.p.c. distingue la violazione di legge (o meglio norma di diritto) rispetto alla sua falsa applicazione.
Va detto che la S.C. (almeno per una volta!) non è esigente a tal punto da dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione solo perchè viene denunciata una violazione di legge in luogo della sua falsa applicazione, e viceversa.
Cerchiamo però di comprendere la distinzione.
Il vizio di violazione di legge (quanto alla violazione di legge in senso proprio) ricorre in ipotesi di:
a) erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma;
b) nonché di attribuzione ad essa di un significato non appropriato.
Vi rientrano, ad esempio, gli errori sulla entrata in vigore di una disposizione, gli errori di interpretazione e così via.
La falsa applicazione ricorre in questi casi:
a) sussunzione della fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perché, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro;
b) deduzione dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, di conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass. 26 settembre 2005, n. 18782).
L’errore più di frequente commesso dagli avvocati consiste nel confondere il vizio motivazionale con la falsa applicazione di legge. Facciamo un esempio. Il giudice di merito ha escluso motivatamente esservi nesso di causalità tra fatto ed evento dannoso, ad esempio la caduta dalle scale bagnate di un edificio condominiale. Il ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 2051 c.c. Qui non c’è errata applicazione di una norma di diritto; l’eventuale vizio motivazionale va censurato con il 360 n. 4 se la motivazione è contraddittoria, incomprensibile, apparente, perplessa, mentre va censurata con il n. 5 se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Quando si censura la falsa applicazione di legge e la violazione di legge significa che il fatto storico, come ricostruito dal giudice, è corretto; ciò che si contesta è la sussunzione o la mancata sussunzione sotto una norma.
Quando si parla di fatto storico non ci si riferisce alla sua valutazione giuridica, bensì alla sua materialità. Facciamo un esempio: affermare se un avvocato abbia o meno con il suo comportamento omissivo determinato la soccombenza del cliente, integra un accertamento di fatto sottratto al sindacato della Cassazione. Ma una volta che il giudice di appello abbia accertato quel fatto, l’affermazione circa la sua riconducibilità al concetto di imperizia è valutazione in iure non in facto che ben può essere sindacata dalla Corte.
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