Ricorso per cassazione: se è manifestamente infondato può esserci ulteriore condanna

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La S.C. (7793/2018) ribadisce che davanti ad essa ci si va solo “con giudizio”, cioè prospettando motivi e argomenti non manifestamente infondati o inammissibili. In caso contrario, ci può essere una condanna ulteriore o ex art. 385 c.p.c. vecchia versione (per i ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate dopo il 2/3/2006), o ex art. 96 c.p.c. (per i giudizi in primo grado iniziati dopo il 4 luglio 2009).

Ciò significa che l’avvocato deve valutare davvero bene se è il caso di ricorrere in Cassazione o se sia meglio lasciar perdere.

Il giudizio è iniziato in primo grado nel novembre 2008 ed il ricorso per cassazione è stato proposto nel 2015; ad esso pertanto è applicabile l’art. 385, comma quarto, cod. proc. civ., a norma del quale «quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’art. 375, la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave»;

tale norma è stata aggiunta dall’art. 13 d. Igs. 2 febbraio 2006, n. 40, e, per espressa previsione dell’art. 27, comma 2, del medesimo decreto, si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 02/03/2006;

il medesimo art. 385, comma 4, cod. proc. civ. è stato abrogato dall’art. 46, comma 20, I. 18 giugno 2009, n. 69; tuttavia, per espressa previsione dell’art. 58 della stessa legge, «le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile (…) si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore», vale a dire dopo il 04/07/2009;

nel presente giudizio è pertanto applicabile ratione temporis l’art. 385, comma 4, cod. proc. civ. (come già ritenuto da Cass. 07/10/2013, n. 22812, in motivazione), in quanto:

(a) il ricorso per cassazione ha ad oggetto una sentenza pronunciata dopo il 02/03/2006;

(b) essendo il giudizio in primo grado iniziato prima del 04/07/2009, ad esso non si applica l’abrogazione dell’art. 385, comma 4, cod. proc. civ., disposta dalla I. 69/2009;

v’è solo da aggiungere, per completezza ed a maggior conforto del principio di diritto di cui subito appresso, che il precetto già contenuto nell’art. 385, comma 4, cod. proc. civ., per i giudizi introdotti dopo il 04/07/2009 non è stato soppresso, ma semplicemente trasferito nel terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., come novellato dall’art. 45, comma 12, della citata legge n. 69/09: scelta, quest’ultima, la quale palesa la evidente volontà del legislatore non solo di tenere fermo il principio medesimo, ma anzi di rafforzarlo, spostando la relativa previsione in una disposizione di carattere generale ed applicabile a qualsiasi tipo di giudizio;

invero, la manifesta inammissibilità dovuta alla mancata censura della ratio decidendi in un contesto di complessiva singolare negligenza nel giudizio di primo grado, unica ragione della soccombenza per non fornita prova positiva dell’accadimento dei fatti invocati a fondamento della domanda, integra i presupposti della detta condanna;

questi sono stati elaborati, per il giudizio di legittimità, con unitaria considerazione degli istituti delle condanne previste dall’art. 385 co. 4 e 96 co. 3 del codice di rito, da questa Corte (fin da Cass.07/10/2013, n. 22812, ma soprattutto da Cass. ord. 22/02/2016, n. 3376), nel senso che, «ai fini della condanna … ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., l’infondatezza in iure delle tesi prospettate in sede di legittimità, in quanto contrastanti con il diritto vivente e con la giurisprudenza consolidata, costituisce indizio di colpa grave così valutabile in coerenza con il progressivo rafforzamento del ruolo di nomofilachia della Suprema Corte, nonché con il mutato quadro ordinamentale, quale desumibile dai principi di ragionevole durata del processo – art. 111 Cost. -, di illiceità dell’abuso del processo e di necessità di una interpretazione delle norme processuali che non comporti spreco di energie giurisdizionali»;

in senso analogo le altre pronunzie espresse sul punto, tra cui si segnalano Cass. 21/07/2016, n. 15017, ovvero Cass. 14/10/2016, n. 20732; pertanto, va pronunziata nei confronti della soccombente condanna al pagamento di una somma che stimasi equa nella misura indicata in dispositivo

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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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