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La Corte d’appello dopo avere accertato l’esistenza d’un inadempimento del contratto di transazione da parte dei convenuti e dopo avere ritenuto che tale inadempimento fosse grave, definitivo, contrario a buona fede e rilevante, ha nondimeno rigettato la domanda di risoluzione del contratto, sul presupposto che pronunciare la risoluzione avrebbe vanificato gli sforzi fino a quel momento compiuti dalle parti per cercare di comporre le loro annose liti.
Ai fini dell’accoglimento d’una domanda di risoluzione d’un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1453 c.c., il giudice deve accertare se esista il contratto, se esista l’inadempimento, se l’inadempimento sia “grave avuto riguardo all’interesse della controparte” (art. 1455 c.c.). La definizione del concetto di “interesse” di cui all’art. 1455 c.c. da molti anni ha visto la dottrina dividersi. Taluni autori (in posizione isolata) sviliscono infatti tale concetto, ritenendo che l’ “interesse” di cui all’art. 1455 c.c. costituisca un mero criterio di valutazione della gravità dell’inadempimento. Altri autori dànno di quel concetto una lettura soggettiva, sostenendo che l’interesse di cui all’art. 1455 c.c. coincida con la volontà della parte non inadempiente, e che di conseguenza sussiste in tutti i casi in cui possa ritenersi che quest’ultima non avrebbe stipulato, qualora avesse avuto contezza dell’inadempimento (tesi che, a sua volta, si ràdica sulla più antica teoria, di matrice germanica, la quale ravvisa il fondamento della risoluzione per inadempimento nel principio rebus sic stantibus).Un terzo gruppo di autori, infine, ritiene che l’ “interesse” di cui all’art. 1455 c.c. vada inteso in senso non soggettivo ma oggettivo, quale sinonimo di rilevanza dell’inadempimento per qualunque persone di normale avvedutezza.
Nel permanere dei contrasti dottrinari, la Suprema Corte ha da tempo affermato che l’interesse di cui all’art. 1455 c.c. non si identifica con l’interesse alla risoluzione, ma consiste nell’interesse all’adempimento (Sez. 2, Sentenza n. 4311 del 28/06/1986). Infatti, posto che l’art. 1455 c.c. parla genericamente di “interesse” della parte non inadempiente, in apicibus la lettera della norma potrebbe essere interpretata in due sensi alternativi: quale interesse alla risoluzione del contratto, oppure quale interesse alla esecuzione del contratto. La prima interpretazione, tuttavia, renderebbe la norma superflua. Se, infatti, si intendesse l’art. 1455 c.c. nel senso che l’inadempimento rilevante ai fini della risoluzione è quello di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse della controparte alla risoluzione, si finirebbe per rendere l’art. 1455 c.c. un ovvio paralogismo: e cioè che ha diritto a chiedere la risoluzione la parte che ha interesse alla risoluzione. E’ noto tuttavia che quando una norma consente più letture alternative, va preferita quella in grado di conferire al testo della legge un senso, piuttosto che quella in base alla quale la norma non avrebbe senso alcuno. Pertanto l’interesse richiesto dall’art. 1455 c.c. non può che consistere nell’interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita: interesse che deve presumersi (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.) vulnerato tutte le volte che l’inadempimento sia stato di rilevante entità, ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie (Sez. 3, Sentenza n. 8063 del 14/06/2001).
Ciò posto in teoria, si rileva in punto di fatto che la Corte d’appello ritenne “grave” l’inadempimento degli odierni controricorrenti, ma soggiunse che dichiarare risolto il contratto di transazione avrebbe annullato gli sforzi compiuti dalle parti, ed i risultati raggiunti, per comporre la loro lite. Così giudicando, tuttavia, la Corte d’appello ha effettivamente violato l’art. 1455 c.c.. Da un lato, infatti, per quanto già detto la Corte d’appello, rilevata la gravità dell’inadempimento, a tanto si sarebbe dovuta arrestare ai fini dell’accoglimento della domanda di risoluzione, in virtù del principio secondo cui un inadempimento grave fa presumere leso l’interesse della controparte, salvo che la parte inadempiente fornisca la prova del contrario. Dall’altro lato, la Corte d’appello ha scambiato l’interesse alla prestazione rimasta ineseguita, l’unico che deve essere valutato ai fini dell’art. 1455 c.c., con l’interesse alla risoluzione, ovvero con la convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di adempimento. Scelta, quest’ultima, che è riservata alla valutazione della parte, e sulla quale il giudice non può intervenire.
Tratto da Cass. 4022/2018
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Buongiorno,
Mi ha colpito la frase ” ciò non accade mai”.
Speriamo.
Io ho una domanda giudiziale dimostrata da registrazioni fonografiche non disconosciute e quindi piene prove, per cui avrei vinto.