1.- La vicenda sostanziale.
Nel gennaio del 2008 Tizio conveniva in giudizio Caio e Mevia affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, avente ad oggetto un appartamento sito in Viareggio, con condanna dei convenuti alla restituzione del doppio della caparra versata.
In occasione della stipula del contratto preliminare, l’attore quale promissario acquirente aveva versato la somma di euro 40.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, avendo convenuto le parti che il contratto definitivo dovesse essere stipulato entro il 30/09/2007, e che da quel momento fossero dovuti l’immissione nel possesso e il pagamento del saldo di euro 140.000 a mezzo mutuo.
La controversia originava dalla mancata stipula del contratto definitivo, ancorché le parti si fossero recate dal notaio il 24/07/2007, a causa della rilevata assenza in quell’occasione del certificato di abitabilità dell’immobile, contrariamente a quanto dichiarato dai promittenti venditori nel preliminare.
Malgrado le richieste del promissario acquirente, la certificazione di abitabilità non veniva fornita entro il termine per la stipula del definitivo, pertanto quest’ultimo manifestava la volontà di recedere dal contratto chiedendo la restituzione del doppio della caparra versata.
Si costituivano i convenuti i quali chiedevano il rigetto della domanda attorea, asserendo la veridicità delle dichiarazioni contenute nel preliminare in ordine all’abitabilità dell’immobile, la quale era stata effettivamente attestata dal geom. Ulpiano il 20 marzo 2007, con deposito in Comune della relativa attestazione, l’efficacia della quale era stata successivamente sospesa dal Comune di Viareggio per la necessità di ottenere da parte della ASL l’asseverazione del rispetto delle norme igienico-sanitarie, presupposto per l’abitabilità.
Il relativo procedimento amministrativo poi si concludeva con l’archiviazione della pratica il 28/11/2007 e la definitiva attestazione dell’abitabilità. I convenuti, pertanto, sostenevano che l’immobile fosse perfettamente commerciabile e che non ci fosse alcun inadempimento da parte loro; in via riconvenzionale chiedevano l’accertamento dell’inadempimento del promissario acquirente che si era rifiutato ingiustificatamente di addivenire alla stipula del definitivo e la consequenziale legittimità del recesso da loro esercitato, con ritenzione della caparra.
2.- La decisione del giudice di primo grado.
Il Tribunale, con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. del 19/09/2011, rigettava la domanda dell’attore e accoglieva la domanda riconvenzionale dei convenuti, con condanna del soccombente al pagamento delle spese di lite.
Nella motivazione, il giudice di primo grado rilevava che il recesso dell’attore dopo solo due giorni dalla scadenza del termine per la conclusione del definitivo, fosse contrario a buona fede, a maggior ragione atteso che il termine non era stato qualificato quale essenziale e che la verifica in ordine all’abitabilità si era conclusa entro un tempo ragionevole.
3.- Il giudizio d’appello
Avverso la suddetta sentenza, proponeva appello l’originario attore lamentando l’erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto essenziale il termine per la stipula del definitivo, nonostante che la mancata messa a disposizione del certificato di abitabilità entro il termine pattuito gli avesse reso impossibile procurarsi un mutuo ipotecario con l’istituto di credito di fiducia, indispensabile per poter pagare il prezzo (modalità di pagamento accettata dai promittenti venditori); sosteneva altresì che vi fosse un grave inadempimento dei promittenti venditori, valorizzato da una confessione contenuta in una missiva inviata al Comune il 07/09/2007, nella quale asserivano che il provvedimento di sospensione dell’abitabilità arrecava un gravissimo pregiudizio economico e impediva la stipula del rogito, causando conseguentemente il loro inadempimento.
Si costituivano gli appellati chiedendo la conferma della sentenza impugnata e ribadendo l’insussistenza di qualsiasi loro inadempimento, a fronte di una situazione di fatto immutata in cui l’abitabilità, temporaneamente sospesa, era poi divenuta definitiva.
La Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento dell’appello, accertava la legittimità del recesso del promissario acquirente, con condanna dei promittenti venditori alla restituzione del doppio della caparra ed al pagamento delle spese di lite dei due gradi di giudizio.
La Corte riteneva irrilevante l’accertamento circa l’essenzialità del termine, non trattandosi di risoluzione del contratto ex art. 1457 c.c.; valutava il comportamento dei promittenti venditori quale grave inadempimento, valorizzando la testimonianza dei funzionari dell’istituto di credito incaricati della stipula del mutuo ipotecario, dalla quale emergeva che la prova dell’abitabilità dell’immobile fosse conditio sine qua non per l’erogazione del mutuo (circostanza non contestata fino alla memoria di replica). Da ciò la legittimità del recesso ex art. 1385 comma 2 c.c. dell’attore-appellante, non essendo più in condizione di pagare il prezzo del bene (essendo irrilevante la considerazione circa il momento in cui era venuto a conoscenza della mancanza dell’abitabilità del bene).
Inconferenti erano le giustificazioni dei promittenti venditori, che attribuivano la responsabilità al comportamento irragionevole del Comune, non potendo subirne le conseguenze dannose il promissario acquirente, estraneo ai rapporti tra proprietario e PA.
La legittimità del recesso dell’appellante, a parere della Corte, era poi confortata da una serie di prove dalle quali emergeva la sua buona fede (pagamento della fattura del 24/04/2007 emessa dal geom. Sempronio per la verifica urbanistica dell’immobile; pagamento della provvigione per la mediazione all’agenzia immobiliare, pagamento del compenso del notaio per la predisposizione dell’atto).
4. Il ricorso per cassazione
I promittenti venditori ricorrono per la cassazione della suddetta sentenza sulla base di due motivi.
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1 n.5 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe omesso l’esame della natura del termine di adempimento indicato nel contratto preliminare, ritenendo detta indagine superflua a fronte della gravità dell’inadempimento dei promittenti venditori.
Nel caso di specie non sarebbe emerso dall’istruttoria alcun interesse del promissario acquirente, palesemente tenuto presente dalle parti, a che il contratto fosse stipulato entro e non oltre la data indicata nel preliminare (motivo soggettivo mai enunciato né nel contratto né nel corso delle trattative) mentre al contrario si ricavava, dalla natura del bene e dalla qualità delle parti, che l’interesse oggettivo allo scambio non potesse affievolirsi per effetto della sospensione d’ufficio del certificato di abitabilità, trattandosi di circostanza sopravvenuta e temporanea. In sintesi, doveva reputarsi che il contratto preliminare di vendita non contenesse alcun termine essenziale. La Corte aveva errato anche nel fondare il grave inadempimento sulla sospensione dell’abitabilità dell’immobile, circostanza temporanea che di per sé non avrebbe potuto integrare inadempimento, salvo valutarla in relazione al decorso del termine implicitamente considerato come essenziale.
4.1- La decisione sul primo motivo
Il primo motivo è stato ritenuto inammissibile. I ricorrenti hanno invocato il vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo per sostenere una diversa qualificazione giuridica dei fatti dedotti, a sé più favorevoli, circa la valutazione della natura essenziale del termine; tale censura tuttavia non è riconducibile all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., nell’interpretazione offertane dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (cfr. Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133), rientrando, viceversa, la qualificazione della fattispecie e l’individuazione delle norme giuridiche applicabili nel potere discrezionale del giudice.
In materia di procedimento civile, l’applicazione del principio íura novit curia, di cui all’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30607 del 27/11/2018; Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 8645 del 09/04/2018).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Firenze aveva espressamente escluso che la risoluzione fosse stata richiesta quale ipotesi di risoluzione di diritto del contratto per violazione del termine essenziale ex art. 1457 c.c., ritenendo che invece si trattasse di domanda di accertamento della legittimità del recesso ex art. 1385 comma 2 c.c., stante il riferimento non equivoco alla richiesta di condanna di controparte al pagamento del doppio della caparra versata.
Siffatta qualificazione è stata ritenuta coerente rispetto alla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha affermato ripetutamente che la natura non essenziale del termine previsto dalle parti per l’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, pur impedendo la configurabilità della risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c., non esclude che l’inosservanza di esso, ove superi ogni ragionevole limite di tolleranza da apprezzarsi discrezionalmente dal giudice di merito in relazione all’oggetto e alla natura del contratto, possa costituire inadempimento di non scarsa importanza a norma dell’art. 1455 e determinare quindi la risoluzione del contratto a norma dell’art. 1453 c.c. Ric. 2019 n. 2465 sez. M2 – ud. 15-01-2021 -7- Corte di Cassazione – copia non ufficiale (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 11653 del 14/05/2018; Cass., Sez. 2, sentenza n. 4314 del 04/03/2016; Cass., sez. 2, sentenza n. 3688 del 29/03/1995; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3523 del 10/06/1982).
Un inadempimento di non scarsa importanza si ha quando il ritardo, imputabile al debitore anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, superi ogni ragionevole limite di tolleranza. Accertare quando il ritardo ecceda qualsivoglia limite di tollerabilità costituisce apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che deve essere condotto in relazione all’oggetto e alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto e all’interesse dell’altro contraente (cfr. Cass., sez. 1, sentenza n. 10127 del 02/05/2006).
Inoltre la Corte d’Appello di Firenze aveva ravvisato un grave inadempimento dei promittenti venditori valorizzando la testimonianza dei funzionari dell’istituto bancario, dalla quale emergeva che il mutuo ipotecario necessario per il pagamento del prezzo della compravendita fosse stato negato proprio a causa della insussistenza dell’abitabilità dell’immobile, ritenendo così pienamente legittimo il recesso del controricorrente, non avendo più alcun interesse alla conclusione dell’affare per non essere più in condizione, per causa imputabile ai venditori, di potere far fronte all’obbligo di pagare il prezzo del bene, secondo le modalità che si erano prospettate all’atto della conclusione del preliminare.
La Corte ha ribadito che la valutazione della gravità dell’inadempimento costituisce una questione di fatto rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione congrua e immune da vizi logici o giuridici.
4.2- Il secondo motivo
Con il secondo motivo si lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 1385, 1455 c.c. ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. La sentenza della Corte sarebbe stata erronea nella parte in cui aveva accertato l’inadempimento dei promittenti venditori esclusivamente sulla base della mancanza dell’abitabilità, circostanza che aveva impedito al promissario acquirente di ottenere il mutuo per l’acquisto della casa, senza valutarne la gravità e l’imputabilità, anche rispetto alla natura non essenziale del termine, e senza valutare comparativamente il comportamento delle parti, nonché senza tenere conto della temporaneità e reversibilità, sia della causa di inadempimento, sia dell’ottenimento del mutuo. In tal modo la sentenza contrasterebbe con la giurisprudenza di legittimità che afferma che il recesso debba essere consentito solo quando l’inadempimento sia colpevole e non di scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente.
Nel caso di specie, la sospensione dell’abitabilità dell’immobile era stata revocata, con la conseguenza che lo stato di fatto dell’immobile era rimasto immutato; i promittenti venditori avevano correttamente dichiarato che l’immobile fosse abitabile nel preliminare, dipendendo la sua temporanea sospensione dal comportamento del Comune, sospensione che era stata prontamente comunicata al promissario acquirente, con un comportamento corretto e improntato a buona fede.
I ricorrenti assumono che la temporanea sospensione dell’abitabilità non possa essere considerata quale inadempimento, dal momento che la concessione del mutuo non costituiva una condizione essenziale del contratto, essendo una mera modalità di pagamento, e che il mutuo ben poteva essere concesso nel momento successivo in cui l’abitabilità dell’immobile era divenuta definitiva.
4.3- La decisione sul secondo motivo.
Il secondo motivo è stato parimenti dichiarato inammissibile.
Dopo aver ribadito l’insindacabilità in sede di legittimità della valutazione del giudice di merito sulla gravità dell’inadempimento, la S.C. osserva che il giudice chiamato a valutare la gravità dell’inadempimento non è tenuto ad analizzare ogni singolo dato acquisito al processo, ma adempie l’obbligazione della motivazione se giustifica compiutamente la sua decisione in base a quelle risultanze che ritiene risolutive ai fini della soluzione adottata.
L’obbligo di accertare l’importanza dell’inadempimento deve ritenersi osservato anche in difetto di un’espressa indagine diretta all’individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull’equilibrio contrattuale, enunciando le ragioni del proprio convincimento (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 984 del 28/01/2000; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11775 del 11/12/1990).
Nel caso di specie, dalla motivazione della sentenza si poteva comunque ricostruire l’iter logico che ha portato la Corte a ravvisare un grave inadempimento da parte dei promittenti venditori, conseguendo alla mancata stipula del contratto definitivo nel termine la perdita di interesse alla conclusione dell’affare da parte del controricorrente, a causa della negata erogazione del mutuo per causa imputabile ai venditori, con conseguente impossibilità di pagare il prezzo della compravendita.
Emergeva anche una valutazione comparativa del comportamento di entrambe le parti, nella parte in cui la Corte si soffermava sul comportamento del promissario acquirente, ritenendolo corretto e secondo buona fede, sulla base degli elementi di prova da cui emergeva che aveva provveduto al pagamento della fattura del 27/07/07, emessa dal tecnico per la verifica urbanistica dell’immobile, della provvigione per la mediazione all’Agenzia Immobiliare e dei compensi per il notaio per la redazione della relazione notarile e la predisposizione dell’atto di compravendita.

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