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Ho scritto molte volte che non sarà facile convincere la Corte che l’art. 116 c.p.c. detta un positivo criterio di apprezzamento della prova (prudente) che, ove violato, dovrebbe essere censurato proprio in base a quella norma.
In particolare, come evidenziato dalla dottrina, valutare una prova in maniera “prudente” significa:
a) rispettare le regole della logica
b) facendo uso di massime di esperienza ragionevoli e condivise.
Tuttavia, la S.C. continua ad affermare che l’art. 116 c.p.c. può essere invocato solo nel caso in cui il giudice abbia valutato liberamente una prova legale e viceversa, senza una vera spiegazione, trincerandosi dietro una sorta di “perchè lo dico io”.
Si tratta di una residuo storico, allorquando detti errori – ove decisivi – venivano censurati con il n. 5 (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione).
Cass. 5722/2019
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 violazione dell’art. 2043 c.c., artt. 116 e 115 c.p.c., in quanto (Ndr: testo originale non comprensibile) incontrollato della fauna a causa della reintroduzione di alcuni elementi prima non presenti in zona, vi sarebbero dichiarazioni testimoniali corroborate dalle affermazioni del responsabile della ripartizione forestale attestanti la sussistenza di un pericolo per l’uomo e per i fondi vicini. In realtà, l’elemento di raffronto è costituito dalla copia di un’intervista rilasciata dal responsabile del corpo forestale a un giornale locale nel 2012 che la Corte d’appello ha ritenuto non attinente al caso di specie, non avente neanche valore di testimonianza, ma semmai di fatto notorio da cui trarre elementi di prova, adeguatamente valutato come non riferibile temporalmente ai fatti di causa.
2.1. Le critiche in merito alla valutazione dei mezzi di prova raccolti, effettuata dai giudici di merito, risultano del tutto insindacabili in cassazione, posto che la questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi in termini di erronea valutazione del materiale istruttorio, a meno che le prove non siano state disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali o il giudice abbia disatteso il regime della prova legale, tutti elementi che si pongono al di fuori della materia del contendere. Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c. in tema di valutazione delle prove, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. (vedi cassazione, sez. 6 sentenza 27000-2016; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
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