La Corte d’Appello di Ancona ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva revocato il decreto ingiuntivo chiesto dalla BANCA’-QUALSIASI di CITTA’-QUALSIASI, condannando gli opponenti COGNOME Piero e COGNOME Giuseppe a pagare all’opposta in solido la minor somma di € 182.284,55, a fronte dell’importo azionato in via monitoria di € 252.254,55, di cui € 155.459,61 a titolo di saldo debitore del conto corrente bancario, € 26.999,28 a titolo di interessi passivi maturati sul saldo debitore a far tempo dall’estinzione del conto corrente e fino al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo ed € 69.795,66 a titolo di capitale ed interessi residui del mutuo chirografario.
La sentenza del Tribunale è stata appellata dagli opponenti, mentre la Banca ha semplicemente chiesto la sua conferma.
La Corte d’appello è partita dalla considerazione per cui il Tribunale di Ancona aveva accolto l’impianto di fondo della prima consulenza tecnica d’ufficio, riconoscendo sostanzialmente la nullità delle clausole originarie del contratto di conto corrente relative alla debenza degli interessi passivi, alla capitalizzazione anatocistica e alla debenza di spese non coperte da alcuna pattuizione.
Ha osservato il giudice d’appello che detti profili di nullità non erano stati attinti da appello incidentale da parte della Banca e pertanto la loro esistenza non era più discutibile.
Secondo il Tribunale i suddetti profili di nullità avevano comportato un indebito aumento del saldo debitore del conto corrente nella misura limitata di € 80.000,00, non considerando che il primo consulente tecnico d’ufficio aveva rettificato il saldo del conto corrente in € 258.539,23 a credito per la società correntista, includendo erroneamente l’importo di € 150.459,61 che non rappresentava affatto un accredito della correntista, bensì il saldo debitore come risultante dagli estratti conto.
In buona sostanza, il Tribunale ha preso come riferimento il saldo di € 155.459,61, detraendo € 80.000,00 di indebito ed ottenendo così un nuovo saldo debitore di € 75.459,61.
In realtà, ha osservato la Corte d’appello, in base alla consulenza tecnica, alla data del 22 marzo 2013 il saldo del conto corrente era positivo per la correntista ed ammontante ad € 103.635,67 (al netto dell’errato conteggio della somma di € 155.459,61). Aggiunge la Corte d’appello che l’assunto è stato confermato anche dal secondo consulente tecnico d’ufficio che ha indicato il saldo debitore del conto corrente prima della rettifica proprio in € 155.459,61.
La Corte d’appello ha poi calcolato gli interessi legali in sostituzione di quelli non dovuti dal 1981 al 2000, quantificandoli in € 36.077,13. A questo punto ha detratto gli interessi legali dovuti alla somma di € 103.635,67, pervenendo ad un saldo positivo di € 67.002,49, somma che è stata portata in compensazione con l’importo di € 69.795,66 a titolo di capitale ed interessi residui del mutuo chirografario, condannando gli opponenti al pagamento della differenza.
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Ricostruita in questi termini la vicenda, appare dirimente il fatto che i presupposti di diritto attraverso i quali si è pervenuti alla decisione non sono stati oggetto di impugnazione incidentale da parte della Banca. Difatti, come poc’anzi detto, i profili di nullità rilevati dal Tribunale non sono stati censurati dall’appellata.
Tutto ciò implica che il dispositivo emesso dalla Corte d’appello si fonda su un semplice calcolo basato sulla consulenza tecnica d’ufficio, in base alla quale alla data del 22 marzo 2013 il saldo del conto corrente era positivo per la correntista ed ammontante ad € 103.635,67 (al netto, come già detto, dell’errato conteggio della somma di € 155.459,61).
Alla luce di quanto sopra, pertanto, tenuto conto che le statuizioni del Tribunale non sono state impugnate con appello incidentale, non ravviso motivi di ricorso denunciabili in Cassazione, poiché l’accertamento di fatto si basa su una consulenza tecnica d’ufficio non censurata in appello dalla difesa della Banca.
Il giudizio di cassazione, infatti, è un giudizio di legittimità in cui non è possibile mettere in discussione “il fatto”. Nel caso di specie, “il fatto” è l’accertamento del saldo (positivo per il correntista) compiuto dal giudice di merito che ha determinato l’estinzione quasi totale per compensazione del credito della Banca.
Avv. Mirco Minardi
Considerando l’elevata remunerazione dei CTU, è sconcertante che possano commettere errori così grossolani, in particolare mi riferisco al primo consulente.
Anche la performance del CTP (o dell’avvocato) della banca sembra essere stata al di sotto delle aspettative.
Se avessero individuato l’errore e compreso la potenziale incidenza che la nullità accolta in primo grado avrebbe avuto sul saldo finale del conto, avrebbero dovuto, in via prudenziale, presentare appello incidentale.
L’unica eccezione sarebbe stata se i contratti fossero stati completamente carta straccia. In tal caso, sarebbero stati consapevoli sin dall’inizio di andare incontro all’impossibilità di ricorrere in Cassazione nel caso in cui la Corte d’Appello avesse rilevato l’errore di calcolo.