Si tratta di una delle domande più frequenti che mi vengono rivolte. Il dubbio nasce dal fatto che nell’ottica del ricorso per cassazione quello che si chiama “vizio di motivazione” è in realtà un vizio che colpisce non qualsivoglia parte della motivazione, bensì solo quella relativa alla questione di fatto.
In altre parole, nel sintagma “vizio di motivazione”, la parola “motivazione” viene utilizzata come sineddoche, in quanto si riferisce esclusivamente a quella parte in cui il giudice ha ricostruzione il fatto (come è avvenuto il sinistro, il nesso di causalità tra morte ed intervento chirurgico, l’esistenza di vizi e difetti, l’illecito disciplinare commesso dal dipendente, il danneggiamento della merce trasportata, ecc.).
Facciamo un esempio. Se il giudice fornisce una motivazione strampalata dell’art. 2054 c.c., affermando che la norma non si applica ai velocipedi ma solo ai mezzi a motore, l’errore è di tipo giuridico e dunque rientra nel n. 3) dell’art. 360 c.p.c. (trattandosi di errore interpretativo di norma di diritto e quindi di violazione di legge).
Del pari, se il giudice con motivazione assurda afferma che in appello sono possibili nuove domande e nuove eccezioni, il vizio sarà di tipo processuale e quindi riconducibile al n. 4) dell’art. 360 c.p.c. (trattandosi di error in procedendo).
Il vizio di motivazione si ha in questi casi:
a) la motivazione sulla questione di fatto è apparente, illogica, contraddittoria, perplessa, incomprensibile, apodittica (art. 360 n. 4) c.p.c. per violazione dell’art. 132 n. 4) c.p.c.;
b) la soluzione della questione di fatto non ha tenuto in considerazione un fatto decisivo (art. 360 n. 5) c.p.c.).

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