La Suprema Corte fa chiarezza sull’errore revocatorio

Mirco Minardi

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Da Cass. 7795/2018

– Va tenuta presente, in via preliminare (tra molte: Cass. ord. 30/07/2014, n. 17402; Cass. ord. 29/04/2016, n. 8472), la differenza tra giudizio di fatto e giudizio di diritto, sinteticamente precisando che: per fatto e giudizio di fatto deve intendersi tutto ciò che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o della falsità di dati empirici (fatti o atti) rilevanti per il diritto, fatta eccezione per le modalità di applicazione delle eventuali norme relative ad ammissibilità ed assunzione di prove, ovvero a prove legali; per diritto e giudizio di diritto si deve avere riguardo a tutto quanto attiene all’applicazione di norme e cioè: all’individuazione o scelta della norma applicabile al caso concreto; all’interpretazione di tale norma, sia con riguardo alla fattispecie astratta, sia con riguardo al comando; alla sussunzione dei fatti, come ricostruiti, entro la fattispecie astratta; all’individuazione o deduzione delle conseguenze da quella norma previste, con applicazione al caso di specie;

– su questa premessa, l’errore revocatorio consiste allora in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell’ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – meno che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici (Cass. Sez. U. 10/08/2000, n. 561; tra le altre, per tutte: Cass. 01/03/2005, n. 4295; Cass. 18/09/2008, n. 23856; Cass. Sez. U. 07/03/2016, n. 4413);

– pertanto, l’errore revocatorio non può articolarsi nella deduzione di un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, integrando tale inesatto apprezzamento, semmai, il detto vizio logico deducibile secondo il previgente testo dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass. ord. 11/02/2009, n. 3365; Cass. ord. 29/04/2016, n. 8472), quando relativo ad una sentenza ricorribile, ovvero, quando riferito ad una sentenza di legittimità, non altrimenti emendabile nel vigente sistema di impugnazioni;

– una valutazione implica di per sé sola una decisione e quindi una ponderazione o scelta tra più possibilità od alternative, tanto escludendo la configurabilità dell’errore revocatorio: l’errore di percezione deve invece riguardare un fatto, vale a dire un evento esterno al processo e che deve essere rappresentato e ricostruito all’interno di questo come elemento di una fattispecie da sussumere nel successivo giudizio di diritto; sicché l’errore che cade sugli atti e i documenti della causa non è rilevante in se stesso, ma solo nella misura in cui si risolve in un errore di percezione di un fatto;

– il contrasto tra verità e supposizione, rilevante ai fini dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, è allora quello tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice; e, per di più, deve trattarsi di un contrasto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l’una e l’altra, mai esaminato prima di quel momento dalle parti o dal giudice;

– ciò che rileva è quindi una radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, costituite l’una da quella risultante dalla sentenza del giudice e l’altra da quella che si ricava univocamente dagli atti e dai documenti di causa;

– pertanto, deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale o meramente percettivo, riferita a fatti incontestabilmente ed univocamente percepibili nella loro ontologica esistenza e quindi insuscettibili di diverso apprezzamento: e mai può allora rilevare, a detti fini, un errore che implichi un benché minimo margine di apprezzamento o valutazione o giudizio per la sussunzione del fatto;

– la rappresentazione del fatto (o del complesso di fatti) materiale è – in altri termini – qualificabile come univoca quando è evidente, quando cioè essa non implica giudizio, sia pure elementare, inteso ad eliminare potenziali o effettive divergenze, in opzione di scelte implicanti un minimo grado di discrezionalità valutativa; mentre la supposizione deve poter comportare l’apprezzamento di un nesso di causalità tra fatto presupposto e suo diretto accertamento da parte del giudice;

– inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicché non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. 15/12/2011, n. 27094).

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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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