Allorquando l’appello venga dichiarato inammissibile, il ricorso per cassazione deve rispettare la precisa regola di tecnica redazionale che impone di riportare il contenuto della sentenza di primo grado e dell’atto di appello, così da dimostrare di avere censurato con motivi specifici.
Nel caso deciso da Cass. 12438/2020, il ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), avendo parte ricorrente omesso di indicare specificamente i contenuti dell’atto processuale – nella specie l’appello proposto – su cui fondava la doglianza, mancando di riportarne qualsivoglia contenuto, impedendo così, in mancanza della descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione.

D’altra parte, non può soccorrere la qualificazione giuridica del vizio lamentato come error in procedendo in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, con la possibilità di accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito; difatti, le Sezioni unite della Cassazione hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, pur non dovendo limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, “è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. SS. UU. n. 8077 del 2012).
L’espressa salvezza da parte del Supremo Collegio della regola di cui dell’art. 366 c.p.c., n. 6, cui si riconnette un riscontro normativo dell’autosufficienza, preserva il canone anche in caso di errores in procedendo.
Pertanto, anche in tali casi si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 18 del 2015; Cass. n. 18037 del 2014, con la giurisprudenza ivi citata).
In particolare, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio del “fatto processuale”, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass., n. 19410 del 2015; cfr. Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 6225 del 2005).
Proprio nel caso di censure che riguardino la denunciata genericità dei motivi di appello la Corte ha ritenuto condizione di ammissibilità del ricorso la trascrizione per esteso del contenuto dell’atto di appello (Cass. n. 12664 del 2012) ovvero l’indicazione dell’impianto specifico dei motivi di appello formulati (Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 2143 del 2015), senza che sia sufficiente un mero rinvia all’atto di appello (cfr. Cass. n. 20405 del 2006; Cass. n. 23420 del 2011).
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