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Il nuovo servizio Sentenze Web sul sito della Cassazione consente di fare ricerche selezionando (tra i vari modi) il giudice estensore. Avendo infinita stima del consigliere Marco Rossetti molte delle mie letture si concentrano sui suoi provvedimenti.
Ovviamente non è l’unico, ma di lui leggo tutto. Sempre molto interessanti sono anche le decisioni del consigliere Frasca, del consigliere Lombardo, del consigliere De Stefano, senza ovviamente nulla togliere agli altri.
Tuttavia, quello che noto è che certi magistrati sono particolarmente “sensibili” verso certi requisiti di forma-contenuto del ricorso. Ad esempio, difficilmente troverete ordinanze/sentenze del consigliere Rossetti che censurano il modo in cui il ricorrente ha esposto il fatto. Al contrario, ne troverete tantissime del consigliere Frasca. Altri, invece, sono particolarmente sensibili al modo in cui vengono indicati i documenti e gli atti (Scarano).
Questo ci fa capire, in primo luogo, che l’esito del nostro ricorso dipende tantissimo dal consigliere che lo esaminerà. Qualcuno potrebbe obiettare che in fondo è il collegio che decide. La mia sensazione, però, è che quando c’è un vizio di forma-contenuto il collegio di regola presti “fede” alla proposta del relatore, senza particolare approfondimento.
In secondo luogo, possiamo apprendere un’altra lezione: il fatto che in alcune occasioni il nostro ricorso sia stato dichiarato ammissibile non significa che il modo in cui lo abbiamo impostato possa superare il vaglio di tutti i giudici. La circostanza che alcuni Consiglieri dichiarino spesso l’inammissibilità per un certo vizio mi induce a pensare che essi esigono un quid pluris rispetto ad altri.
Che fare dunque? Il segreto, se così si può dire, è quello di impostare il ricorso secondo il modello del giudice più rigoroso: se va bene a lui, dovrebbe andare bene a tutti. Ovviamente non è facile stabilire quanto deve essere rigoroso il ricorso, anche perché i consiglieri sono tanti.
Con riferimento al requisito dell’esposizione del fatto, riporto qui una recente pronuncia del Consigliere Frasca (2866/2018).
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[…]
Sotto un primo aspetto il ricorso si deve ritenere affetto da inammissibilità per inosservanza del requisito dell’esposizione del fatto, di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., in quanto ciò che si espone nella parte del ricorso che dovrebbe assolvere al rispetto di tale requisito è del tutto insufficiente a consentire la percezione del fatto sostanziale e processuale e, dunque, risulta inidoneo allo scopo.
Infatti, detta parte si scinde in tre sottoparti, la prima dedicata allo svolgimento del processo di primo grado e la seconda allo svolgimento del processo di appello, ma: a) nella prima ci si limita ad indicare: a1) il mero fatto della proposizione specificazione delle ragioni della richiesta e con la sola indicazione della somma; a2) il fatto della emissione del decreto e della successiva sua notificazione; a3) il fatto della proposizione dell’opposizione, senza alcuna indicazione delle ragioni di essa, e della presenza all’udienza del solo opponente e della deduzione della litispendenza con altro procedimento tra le medesime parti ed il medesimo oggetto; a4) il fatto della disposizione del “mutamento del rito” e del rinvio per la discussione in udienza ai sensi dell’art. 429 cod. proc. civ., con termine per deposito di note; a5) il fatto dell’accoglimento dell’opposizione al decreto, senza alcuna benché minima indicazione delle ragioni di esso giustificative; b) nella seconda si dà atto: b1) della proposizione dell’appello con unico motivo, da parte dei qui intimati, ma senza alcuna precisazione delle ragioni giustificative; b2) della costituzione del qui ricorrente con richiesta di conferma dell’operato del primo giudice, «in particolare per ciò che concerne l’applicazione del combinato disposto degli artt. 658 e 669 c.p.c. alla fattispecie; b3) del rinvio della prima udienza ad altra e, quindi ad altra ancora, con decisione della corte capitolina che accoglieva l’appello e rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo, anche qui senza alcuna precisazione delle ragioni della decisione.
Siffatta modalità di esposizione del fatto non è idonea allo scopo, atteso che il requisito della esposizione sommaria dei fatti – prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3, cod. proc. civ., e che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso – deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).
La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero Ric. 2014 n. 26536 sez. M3 – ud. 15-11-2017 -3- Corte di Cassazione – copia non ufficiale formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ. è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata. Il ricorso non rispetta tali contenuti, per come si evince dal riferito suo contenuto, ed è dunque inammissibile.
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