Facciamo chiarezza sul vizio di omessa pronuncia nel ricorso per cassazione

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Una delle difficoltà maggiori per il novello cassazionista è quella di capire la differenza che passa tra l’omessa pronuncia su una eccezione, la carente motivazione su una eccezione e la mancata considerazione di un fatto inerente ad una eccezione. Spiegherò la differenza facendo un esempio in tema di eccezione di interruzione della prescrizione.

Partiamo dal primo caso. Supponiamo che tanto il giudice di primo grado, quanto quello del gravame abbiano del tutto omesso di pronunciarsi sull’eccezione de qua. In questa ipotesi non v’è alcun dubbio: siamo in presenza di una omessa pronuncia denunciabile in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 360 n. 4) c.p.c.

Il secondo caso è questo. Il giudice ha preso in considerazione l’eccezione di interruzione della prescrizione, ma l’ha “liquidata” in questo modo: “Non è fondata la controeccezione di interruzione della prescrizione sollevata da parte attrice”, oppure “I documenti prodotti dalla parte attrice non sono idonei atti interruttivi della prescrizione”. In questa seconda ipotesi, il giudice del gravame non ha omesso di pronunciarsi sulla eccezione, ma si è pronunciato in maniera gravemente lacunosa ed insufficiente, tanto che la sua motivazione non raggiunge il c.d. “minimo costituzionale”. Non basta infatti affermare che una eccezione non è fondata, occorre anche illustrare le ragioni di fatto e di diritto, così come richiede l’art. 132 n. 4) c.p.c. Pertanto, in questo caso è violata proprio questa norma, sempre in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.

Terzo caso. Supponiamo che il giudice d’appello abbia scritto: “Non vi è prova dell’avvenuto ricevimento della raccomandata del 12/2/2015 entro il termine del 28/2/2015. Supponiamo che, invece, detta prova vi sia, in quanto parte attrice ha depositato l’avviso di ricevimento regolarmente firmato. In questo caso si potrà denunciare l’omesso esame decisivo. Per la verità, Cass. 29820/2020, in un caso molto simile, ha affermato che il non considerare le ricevute di spedizione integri tanto la violazione dell’art. 115 c.p.c., quanto la violazione dell’art. 360 n. 5) c.p.c.

In effetti, e a ben vedere, in un caso simile le norme violate potrebbero essere ben tre e cioè:

a) l’omessa motivazione sul motivo d’appello (sempre che nel motivo si sia fatto riferimento alla presenza dell’avviso di ricevimento) e quindi art. 132 n. 4) c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.;

b) violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere il giudice fondato la propria decisione sulle prove proposte dalle parti, in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.;

c) omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 n. 5) c.p.c.

Questa ambiguità non deve però spaventare l’avvocato cassazionista; basta semplicemente articolare il motivo sotto tutti gli aspetti, in via alternativa (e separata).

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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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