Pubblichiamo questa sentenza della S.C. (Cassazione civile , sez. III, 25 maggio 2007, n. 12231) che, assai laconicamente, ha affermato un principio tutt’altro che pacifico nella giurisprudenza, ovvero sia che per i giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore della L. 26 novembre 1990, n. 353, l’art. 167 cod. proc. civ., comma 1, imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, comporta che i suddetti fatti, qualora essi non siano contestati dal convenuto, debbono essere considerati incontroversi e non richiedenti, quindi, una specifica dimostrazione.
Cassazione civile , sez. III, 25 maggio 2007, n. 12231
Fatto
Il sindaco di Bovino con ordinanza del 3 agosto 1987 ingiungeva ad S.A., nella qualità di proprietario di un immobile sito in quel comune, di eseguire su di esso, a tutela della pubblica e privata incolumità, opere urgenti, che il destinatario del provvedimento non effettuava.
Il Comune, che aveva di conseguenza proceduto d’ufficio all’esecuzione dei lavori in danno, per il recupero della spesa sostenuta otteneva dal giudice di pace di Bovino decreto ingiuntivo di pagamento della somma di L. 2.048.230, notificato in data 15 luglio 1996 ad S.A., il quale, con citazione del 4 ottobre 1996, proponeva opposizione avverso l’ingiunzione.
Deduceva:
a) l’improponibilità della domanda sul presupposto che la pubblica amministrazione, per il recupero del preteso credito, avrebbe dovuto fare ricorso alla procedura esattoriale di riscossione;
b) la decadenza dell’ente pubblico territoriale dall’esercizio dell’azione ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43;
c) l’inesigibilità della somma per difetto del visto di esecutività del Prefetto relativamente alla deliberazione di giunta di liquidazione del compenso all’impresa che aveva eseguito i lavori;
d) la prescrizione del credito per il compimento del termine quinquennale ai sensi dell’art. 2947 cod. civ..
Nel contraddittorio delle parti il giudice di pace rigettava l’opposizione e, sull’impugnazione del soccombente, il tribunale di Foggia l’accoglieva, ritenendo l’improponibilità della domanda avanzata dal Comune con il ricorso per ingiunzione.
Questa Suprema Corte, con sentenza del 14 aprile 2001 n. 5540, cassava la sentenza di secondo grado con rinvio ad altra sezione del medesimo tribunale, in quanto per la riscossione delle entrate patrimoniali di spettanza degli enti locali (anche relative al recupero delle spese per l’esecuzione d’ufficio dei provvedimenti contingibili ed urgenti di sicurezza pubblica adottati dal sindaco) è possibile fare ricorso, alternativamente, alla speciale procedura prevista per la riscossione dei tributi e delle entrate dello Stato e degli altri enti pubblici (del D.P.R. n. 43 del 1988, artt. 61 e 69) ed al procedimento monitorio ordinario o al procedimento di cognizione ex art. 163 c.p.c. e segg..
Il giudice del rinvio, con sentenza pubblicata il 1 aprile 2003, rigettava l’appello di S.A., che condannava alle spese del grado comprese quelle del giudizio di cassazione.
Il tribunale considerava che:
1. il visto di esecutorietà da parte del Prefetto o dell’Intendente di Finanza non era necessario, giacchè la norma di cui al R.D. n. 148 del 1915, art. 153, risultava abrogata alla data del ricorso per ingiunzione;
2. legittimamente il Comune aveva adito l’autorità giudiziaria ordinaria per il recupero del suo credito;
3. il credito derivante dall’esercizio del potere di autotutela della P.A., quale quello relativo alla spesa per l’esecuzione d’ufficio in danno del privato del provvedimento contingibile ed urgente, cui il destinatario non abbia dato seguito, è soggetto al termine di prescrizione decennale, che, nella specie, non era scaduto;
4. l’opponente solo in sede d’impugnazione della sentenza di primo grado aveva contestato il quantum dell’avversa pretesa siccome unilateralmente determinata dal Comune, per cui la contestazione sul punto era da ritenere tardiva e, quindi, inammissibile.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S. A., il quale ha affidato l’accoglimento dell’impugnazione a due motivi.
L’intimato comune di Bovino non ha svolto difese.
Diritto
Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui al R.D. n. 153 del 1915, art. 153, art. 2053 c.c. e art. 2947 c.c., commi 1 e 3 nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – il ricorrente critica l’impugnata sentenza nella parte in cui il giudice di merito ha ritenuto applicabile al credito del Comune il termine di prescrizione decennale.
Assume che la mancata effettuazione delle opere, ordinate al proprietario dell’edificio al fine di evitare il pericolo derivante dalla rovina dell’edificio, concreta, a carico del privato destinatario del provvedimento impositivo dell’autorità, un fatto illecito costituente reato, dal quale deriva l’obbligazione di risarcimento del danno, la cui misura corrisponde all’importo della spesa occorsa per l’esecuzione in danno, cui la P.A. abbia dovuto provvedere.
Sostiene, di conseguenza, che, trattandosi di ob-bligazione di natura extracontrattuale, il credito del Comune sarebbe assoggettato al termine di prescrizione di cinque anni.
Il motivo non può essere accolto.
I provvedimenti contingibili ed urgenti che – in base sia al R.D. 4 febbraio 1915, n. 148, art. 153, T.U. (norma applicabile all’epoca in cui il sindaco di Bovino in data 3 agosto 1987 ha ordinato al ricorrente l’esecuzione delle opere all’edificio di sua proprietà per evitare il pericolo alla pubblica e privata incolumità che dalla sua rovina poteva derivarne) che in virtù della successiva disciplina di cui alla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 38 – il sindaco ha il potere di adottare, nella sua qualità di ufficiale di governo in materia di edilizia, polizia locale ed igiene per fare fronte ad imprevedibili ed eccezionali situazioni di minaccia all’interesse generale, determinano il sorgere, a favore della Pubblica Amministrazione ed a carico del privato, cui il provvedimento è rivolto, rispettivamente, di un diritto soggettivo ed una obbligazione, aventi ad oggetto una prestazione fungibile di fare o di non fare.
L’obbligazione del destinatario del provvedimento (che, nell’ambito del catalogo degli atti amministrativi, assume la qualificazione di vero e proprio ordine) rientra nel novero delle obbligazioni pubbliche dei privati nascenti da atto amministrativo, quelle, cioè, che trovano fondamento esclusivo e ragione nell’esplicazione del potere autoritativo che la Pubblica Amministrazione ha di incidere nella sfera giuridica del privato.
In caso di inadempimento da parte dell’obbligato è previsto che la Pubblica Amministrazione nell’esplicazione tipica dell’autotutela esecutiva che l’ordinamento ad essa riconosce di realizzare con propri mezzi, strumenti e personale l’obbligazione inadempiuta dal privato – possa procedere alla esecuzione diretta della imposta prestazione di facere fungibile mediante la procedura della esecuzione in danno, affidando il relativo incarico anche a soggetto ad essa estraneo perchè si realizzi, in tal modo, la finalità di interesse pubblico, di cui già il provvedimento a carico del privato rappresentava atto di gestione.
A carico del privato, nei cui confronti l’esercizio dell’autotutela della Pubblica Amministrazione ha intanto comportato l’estinzione dell’obbligo impostogli dal provvedimento contingibile ed urgente, sorge allora la corrispondente diversa obbligazione di rimborsare all’Amministrazione le spese da essa sostenute, il cui fatto genetico trova i suoi elementi costitutivi nel concorso dei diversi elementi della esecutività del provvedimento impositivo della prestazione, dell’inerzia dell’obbligato e dell’avvenuto esercizio del potere sostitutivo dell’Amministrazione, secondo una fattispecie complessa, che prescinde dalla previsione di eventuali e concorrenti illeciti di natura amministrativo o penale, che sanzionano il solo comportamento di inadempimento del privato all’ordine dell’autorità.
Il che, del resto, è stato confermato anche in tema di esegesi della norma di cui all’art. 677 c.p. dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Pen., sez. 1^, 19-1-2000, ric. Menegaz e altri), che ha affermato che l’onere finanziario sopportato dal Comune per sopperire alla mancata realizzazione dei lavori ordinati ai proprietari di un edificio, malgrado la relativa diffida, è riferibile solo indirettamente al commesso reato, essendo esso, invece, diretta conseguenza dell’espletamento della procedura prevista dalla legge n. 142 del 1990 e dell’intervento sostitutivo eseguito dal Comune medesimo in forza dell’art. 38, comma 3, della Legge cit..
Il diritto dell’Amministrazione al rimborso della spesa, che ha ad oggetto una prestazione di natura patrimoniale, essendo regolato dalle comuni norme sui diritti di credito, è soggetto, pertanto, in mancanza di disposizioni specifiche, alla prescrizione ordinaria decennale, che inizia a decorrere dal momento in cui esso può essere fatto valere, coincidente con quello dell’avvenuta esecuzione in danno del privato.
Con il secondo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – il ricorrente lamenta che, pur avendo egli contestato la entità del pretesa credito siccome unilateralmente determinata dal Comune, sulla questione il giudice di secondo grado non si era pronunciato nel merito, nonostante la ritualità della sua eccezione.
Il motivo non può essere accolto.
Per i giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore della L. 26 novembre 1990, n. 353 (qual è quello in oggetto, introdotto dopo il 30 aprile 1995) l’art. 167 cod. proc. civ., comma 1 imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, comporta che i suddetti fatti, qualora essi non siano contestati dal convenuto, debbono essere considerati incontroversi e non richiedenti, quindi, una specifica dimostrazione.
Costituisce, inoltre, principio pacifico che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perchè è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto, cui compete, perciò, di prendere posizione con l’atto di opposizione sui fatti allegati dall’attore e di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, con la conseguenza che, nella mancata contestazione dei fatti costitutivi, dalla relativa prova l’attore deve intendersi esentato.
Nel caso di specie, sul quanum della pretesa del Comune il giudice di merito ha espressamente considerato che la contestazione di S.A., formulata a verbale di udienza 14.3.1997, aveva riguardato soltanto la liquidità e l’inesigibilità del credito e che solo nella comparsa conclusionale era stato dedotto che, al fine di determinare l’entità della spesa sostenuta dall’ente territoriale, non poteva essere ritenuta prova sufficiente quella rinvenibile dalla prodotta fattura.
In tale situazione la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, poichè la mancata contestazione in primo grado del quantum dell’avversa pretesa da parte dell’opponente ad ingiunzione impediva che la questione potesse essere proposta con il gravame, per cui, trattandosi di questione preclusa, su di essa il giudice di secondo grado non era tenuto a pronunciarsi.
Il ricorso, pertanto, è rigettato senza altra pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, nel quale la parte intimata non ha svolto difese.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2007
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