RAFFAELE PLENTEDA. Responsabilità dell’avvocato: il mancato appello non è un danno in re ipsa

Mirco Minardi

(Nota a Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza n. 12354 del 27/05/2009, consultabile sul sito www.plentedamaggiulli.it )

La Corte di Cassazione interviene ancora una volta in materia di responsabilità dell’avvocato, rigettando il ricorso proposto dai clienti, i quali lamentavano di aver subito danni in conseguenza dell’inadempimento del proprio avvocato, consistito nel non aver comunicato tempestivamente loro la sentenza di primo grado che li aveva visti soccombenti, impedendo così ogni possibilità di proporre appello.

La questione affronta dai Giudici di Piazza Cavour orbita, anche in questa occasione, intorno alla tematica della causalità, ponendo però l’accento su un profilo che, con specifico riferimento alla responsabilità del professionista legale, non è stato ancora oggetto di una riflessione giurisprudenziale sufficientemente approfondita.

In teoria generale, secondo l’impostazione preferibile, l’obbligazione risarcitoria conseguente all’inadempimento deve essere ricostruita, sotto il profilo eziologico, in due fasi (c.d. doppia causalità). La prima fase è caratterizzata dalla verifica della sussistenza del nesso causale tra il comportamento inadempiente del debitore ed un determinato evento dannoso; la seconda fase, successiva, è contraddistinta dalla verifica circa la sussistenza di danni, che siano conseguenza immediata e diretta del predetto evento dannoso.

Per ciò che concerne la prima fase, l’orientamento prevalente riconosce una sorta di automatismo nella verifica del nesso di causalità tra la condotta inadempiente del debitore e l’evento dannoso, che viene identificato de plano nel mancato raggiungimento del risultato finale, idoneo a realizzare l’interesse del creditore.

In tema di responsabilità dell’avvocato, già questa prima fase dell’indagine causale appare più difficoltosa, in considerazione della natura c.d. “di mezzi” dell’obbligazione che fa capo al professionista: il mancato raggiungimento del risultato finale, in questo caso, può dipendere da una molteplicità di fattori e non necessariamente dall’inesatta prestazione del debitore, sicché occorre procedere ad un’indagine specifica e concreta, e non automatica, della sussistenza del collegamento eziologico tra inadempimento ed evento dannoso.

Al positivo esito di questa prima fase dell’indagine, come anticipato, segue la seconda. Dopo aver accertato, cioè, che la causa di un determinato evento dannoso è costituita dall’inadempimento del debitore, occorre verificare quali conseguenze pregiudizievoli debbano, a loro volta, ricondursi causalmente all’evento di danno stesso, così da individuare e selezione i danni-conseguenza riferibili alla responsabilità del debitore che, proprio in quanto tali, sono destinati a formare oggetto dell’obbligazione risarcitoria da porre a carico di quest’ultimo.

Nel caso in esame, i clienti hanno individuato l’inadempimento dell’avvocato nella omessa comunicazione della sentenza di primo grado ed hanno dedotto che tale inadempimento sia stato la causa della mancata proposizione dell’appello, ma hanno trascurato di fornire la prova dell’esistenza del nesso causale tra la mancata proposizione dell’appello ed i danni di cui hanno chiesto il risarcimento.

In particolare, l’indagine circa la sussistenza del nesso di causalità risulta mortificata con riferimento tanto alla prima, quanto alla seconda fase della c.d. “doppia causalità”.

Con riferimento alla prima fase, è stato già sottolineato che la particolare fisionomia dell’obbligazione facente capo all’avvocato impone la verifica specifica della sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento e l’evento di danno, costituito dal mancato raggiungimento del risultato voluto dal debitore. La proposizione dell’appello è un risultato “intermedio” rispetto al risultato “finale” costituito dalla vittoria della lite, sicché la sua mancata proposizione si risolve in un evento di danno “intermedio”, di per sé improduttivo di veri e propri danni risarcibili.

A tal fine, infatti, è necessario che risulti positivamente accertato che la proposizione dell’appello avrebbe condotto ad un esito della lite più favorevole rispetto a quanto statuito nella sentenza di primo grado.

I clienti, nella fattispecie, hanno trascurato di completare questa prima fase dell’indagine, non avendo dedotto alcunché in merito al probabile esito che l’eventuale appello avrebbe avuto.
La mancata proposizione dell’appello causata dalla mancata comunicazione della sentenza negativa di primo grado, non è sufficiente a fondare la responsabilità dell’avvocato, se non risulta accertato che l’appello, qualora fosse stato proposto, avrebbe avuto esito positivo con certezza o, quanto meno, con probabilità.
Incombe al cliente fornire la prova del diverso esito che avrebbe avuto il giudizio se l’avvocato avesse svolto correttamente la propria attività.

Anche nell’ipotesi in cui la richiesta di risarcimento abbia ad oggetto la perdita di chance di vittoria della lite, la distribuzione dell’onere della prova non muta, atteso che, in questo caso, l’accoglimento della domanda di risarcimento passa attraverso la dimostrazione dell’esistenza di serie ed apprezzabili chances di vittoria, nonché dalla circostanza che tali chances siano state frustrate dal comportamento inadempiente dell’avvocato.
In ogni caso, l’accertata mancata proposizione dell’appello per colpa dell’avvocato non è di per sé fonte di alcun danno risarcibile e, pertanto, non può da sola fondare la responsabilità del professionista.

Con riferimento alla seconda fase della c.d. “doppia causalità”, infine, si segnala l’interessante operazione logica compiuta, ancorché in modo incompleto, dai clienti. Questi, infatti, hanno assunto la mancata proposizione dell’appello come uno specifico evento di danno, distinto ed autonomo rispetto alla perdita della lite e suscettibile di produrre autonome poste di danno (legate alla possibilità di addivenire ad un accordo transattivo con la controparte nelle more dell’appello ovvero di procedere al pagamento spontaneo con risparmio su spese ed interessi).

Una simile impostazione convince e merita l’attenzione dell’interprete.
Anche in questo caso, tuttavia, l’accoglimento della domanda passa necessariamente attraverso l’accertamento del nesso di causalità tra l’evento di danno e le conseguenze dannose di cui si chiede il risarcimento.
Nel caso di specie, è mancata proprio la prova, che non può essere data solo in astratto, che la proposizione dell’appello avrebbe effettivamente condotto ad una transazione più vantaggiosa o ad un risparmio di spese.
Circostanze alle quali i clienti si sono semplicemente limitati a fare riferimento.

Nota dell’Avv. Raffaele Plenteda
raffaele@plentedamaggiulli.it


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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