Un avvocato, ricevuto l’incarico, oppone in ritardo un decreto ingiuntivo. L’esito del giudizio di opposizione è scontato: rigetto della stessa e conferma del decreto.
Il cliente agisce allora contro l’avvocato stesso, per responsabilità professionale.
Quesito: a quali condizioni l’avvocato è tenuto a risarcire il cliente? In altre parole: al cliente spetta il risarcimento automaticamente, oppure deve dimostrare che attraverso il giudizio avrebbe dimostrato l’inesistenza e/o l’inesibilità (totale o parziale) del credito azionato in via monitoria?
A questa domanda risponde il Tribunale di Roma, affermando che:
- perché possa affermarsi l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’inadempimento ascritto all’avvocato ed il danno patito dal cliente è necessario accertare che, se l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, l’esito della lite sarebbe stato diverso da quello effettivamente avveratosi (Cass., sez. III, 14-09-2000, n. 12158, in Danno e resp., 2001, 519; Cass., sez. III, 06-05-1996, n. 4196, in Foro it., 1996, I, 2384; Cass., sez. III, 28-04-1994, n. 4044, in Resp. civ., 1994, 635; per la giurisprudenza di questo tribunale, da ultimo e nello stesso senso, Trib. Roma 22.10.2005, D’Urbano c. Scuro, inedita; Trib. Roma 26.7.2002, in Giurispr. romana, 2002, 425).
- Tale nesso tuttavia, avendo ad oggetto un evento irripetibile, deve essere accertato non già in termini di assoluta ed inequivoca certezza, ma anche solo di ragionevole probabilità di successo (ex multis, Cass., sez. III, 09-06-2004, n. 10966; Cass., sez. II, 19-11-2004, n. 21894).
Poichè nel secondo giudizio, l’attore (ex opponente) non aveva dimostrato che l’opposizione sarebbe stata accolta, avendo prodotto solo documentazione unilaterale ed avendo chiesto solo l’interrogatorio formale del legale, il Tribunale ha rigettato la domanda.
In altre parole, l’attore avrebbe dovuto provare incidentalmente attraverso documenti, prove testimoniali di essere effettivamente creditore della società ricorrente (ex opposta), ovvero che il credito era già stato estinto.
Tribunale Roma, 15 marzo 2007, sez. XIII
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome Del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI ROMA
– Sez. XIII Civile –
in persona del giudice unico, dott. Marco Rossetti, ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n° 69240/04 del
R.G.A.C., trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006,
vertente
tra
– T. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, l.M. 9, presso l’Avv. Patrizia
M. Z. che la rappresenta e difende per procura apposta in
margine all’atto di citazione;
– attrice -;
e
-) A.S., elettivamente domiciliato in Roma, v. A. 145, presso l’Avv.
Rosanna M. che lo rappresenta e difende per procura in calce alla
comparsa di risposta;
– convenuto -;
nonché
-) Assicurazioni G. s.p.a. , in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, v. G.
F. 35, presso l’Avv. Marco V. che lo rappresenta e difende per
procura apposta in calce alla copia notificata dell’atto di
citazione;
– chiamata in causa -;
OGGETTO: risarcimento danni;
CONCLUSIONI DELLE PARTI: all’udienza del 27.11.2006 le parti
concludevano come da verbale in pari data;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione regolarmente notificato, la T. s.r.l. conveniva dinanzi a questo Tribunale A.S..
L’attrice esponeva che:
– le era stato notificato un decreto ingiuntivo dalla società Platino s.r.l., con la quale intratteneva rapporti commerciali;
– le somme pretese dalla Platino s.r.l. in sede monitoria tuttavia non erano dovute, in quanto compensate da controcrediti della T. s.r.l.;
– aveva perciò conferito all’avv. A.S. mandato a proporre opposizione avverso il suddetto decreto ingiuntivo;
– l’avvocato A.S. aveva tuttavia tardivamente proposto l’opposizione, causando così l’inoppugnabilità del decreto opposto.
Concludeva pertanto chiedendo la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti.
Il convenuto si costituiva regolarmente, chiedendo il rigetto della pretesa. In subordine, chiedeva di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la G. s.p.a., che provvedeva contestualmente a chiamare in causa.
La G. s.p.a. si costituiva regolarmente, negando qualsiasi responsabilità del proprio assicurato.
Nel corso dell’istruzione venivano acquisiti documenti.
Esaurita l’istruzione e precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Ai fini dell’accoglimento della domanda attorea occorre stabilire:
(a) se vi sia stata colpa dell’avv. A.S. nell’adempimento della propria prestazione professionale;
(b) in caso affermativo, se da tale condotta colposa sia derivato all’attrice, con nesso di causalità giuridicamente apprezzabile, un danno risarcibile.
2. La colpa.
Nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, qual è il presente, è onere dell’attore dimostrare unicamente l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001, fasc. 42, 26, la quale ha in tal senso composto il precedente contrasto di giurisprudenza).
Nel caso di specie, l’attrice ascrive al convenuto di avere causato la sua soccombenza nel giudizio che la vide contrapposta alla Platino s.r.l., a causa della tardiva proposizione della opposizione a decreto ingiuntivo.
Con riferimento a tale domanda il convenuto non solo non ha superato la presunzione di colpa di cui all’art. 1218 c.c., ma anzi il fatto oggettivo della tardività della notifica dell’atto di opposizione emerge inconfutabile dalla sentenza pronunciata dal Tribunale di Como, all.ta sub 3 al fasc. attoreo.
Una volta accertata la tardività dell’opposizione, la colpa del convenuto è da ritenere in re ipsa.
3. Il nesso causale.
Ritenuta dunque sussistente la colpa professionale dell’avv. A.S., occorre stabilire se vi sia nesso causale tra la condotta di quest’ultima e il danno lamentato dall’attrice.
Secondo il giudice di legittimità, perché possa affermarsi l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’inadempimento ascritto all’avvocato ed il danno patito dal cliente è necessario accertare che, se l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, l’esito della lite sarebbe stato diverso da quello effettivamente avveratosi (Cass., sez. III, 14-09-2000, n. 12158, in Danno e resp., 2001, 519; Cass., sez. III, 06-05-1996, n. 4196, in Foro it., 1996, I, 2384; Cass., sez. III, 28-04-1994, n. 4044, in Resp. civ., 1994, 635; per la giurisprudenza di questo tribunale, da ultimo e nello stesso senso, Trib. Roma 22.10.2005, D’Urbano c. Scuro, inedita; Trib. Roma 26.7.2002, in Giurispr. romana, 2002, 425).
Tale nesso tuttavia, avendo ad oggetto un evento irripetibile, deve essere accertato non già in termini di assoluta ed inequivoca certezza, ma anche solo di ragionevole probabilità di successo (ex multis, Cass., sez. III, 09-06-2004, n. 10966; Cass., sez. II, 19-11-2004, n. 21894).
3.1. Ciò premesso in iure, occorre dunque stabilire se, qualora il convenuto avesse tenuto la condotta invocata dall’attrice, l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da quest’ultima sarebbe stata accolta, in tutto od in parte, con “ragionevole probabilità”.
A tale quesito va data risposta negativa.
La società attrice infatti, sulla quale incombeva il relativo onere, non solo non ha provato, ma non ha nemmeno chiesto di provare:
(a) la effettiva sussistenza di un proprio controcredito nei confronti della Platino s.r.l.;
(b) la effettiva insussistenza di parte dei crediti azionati in via monitoria dalla Platino s.r.l.
Detto altrimenti, l’attrice avrebbe dovuto allegare in questa sede le medesime prove che, dinanzi al giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo, intendeva fornire per dimostrare la fondatezza dell’opposizione. La società T. si è invece limitata a:
– domandare l’interrogatorio formale del convenuto su circostanze che, quand’anche confessate, non consentirebbero di stabilire con esattezza né quale fosse il credito vantato dalla T. stessa nei confronti della Platino s.r.l., né attraverso quali mezzi di prova tale controcredito sarebbe stato dimostrato dinanzi al giudice dell’opposizione;
– depositare una serie di documenti che, provenendo tutti dalla stessa società attrice, non solo non fanno prova nei confronti del convenuto, ma soprattutto nulla consentono di stabilire in merito all’entità del credito vantato dalla T. s.r.l. nei confronti della Platino s.r.l..
3.2. Nemmeno parte attrice potrebbe invocare l’esercizio, da parte di questo Tribunale, dei poteri d’ufficio di cui all’art. 61 c.p.c..
Infatti il materiale sul quale un consulente d’ufficio può fondare le proprie osservazioni deve essere il medesimo sul quale il giudice fonderà poi la sua decisione. Sarebbe infatti inconcepibile che una prova, inutilizzabile dal giudice, potesse essere utilizzata dal c.t.u., per raggiungere conclusioni che possano rifluire nella motivazione della sentenza.
Pertanto, in materia di prova documentale, quel che è inutilizzabile per il giudice, è del pari inutilizzabile per il c.t.u..
Ciò in quanto:
(a) l’art. 87 disp. att. c.p.c. non prevede la possibilità di depositare documenti durante lo svolgimento delle indagini peritali;
(b) l’art. 194 c.p.c. consente al c.t.u., ove autorizzato dal giudice, di richiedere alle parti chiarimenti, non di racco-gliere da esse prove documentali;
(c) nel “nuovo” rito civile, è previsto un rigido sbarramento per le deduzioni istruttorie, superato il quale non è più possibile alcuna produzione documentale (art. 184 c.p.c.). E poiché i termini per la produzione dei mezzi di prova, previsti dal citato art. 184 c.p.c., sono espressamente qualificati perentori dal comma 2 dell’art. 184 c.p.c., ne discende che:
(c’) la violazione di essi è rilevabile d’ufficio;
(c”) la violazione di essi non può essere sanata dall’acquiescenza delle parti.
Pertanto, nel nuovo rito civile, una volta maturata la preclusione di cui all’art. 184 c.p.c., qualsiasi produzione documentale (ivi comprese quella destinata al c.t.u.) è irrituale, e l’irritualità va rilevata d’ufficio: diversamente, e cioè ammettendo la possibilità per le parti di fornire al c.t.u. documenti che si sarebbe dovuto produrre nel termine ex art. 184 c.p.c., si perverrebbe di fatto ad un aggiramento, peggio, ad una interpretatio abrogans di tale ultima norma (così Trib. Roma 28 ottobre 2002, Maggi c. Vendetti, inedita; Trib. Roma 13 ottobre 2002, Esposito c. Baldanza, inedita).
Da ciò consegue che nel presente giudizio, essendo di per sé la prova documentale carente, sarebbe superfluo disporre una consulenza d’ufficio, in quanto l’ausiliario non disporrebbe di elementi ulteriori e diversi rispetto a quelli già esaminati e ritenuti, come si è detto, del tutto insufficienti.
La domanda come formulata va pertanto rigettata.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Nei rapporti tra il convenuto e la G. s.p.a. si ritengono sussistere giusti motivi ex art. 92 c.p.c. per compensare interamente tra le parti le spese della presente procedura, in considerazione del fatto che, se la domanda attorea fosse stata accolta, la G. s.p.a. non avrebbe potuto sottrarsi alla propria obbligazione indennitaria.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
-) rigetta la domanda come proposta da T. s.r.l. nei confronti di A.S.;
-) condanna T. s.r.l. alla rifusione in favore di A.S. delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 100 per spese; euro 1.500 per diritti di procuratore; euro 2.000 per onorari di avvocato, per complessivi euro 3600, oltre spese G. ex art. 14 d.m. 8.4.2004 n. 127, I.V.A. e C.N.A..;
-) dichiara assorbita la domanda come proposta da A.S. nei confronti di Assicurazioni G. s.p.a.;
-) dichiara le spese del presente giudizio interamente compensate tra A.S. e Assicurazioni G. s.p.a..
Così deciso in Roma, nella tredicesima sezione civile del Tribunale, addì 15.3.2007.
Il Giudice est.
(dott. Marco Rossetti)
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