Nei contratti a prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia l’esecuzione non può rifiutarsi se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.
Questo è quanto dispone l’art. 1460 c.c. Analizziamo alcuni aspetti processuali.
- L’eccezione di inadempimento è una eccezione in senso stretto ed in senso proprio, ciò significa che il convenuto deve sollevarla non oltre la comparsa di costituzione tempestivamente depositata e il giudice non la può rilevare d’ufficio (Cass. 10764/1999). L’attore ha l’onere di sollevarla entro la prima udienza di trattazione.
- Essa non richiede formule sacramentali essendo sufficiente che sia desumibile in modo non equivoco dall’insieme delle difese e in più in generale dalla condotta processuale della parte (Cass. 10764/1999).
- Sollevata l’eccezione di inadempimento, spetta all’altra parte l’onere della prova di avere esattamente adempiuto, salvo che si tratti di una obbligazione negativa: in tal caso è l’eccipiente che deve provare la violazione dell’obbligo dell’altra parte (Cass. S.U. 13533/2001).
- L’eccezione di inadempimento non necessità di una previa costituzione in mora e può essere sollevata per la prima volta anche in giudizio (Cass. 2059/1980).
- Proposta dal convenuto eccezione di inadempimento, costituisce domanda nuova la successiva proposizione di una domanda di risoluzione (Cass. 3548/1984)
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caro Mirco ti chiedo se hai riferimenti giurisprudenziali in merito alla incompatibilità funzionale di un domanda di declaratoria di nullità di una scrittura privata per firma apocrifa e contestuale domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.
@Avv. Pugliese: la questione che poni è molto interessante. Mi fa ricordare un esempio della dottrina tedesca in tema di allegazione di fatti incompatibili. Chiesta la restituzione di una padella, il convenuto si costituisce dicendo: primo, non me l’hai mai data; secondo te l’ho restituita; terzo è perita. In questo caso si dice: il contratto non è stato sottoscritto da me e comunque tu non l’hai rispettato. Anche se la scrittura non è elemento di validità del contratto, direi che la domanda di risoluzione è incompatibile. Se la forma scritta è richiesta ai fini della prova, la richiesta di risoluzione rappresenta una domanda incompatibile con la volontà di negarne l’esistenza. Se il contratto non richiede la forma scritta, nè ai fini della sostanza, nè ai fini della prova, la contestazione dell’autenticità della firma mira semplicemente a caducare le clausole contrattuali sottoscritte con l’effetto che la domanda di risoluzione va formulata in aggiunta e non in via subordinata. Così, su due piedi.
Caro Mirco la vicenda nasce da una produzione in giudizio di una scrittura privata prodotta dal ricorrente in ricorso e contestualmente non riconosciuta la firma del suo dante causa (coniuge deceduto) perché secondo il ricorrente apocrifa. Quindi chiede in via principale la risoluzione del contratto per inadempimento – per stravolgimento della colture dl fondo in affitto- e in subordine chiede la declaratorio di nullità della scrittura privata Il giudice di prime cure rigetta la domanda principale perché il ricorrente non ha provato l’inadempimento e rigetta altresì la domanda subordinata di declaratorio di nullità del rapporto contrattuale (scrittura privata) perché incompatibile con la domanda principale e perché essendo essendo stato il documento prodotto in giudizio dal ricorrente lo stesso è da ritenersi riconosciuto.
Avverso tale sentenza è stato prodotto appello ed è stato sostenuto che nessuna importanza è da attribuire alla gradazione delle domande (principale e subordinata) in quanto tale facoltà è nel diritto della parte richiedente.
In merito alla declaratoria di nullità della scrittura prodotta (si sottolinea da parte del ricorrente) parte appellante sostiene che essendo stata la scrittura prodotta non riconosciuta per apocrifia della firma, era compito del resistente chiederne la verificazione. Lo scrivente ha motivo di ritenere che il ricorrente essendo la parte processuale che ha prodotto il documento, lo stesso è da considerarsi valido ed efficace e conseguentemente nessuna istanza di verificazione incombeva alla parte resistente. Gradirei sapere il tuo parere in merito ed eventuali riferimenti giurisprudenziali. Approfitto della tua gentilezza e disponibilità e Ti chiedo sollecito riscontro dovendomi costituire in giudizio a breve. Cordiali Saluti Avv. Gennaro PUGLIESE