Il ricorso per cassazione avverso una sentenza di secondo grado, viene presentato dal socio amministratore di una società di persone cancellata dal registro delle imprese.
La Corte, cambiando orientamento, lo dichiara inammissibile con questa motivazione:
- Costituiva ius receptum sulla base della giurisprudenza di legittimità che l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese aveva funzione di pubblicità, e non ne determinava l’estinzione, ove non fossero ancora esauriti tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società stessa e che, conseguentemente, fino a tale momento, permaneva la legittimazione processuale in capo alla società e doveva escludersi, anche con riferimento alle successive fasi di impugnazione, che, intervenuta la cancellazione, il processo già iniziato dovesse proseguire nei confronti o su iniziativa delle persone fisiche che la rappresentavano in giudizio o dei soci, (cfr.: Cass. civ., sez. 3^, sent. 15 gennaio 2007, n. 646, Cass. civ., sez. 5^, sent. 26 aprile 2001, n. 6078; Cass. civ., sez. 2^, sent. 2 aprile 1999, n. 3221).
- La correttezza dell’interpretazione che giustificava il diritto vivente è stata, tuttavia, messa in discussione e negata dalla modifica apportata all’art. 2495 c.c., dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, (Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione dellaL. 3 ottobre 2001, n. 366), che, seppure non facendo riferimento alle società di persone, dopo avere imposto la richiesta della cancellazione della società dal registro delle imprese dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, al comma 2, (“fermo restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione…”) ravvisa la vigenza nell’ordinamento del diverso generale principio che la cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società.
- La natura meramente ricognitiva dell’inciso contenuto nella norma esclude che la necessità di immediato adeguamento dell’interpretazione delle norme a tale principio trovi ostacolo nell’entrata in vigore della modifica normativa in data 1 gennaio 2004, atteso che la funzione esegetica ad essa attribuibile ne impone un’applicazione retroattiva ed in relazione ad ogni forma societaria, con la sola esclusione dei rapporti giuridici già esauriti e degli effetti già in precedenza irreversibilmente verificatisi.
- Ne consegue che, dovendo ritenersi estinta la società ricorrente l’8 gennaio 2003 con la sua cancellazione dal registro delle imprese, il ricorso per cassazione notificato il 21 aprile 2004 avverso la sentenza depositata il 12 febbraio 2004 avrebbe dovuto essere proposto dai soci della F. e non dal suo cessato amministratore e legale rappresentante, non essendo la società estinta più legittimata al giudizio e non avendo l’amministratore alcuna ulteriore capacità di rappresentarla (cfr.: Cass. sez. L., sent. 18 settembre 2007, n. 19347; Cass. civ., sez. 1^, sent. 28 agosto 2006, n. 18618).
Cassazione civile sez. II, 15 ottobre 2008, n. 25192
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 13 dicembre 1993, la Alfa Italiana di Assicurazioni S.p.A. propose opposizione davanti al Tribunale di Roma avverso il decreto n. 22697, con il quale il Presidente del medesimo Tribunale aveva ingiunto alla società il pagamento di L. 467.183.334 in favore della F. di Franco di Giulio s.n.c. (rectius: F. Frascati di Di Giulio Franco & C. s.n.c.) per indennità relative alla risoluzione del mandato di agenzia a quest’ultima conferito dall’opponente.
Dedusse la Alfa Italiana di Assicurazioni (in seguito: Alfa Italiana) che il credito dell’agente ammontava a L. 408.565.172, in quanto il rapporto era stato risolto per giusta causa, e, opposto in compensazione un proprio credito di L. 1.098.750.078, chiese in via riconvenzionale la condanna della società opposta (in seguito: F.) al pagamento in suo favore della somma di L. 690.184.906 risultante dalla parziale compensazione dei reciproci crediti.
Resistette la F. e, dopo la riassunzione del giudizio seguita alla interruzione per la messa in liquidazione coatta della Alfa Italiana, il Tribunale con sentenza n. 29231/2001 revocò il decreto ingiuntivo e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condannò la F. a corrispondere all’opponente la differenza tra il credito di L. 962.937.849 riconosciuto alla Alfa Italiana e quello di L. 408.563.172 attribuito all’opposta.
La decisione, gravata dalla F. e, in via incidentale dalla Alfa Italiana in l.c.a., venne riformata il 12 febbraio 2004 dalla Corte di appello di Roma, che rigettò l’impugnazione principale e, in accoglimento di quella incidentale, dichiarò improcedibile la domanda proposta dalla F. nei confronti dell’opponente con il ricorso per decreto ingiuntivo e condannò l’opposta a corrispondere alla Alfa Italiana in l.c.a. l’ammontare dell’intero credito riconosciuto a quest’ultima in primo grado.
Osservò il giudice di secondo grado che, a seguito della sottoposizione della Alfa Italiana a liquidazione coatta amministrativa nelle more del giudizio di primo grado, il credito vantato dalla F. nei confronti dell’opponente andava accertato in sede concorsuale e che la improcedibilità della domanda azionata con il rito monitorio non comportava anche di quella riconvenzionale della Alfa Italiana, ma la separazione delle cause e la prosecuzione del giudizio relativamente a quest’ultima davanti al giudice adito; aggiunse che in mancanza di una istanza di insinuazione del credito della F. al passivo della l.c.a. non erano ipotizzabili nè la sospensione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e nè la compensazione dei crediti, non essendo quello dell’agente di facile e pronta liquidazione e non avendo la compensazione formato oggetto di specifica domanda della F. Frascati, bensì soltanto di mera eccezione.
La società F. è ricorsa con tre motivi per la cassazione della sentenza e la Alfa Italiana in l.c.a. ha resistito con controricorso notificato il 31 maggio 2004, eccependo, preliminarmente l’inammissibilità del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
E’ fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente ai sensi dell’art. 2312 c.c., per l’inesistenza del soggetto ricorrente ed il difetto di rappresentanza di quello conferente il mandato, avendo la F. cessato la propria attività dall’11 dicembre 2002 ed essendo stata la stessa cancellata dal registro delle imprese l’8 gennaio 2003.
Costituiva ius receptum sulla base della giurisprudenza di legittimità che l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese aveva funzione di pubblicità, e non ne determinava l’estinzione, ove non fossero ancora esauriti tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società stessa e che, conseguentemente, fino a tale momento, permaneva la legittimazione processuale in capo alla società e doveva escludersi, anche con riferimento alle successive fasi di impugnazione, che, intervenuta la cancellazione, il processo già iniziato dovesse proseguire nei confronti o su iniziativa delle persone fisiche che la rappresentavano in giudizio o dei soci, (cfr.: Cass. civ., sez. 3^, sent. 15 gennaio 2007, n. 646, Cass. civ., sez. 5^, sent. 26 aprile 2001, n. 6078; Cass. civ., sez. 2^, sent. 2 aprile 1999, n. 3221). La correttezza dell’interpretazione che giustificava il diritto vivente è stata, tuttavia, messa in discussione e negata dalla modifica apportata all’art. 2495 c.c., dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, (Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione dellaL. 3 ottobre 2001, n. 366), che, seppure non facendo riferimento alle società di persone, dopo avere imposto la richiesta della cancellazione della società dal registro delle imprese dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, al comma 2, (“fermo restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione…”) ravvisa la vigenza nell’ordinamento del diverso generale principio che la cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società. La natura meramente ricognitiva dell’inciso contenuto nella norma esclude che la necessità di immediato adeguamento dell’interpretazione delle norme a tale principio trovi ostacolo nell’entrata in vigore della modifica normativa in data 1 gennaio 2004, atteso che la funzione esegetica ad essa attribuibile ne impone un’applicazione retroattiva ed in relazione ad ogni forma societaria, con la sola esclusione dei rapporti giuridici già esauriti e degli effetti già in precedenza irreversibilmente verificatisi.
Ne consegue che, dovendo ritenersi estinta la società ricorrente l’8 gennaio 2003 con la sua cancellazione dal registro delle imprese, il ricorso per cassazione notificato il 21 aprile 2004 avverso la sentenza depositata il 12 febbraio 2004 avrebbe dovuto essere proposto dai soci della F. e non dal suo cessato amministratore e legale rappresentante, non essendo la società estinta più legittimata al giudizio e non avendo l’amministratore alcuna ulteriore capacità di rappresentarla (cfr.: Cass. sez. L., sent. 18 settembre 2007, n. 19347; Cass. civ., sez. 1^, sent. 28 agosto 2006, n. 18618).
L’inammissibilità del ricorso preclude l’esame dei relativi motivi. Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2008
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