Un interessante estratto dell’ebook dell’Avv. Luca D’Apollo sul danno alla capacità lavorativa

Mirco Minardi

danno-biologico-3III.8. Danno alla capacità lavorativa

La perdita della capacità lavorativa integra la lesione del diritto del cittadino ad accedere al lavoro in condizioni di piena integrità secondo i dettami dell’articolo 4 della Costituzione correlato agli articoli 3 secondo comma e 32 della Costituzione e come tale ha un autonomo rilievo come perdita patrimoniale, ove l’attività lavorativa sia in atto1.

La giurisprudenza scinde la capacità lavorativa in due categorie: quella generica che è tipica di ciascun soggetto anche non lavoratore, ovvero la capacita lavorativa specifica in capo a soggetti lavoratori che hanno particolari qualifiche.

La giurisprudenza civile di legittimità opera una distinzione nell’ambito delle conseguenze dell’invalidità procurata da atto illecito ritenendo che quelle inabilità che determinano l’esclusione o la riduzione della capacità lavorativa specifica, idonea a produrre reddito, vadano risarcite come danno patrimoniale mentre la riduzione della capacità lavorativa generica costituisca una componente del danno biologico e vada quindi in esso considerata2.

In questo senso la Cassazione stabilisce che “esiste, dal punto di vista scientifico e medico legale, una fondamentale distinzione tra invalidità (temporanea o permanente) quale compromissione dell’integrità e della validità biologica dell’individuo, che è valutata e risarcita integralmente come danno biologico, ed incapacità (temporanea o permanente) che riguarda le perdite e i riflessi patrimoniali derivanti dalla momentanea o definitiva impossibilità, per il soggetto leso, di svolgere la propria attività lavorativa, ovvero di iniziare in futuro un’attività lavorativa”3.

Ben distinti concettualmente sono i presupposti per accertare la riduzione della capacità lavorativa specifica, che attiene esclusivamente alla riduzione della capacità reddituale del soggetto, e ha quindi natura di danno patrimoniale, da quelli utilizzati per valutare l’esistenza e la consistenza del danno biologico che consiste invece nella lesione dell’integrità psico-fisica della persona, indipendentemente dalla riduzione reddituale4.

La distinzione in parola viene spesso offuscata tanto che sempre più spesso la Corte di legittimità ritiene necessario ribadirlo: ancora nel 2007 si è affermato che “il danno biologico non va confuso con il danno da perdita di chances lavorative”5.

La capacità lavorativa specifica necessita di una prova rigorosa in ordine al nesso causale sussistente tra le lesioni o le menomazioni subite e l’impossibilità o la difficoltà di continuare a svolgere la propria attività lavorativa.

Nell’ipotesi di lesione alla capacità lavorativa generica la prova dell’incidenza negativa della lesione psico-fisica può essere data con qualsiasi mezzo. La giurisprudenza afferma infatti che “la lesione grave della salute reca come conseguenza negativa una apprezzabile perdita della capacità lavorativa. Il negare tale rilevanza costituisce fattore eccezionale, presente in taluni casi in cui, per la eminente attività intellettuale prestata, una menomazione psicofisica potrebbe non incidere sulla potenzialità delle capacità lavorative, pur compromesse. Esigere dal lavoratore una prova rigorosa in relazione al cd. danno futuro, o negare la natura biologica di tale perdita, contraddice la stessa configurazione del danno biologico come danno a struttura complessa, che incide su vari aspetti della vita fisica e psichica della persona”6.

La tesi predominante in giurisprudenza afferma a più riprese che tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo. Ne consegue che in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l’onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l’invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno. Tra le questioni più dibattute vi è quella relativa al danno alla capacità lavorativa generiche di disoccupati, minori o casalinghe.

La Cassazione afferma che “la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che – proiettandosi per il futuro – verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata, salvo l’ipotesi che si tratti di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell’attività lavorativa”7.

Si è affermato che nel caso in cui il danneggiato svolge vari e saltuari lavori non qualificati, o dell’operaio non specializzato, la riduzione della capacità lavorativa non è assimilabile alla incapacità lavorativa generica, liquidabile solo nell’ambito del danno biologico, ma è pur sempre fonte di danno patrimoniale, da valutarsi considerando quale sia stata in concreto la riduzione della capacità lavorativa specifica del soggetto leso, che può determinarsi tenendo conto della varietà di attività o di lavorazioni che il soggetto può essere chiamato a compiere, in riferimento alla situazione lavorativa specifica, ambientale e personale, del soggetto stesso (Cassazione civile, sez. III, 11.12.2003, n. 18945).

Con riguardo all’ipotesi in cui la lesione all’integrità psico-fisica sia cagionata ad una casalinga, la Cassazione ha stabilito che la danneggiata “pur non percependo reddito monetizzato, svolge un’attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare, per cui costituisce danno patrimoniale (come tale risarcibile autonomamente rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa” (Cass. civ. sez. III, 09.02.2005, n. 2639).

Altro aspetto oggetto di dibattito riguarda il caso in cui il danno subito dal lavoratore è risarcito in tutto o in parte dall’INAIL in forza del D.Lgs. 38/2000.

Anteriormente all’entrata in vigore del citato provvedimento normativo la copertura assicurativa prevista dall’allora vigente sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, pur non concernendo esclusivamente il danno patrimoniale in senso stretto (in quanto la prestazione INAIL spettava a prescindere da un’effettiva perdita o riduzione di reddito), non riguardava comunque il danno biologico di per sé considerato e nella sua integralità, dato che le indennità previste dal D.P.R. n° 1124/65 erano collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione avesse avuto sull’attitudine al lavoro del soggetto assicurato, mentre non assumevano alcun rilievo gli svantaggi, le privazioni e gli altri ostacoli che la menomazione comportasse in riferimento agli altri ambiti ed agli altri contesti in cui l’individuo esplicava la propria soggettività.

L’azione diretta al risarcimento del danno biologico, proprio in considerazione del fatto che tale danno non formava oggetto della copertura assicurativa, per la parte non riconducibile a perdita o riduzione della capacità lavorativa, non era dunque ritenuta soggetta all’applicazione della disciplina di cui all’art. 10 del D.P.R. n° 1124/65, con la conseguenza che, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un reato, ad essa non poteva comunque essere opposto nè l’esonero della responsabilità civile previsto in favore del datore di lavoro, nè la limitazione del risarcimento alla parte di danno eccedente le indennità liquidate (ai sensi degli artt. 66 e sgg. del citato D.P.R.)

La Suprema Corte aveva negato in radice la spettanza all’INAIL di una qualunque quota parte delle somme complessivamente liquidate a titolo di danno biologico.

L’entrata in vigore del D.Lgs. 38/2000 ha integralmente modificato il quadro di riferimento entro cui si era formata tale elaborazione giurisprudenziale. L’art. 13 del predetto D.Lgs. 38/2000 riconduce infatti il danno biologico alla copertura assicurativa obbligatoria, prevedendo un’articolata serie di criteri di computo per la determinazione del danno medesimo.

In dottrina e giurisprudenza si è immediatamente posto il problema se le somme erogate dall’INAIL sulla base dei criteri di computo indicati dall’art. 13 siano da considerarsi esaustivi del diritto al risarcimento del danno biologico in capo all’assicurato, oppure se residui in capo al datore di lavoro l’obbligo di risarcire l’eventuale danno “differenziale” residuante a favore dell’infortunato.

Della questione, di recente, è stato investito il Tribunale di Bassano del Grappa 14.12.2004 n° 658, il quale ha osservato che “se pur è vero che la liquidazione del danno biologico, alla stregua dei parametri di cui al citato art. 13, avviene in misura indipendente dalla capacità di produrre reddito del danneggiato, nondimeno lo stesso art. 13 (dopo aver espressamente premesso che le disposizioni in esso contenute si pongono nell’ottica della “attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento”) prevede la definizione del danno biologico solo “in via sperimentale” ed ai soli “fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”.

Il Tribunale afferma così che “la prospettiva applicativa del citato art. 13 non è quella di definire in via generale e omnicomprensiva gli aspetti risarcitori del danno biologico, ma solo quella di definire tali aspetti risarcitori agli specifici fini dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali. L’erogazione effettuata dall’INAIL, peraltro, è strutturata nei termini di un indennizzo, che, a differenza del risarcimento, si connota come svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale o aquiliano), e può conseguentemente essere disposto anche a prescindere dall’elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa, e, peraltro, anche in assenza di un responsabile diverso dal danneggiato (nelle ipotesi in cui l’infortunio sia da ascrivere a colpa esclusiva di quest’ultimo), mentre anche sotto il profilo del consolidamento degli effetti patrimoniali in capo all’avente diritto l’indennizzo INAIL si struttura in modo diverso da un risarcimento del danno (Trib. Pinerolo sentenza del 27.4.2004), dato che la rendita cessa con la morte dell’infortunato (e non passa nell’asse ereditario), mentre il diritto al risarcimento, una volta consolidatesi, entra a far parte del patrimonio del soggetto avente diritto allo stesso e si trasferisce agli eredi”.

A giudizio dl Tribunale sussistono considerevoli e strutturali divergenze tra l’indennizzo erogato dall’INAIL ed il risarcimento del danno biologico: “mentre quest’ultimo trova in definitiva la propria norma fondatrice nell’art. 32 della Costituzione (…), l’indennizzo INAIL è collegato all’art 38 della Costituzione e risponde alla funzione sociale di garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore”.

Occorre poi evidenziare come il citato art. 13 definisca il danno biologico come “la lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico legale”, ciò che, se pur appare agevolare il concreto accertamento delle lesioni, nondimeno appare discostarsi dalla nozione di danno biologico costituzionalmente intesa non limitata alla mera percepibilità e valutabilità del danno in termini medico-legali, ma estesa a tutte le possibili forme di manifestazione della vita umana.

La conclusione cui giunge il Tribunale è che alla luce della differenza strutturale e funzionale sussistente tra l’erogazione INAIL ed il risarcimento del danno biologico non si può ritenere che le somme versate dall’INAIL a tale titolo possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo all’infortunato, laddove l’applicazione delle usuali tabelle di liquidazione del danno portino a ritenere sussistente un danno “differenziale” ulteriore rispetto all’ammontare liquidato dall’INAIL stesso.

Peraltro quanto dal testo della circolare INAIL n° 57 del 4 agosto 2000 si evince che la modifica normativa introdotta con il citato art. 13 non ha fatto venir meno il diritto al risarcimento del danno biologico: “pur essendo comune l’oggetto (e cioè il danno biologico) e pur in presenza di alcune analogie tra il sistema indennitario delineato dall’art. 13 ed il sistema risarcitorio-civilistico, tuttavia notevoli differenze derivano dalla diversa finalità dei due sistemi e dalla conseguente diversa strutturazione del meccanismo di ristoro del danno. L’indennizzo INAIL, infatti, assolve ad una funzione sociale ed è finalizzato a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore, secondo quanto previsto dall’art. 38 della Costituzione, mentre il sistema civilistico è finalizzato a risarcire il danno nella esatta misura in cui si è verificato. L’art. 13, nell’introdurre il danno biologico nella copertura assicurativa gestita dall’INAIL dei danni derivanti da infortuni sul lavoro e malattie professionali, non ha modificato i principi di fondo che caratterizzano il sistema, e cioè il suo automatismo ed i meccanismi solidaristici che lo ispirano”.

Il tribunale ritiene, altresì, che “proprio la differenza che sussiste tra indennizzo INAIL e risarcimento del danno, sotto il profilo della struttura e degli effetti, comporta inoltre che i parametri indicati nel citato art. 13 non si configurino come adeguati al fine di una loro utilizzazione quale criterio equitativo di liquidazione nell’ambito del risarcimento del danno biologico”.

Tale posizione è invece contrastata da altra parte della giurisprudenza che ritiene la modifica normativa prevalente su eventuali danni differenziali vantati dal lavoratore.

Tale posizione ricostruttiva è fatta propria dal Tribunale di Vicenza9.

Nella sentenza si afferma che “con la copertura previdenziale INAIL del danno biologico per gli infortuni sul lavoro di cui al D. Lgs. 28.2.2000 n. 38, normalmente non si pone il problema di un “danno differenziale” autonomamente chiedibile dal lavoratore al datore di lavoro responsabile”.

Secondo il tribunale “tenuto conto della origine del danno biologico e del diritto al risarcimento, di creazione giurisprudenziale, così come la quantificazione mediante il sistema del punto tabellare, appare condivisibile il principio secondo il quale allorquando il legislatore disponga di disciplinare precisamente l’istituto di creazione giurisprudenziale è al dato normativo che si deve far riferimento, salva la chiara incompatibilità della normativa positiva con i principi costituzionali e con quelli generali della materia così come elaborati dalla giurisprudenza”.

Si afferma pertanto che il legislatore ha dato una definizione di danno biologico conforme ai principi generali e che ha addossato all’INAIL l’erogazione di un “quid” nei confronti del danneggiato: pertanto, a detta del Tribunale, “appare anacronistico non adeguare anche l’orientamento giurisprudenziale. L’operazione che mira alla qualificazione di un danno biologico come “differenziale” o residuale rispetto a quello dell’INAIL, è sostanzialmente diretta ad ottenere un duplice risarcimento dello stesso danno biologico: quello voluto dalla legge (erogato dall’INAIL secondo precise quantificazioni legali) e quello di quantificazione giurisprudenziale”

1 Cassazione, n. 2311/2007 (http://www.altalex.com/index.php?idnot=36796)

2 Cassazione pen., sez. IV, 2050/2004 (http://www.altalex.com/index.php?idnot=7120)

3 Cass., sez. III civ., 22 febbraio 2002 n. 2589 in Foro it., 2002, I, 2074

4 Cassazione pen., sez. IV, 2050/2004, (http://www.altalex.com/index.php?idnot=7120)

5 Cassazione, civ., sez. III civile, 11.05.2007 n° 10840 (http://www.altalex.com/index.php?idnot=36981)

6 Cassazione, n. 2311/2007 (http://www.altalex.com/index.php?idnot=36796)

7 Cassazione civile, sez. III, 11.12.2003, n. 18945

8 Trib. Bassano del Grappa 14.12.2004 n° 65, (http://www.altalex.com/index.php?idnot=9386)

9 Trib. Vicenza, sez. lav., 03.06.2004 n° 82 http://www.altalex.com/index.php?idnot=7604)


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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Un commento:

  1. Maristella

    Preg.mo Collega, se il danno da perdita di cap.lav. gen. è quantificato dall’INPS nella misura dei 2/3 (67%), mentre il ctp nella perizia di parte ha calcolato un danno biologico del 30% solo facendo riferimento ai calcoli derivati dalle tabelle ministeriali per le patologie, mi chiedo e Ti chiedo come quantificare il risarcimento, visto che la voce di danno da cap. lav. gen. è superiore al danno biologico…. Spero di essere stata chiara….. Grazie per il tempo che vorrai dedicarmi! Maristella



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