Attualmente l’art. 38 c.p.c. stabilisce:
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione.
L’incompetenza per territorio, fuori dei casi previsti dall’articolo 28, è eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta.
L’eccezione si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente. Quando le parti costituite aderiscono a tale indicazione, la competenza del giudice rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione del ruolo.
Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni.
La nuova versione prevede come importante novità l’onere per il convenuto di sollevare già nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata anche le eccezioni di:
(a) incompetenza per materia;
(b) incompetenza per valore;
(c) incompetenza per territorio inderogabile.
Pertanto, anziché formularle in udienza, il convenuto avrà l’onere di sollevarle con il primo atto difensivo. Rimane ferma, però, per il giudice la possibilità di rilevare i casi di incompetenza de quibus entro la prima udienza di trattazione.
Si ha, dunque, uno sfasamento in ordine alla stessa eccezione: venti giorni prima dell’udienza per il convenuto, udienza di trattazione per il giudice. Ma cosa accade se il convenuto solleva l’eccezione in udienza di trattazione?
Accade che il giudice può legittimamente disattenderla in quanto tardiva e qualora abbia un ripensamento non potrà più spogliarsi della causa. Ugualmente, laddove il convenuto abbia sollevato tardivamente l’eccezione, non potrà, in appello, dolersi del fatto che il giudice non ha esercitato il potere ufficioso stabilito dall’articolo.
La riforma si inserisce nel solco di un orientamento fatto proprio dalla Cassazione volto a circoscrivere sin dalle prime battute i temi fondamentali della causa, non solo di merito, ma anche di rito.
Stranamente, però, non è stato toccato dalla riforma l’art. 37, in tema di giurisdizione, anche se sulla questione, per la verità, la Cassazione ha posto dei paletti alquanto fermi. Con una lunga e articolata motivazione, infatti, le S.U. (sent. 24883/2008) hanno riletto l’art. 37 c.p.c. alla luce del principio costituzionale del giusto processo e della sua ragionevole durata.
Detta norma, come è noto, stabilisce che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali può essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. Sennonché, nel corso degli anni il principio della libera rilevabilità in ogni stato e grado è stato intaccato dalla giurisprudenza, che ha iniziato a porre dei distinguo.
Così, a partire da Cass. sez. un. n. 1506/1976 si è consolidato il principio secondo cui, qualora il giudice decida espressamente sia sulla giurisdizione sia sul merito e la parte impugni solo sul merito, è precluso al giudice di appello e alla Cassazione il rilievo d’ufficio della questione di giurisdizione, essendosi sul punto formato giudicato interno.
Un secondo importante arresto è quello di Cass. civ. sez. un. n. 34/1999 che sancì la non rilevabilità d’ufficio della questione di giurisdizione risolta implicitamente dal giudice e non espressamente impugnata dal ricorrente con il ricorso in Cassazione.
E veniamo alla sentenza sopra richiamata la quale ha fissato i seguenti principi:
(a) fino a quando la causa non sia decisa nel merito in primo grado, il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti, anche dopo la scadenza dei termini previsti dall’art. 38 c.p.c.;
(b) entro lo stesso termine le parti possono chiedere il regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c.;
(c) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione;
(d) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si è formato il giudicato implicito o esplicito;
(e) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione, fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato implicito o esplicito.
Ma al di là dei principi di diritto affermati, è importante evidenziare il ragionamento che ha condotto la S.C. a tale risultato. Affermano le Sezioni Unite che “l’avvento del principio della ragionevole durata del processo comporta l’obbligo di verificare la razionalità delle norme che non prevedono termini per la formulazione di eccezioni processuali per vizi che non si risolvono in una totale carenza della tutela giurisdizionale, come ad esempio i vizi attinenti al principio del contraddittorio. Questa Corte ritiene che la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo imponga all’interprete una nuova sensibilità ed un nuovo approccio interpretativo, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione del detto obiettivo costituzionale”.
E ancora: vi è ormai un “dovere di responsabile collaborazione delle parti per contenere i tempi processuali: il principio costituzionale di ragionevole durata del processo si rivolge non soltanto al giudice quale soggetto processuale, in funzione acceleratoria, ma anche e soprattutto al legislatore ordinario ed al giudice quale interprete della norma processuale, rappresentando un canone ermeneutico imprescindibile per una lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano il processo, nonché a tutti i protagonisti del giudizio, ivi comprese le parti, le quali, soprattutto nei processi caratterizzati dalla difesa tecnica, debbono responsabilmente collaborare a circoscrivere tempestivamente i fatti effettivamente controversi”.
Ciò significa che d’ora in avanti l’interpretazione delle norme dovrà sempre tenere conto del principio costituzionale del giusto processo e della sua ragionevole durata con la probabile conseguenza che negli anni a venire il campo delle eccezioni rilevabili ex officio in ogni stato e grado diminuirà sempre più e soprattutto avrà sempre più importanza il comportamento acquiescente delle parti.
Ritornando alla riforma dell’art. 38 c.p.c., va ricordato che l’avvertimento di cui all’art. 163 andrà esteso, oltre che all’art. 167, anche al suddetto articolo.
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