Ancora un esempio del travisamento (e non solo) del vizio di legge quando si predispone un ricorso per cassazione.
Nel caso deciso da Cass. 24740/2017 viene invocato dal ricorrente l’art. 2947 c.c., in materia di onere della prova, ma non per denunciare che il giudice ha fatto cattiva applicazione dei principi in materia di ripartizione, bensì per contestare nel merito la valutazione degli elementi di prova operata dalla Corte territoriale (in ordine all’ammontare concreto tanto del danno risarcibile che di quello già risarcito) valutazione rimessa alla discrezionalità del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità.
Il giudice dell’appello, con motivazione coerente e non contraddittoria, aveva evidenziato che le somme erogate al dipendente da coloro che acquisivano illecitamente i materiali erano certamente inferiori al valore di mercato degli stessi “pena la palese non convenienza dell’illecito affare per gli imprenditori inquisiti” (così in sentenza) e che l’importo del danno, determinato per difetto, teneva conto anche di quanto ricevuto in via transattiva dagli altri dipendenti coinvolti.
In un caso del genere, unica possibilità era quella di censurare la valutazione ex art. 360 n. 5, in caso di omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione.
Anche gli altri motivi sono stati dichiarati inammissibili, per un evidente vizio di redazione dell’atto.
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La supervisione del ricorso per cassazione.
Cassazione civile, sez. lav., 19/10/2017, (ud. 09/05/2017, dep.19/10/2017), n. 24740
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. MANNA Antonio – Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6946-2012 proposto da:
D.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA COSSERIA 2, presso il dr. P.G., rappresentato
e difeso dall’avvocato SIMONE LAZZARINI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO 12, presso lo studio dell’avvocato
……, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 185/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 07/03/2011 R.G.N. 1880/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELENTANO CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato …….
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Milano del 7.4.2004 la società Rete Ferroviaria Italiana (in prosieguo: RFI) spa agiva nei confronti del proprio dipendente D.S., svolgente mansioni di coordinatore del materiale fuori uso, per il risarcimento del danno derivato dalla sottrazione di materiale ferroso e di rame.
Il giudice del Lavoro – con sentenza nr. 4812/2008 – riteneva provata la responsabilità del D. ma rigettava la domanda per carenza di prova del danno.
Con sentenza in data 19.11.2010-7.3.2011 (nr. 185/2010) la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello di RFI spa, condannava il lavoratore al risarcimento del danno.
La Corte territoriale rilevava che, restando definitivo in mancanza di impugnazione l’accertamento della responsabilità del lavoratore per la sottrazione dei materiali, gli elementi acquisiti provavano il danno, nella misura di almeno Euro 50.000, in applicazione dell’art. 1226 cod. civ..
Nell’interrogatorio formale il D. aveva ammesso di avere ricevuto una tale somma in corrispettivo dell’illecita fuoriuscita della merce; le somme erogate ai dipendenti partecipi dell’illecito erano, infatti, certamente inferiori al valore della merce sottratta giacchè diversamente l’illecito non sarebbe stato vantaggioso per gli imprenditori coinvolti.
La determinazione del danno teneva conto anche del parziale recupero da parte di RFI spa di alcune somme di denaro in occasione delle transazioni effettuate con altri dipendenti.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza D.S., articolato in un unico motivo, al quale ha opposto difese RFI spa con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere superata la eccezione di decadenza dalla impugnazione opposta dalla controricorrente RFI spa sotto il profilo del mancato rispetto del termine di impugnazione di sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza di appello.
Nella fattispecie di causa trova applicazione, infatti, il termine di impugnazione di un anno previsto dal testo dell’art. 327 cod. proc. civ. previgente alla L. n. 69 del 2009 giacchè la riduzione a sei mesi del predetto termine disposta dall’articolo 46 della legge suddetta, trova applicazione, a norma della disposizione transitoria contenuta nell’art. 58, comma 1, stesso testo normativo, nei giudizi instaurati – ovvero promossi nel primo grado – successivamente al 4.7.2009: il ricorso introduttivo del presente giudizio è del 7.4.2004.
Egualmente va disattesa la sollevata eccezione di difetto di procura alle liti del difensore di parte ricorrente; dall’art. 125 cod. proc. civ., commi 2 e 3, si ricava che il limite temporale per il rilascio della procura speciale è quello del momento di notificazione dell’atto processuale di ricorso sicchè la procura speciale ben può essere conferita dopo la sottoscrizione del medesimo ricorso purchè prima della sua notificazione (cfr. Cass. civ. SU 23/7/2013 nr. 17866).
Con l’unico motivo di ricorso D.S. ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 1226, 2697 e 2733 cod. civ. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
Ha censurato la pronunzia di quantificazione del danno per illogicità e travisamento dei fatti nonchè per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato e della regola di ripartizione dell’onere della prova.
Sotto il profilo della prova ha dedotto:
– che non era noto il quantum del danno già risarcito dagli altri corresponsabili, non essendo stati prodotti i relativi atti di transazione e che nell’atto di appello (alla pagina 26) RFI spa aveva dato atto del versamento a titolo transattivo di una somma di circa L. 500milioni, importo superiore a quello richiesto in causa da RFI spa (Euro 167.848,49);
– che la Corte di merito aveva fondato la decisione sulle somme da lui percepite in corrispettivo della sottrazione dei materiali, come emerse nell’interrogatorio formale, importi che, tuttavia, non corrispondevano al valore della merce sottratta.
Quanto al vizio di ultrapetizione, il ricorrente ha evidenziato che nella sentenza le somme da lui ricevute erano stato imputate, alternativamente, a corrispettivo della merce sottratta ovvero a prezzo dell’illecito laddove RFI spa aveva sostenuto trattarsi unicamente del controvalore della merce.
Il ricorso è inammissibile.
La deduzione del vizio di violazione delle norme di diritto è inconferente rispetto ai contenuti della censura, che investono esclusivamente l’accertamento del fatto storico (id est: il quantum del danno) da parte del giudice del merito, accertamento censurabile in questa sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione.
In particolare, con la denunzia di ultrapetizione non si prospetta la estraneità del decisum alla causa petendi o al petitum della azione esercitata da RFI spa ma si sottopongono a critica gli argomenti logici esposti in sentenza per sorreggere l’accertamento del danno; analogamente, la deduzione della violazione dell’art. 2697 cod. civ. non coglie le statuizioni della sentenza, che ha ritenuto acquisita la prova del danno e non ha dunque applicato la regola di giudizio di cui all’art. 2697 cod. civ., che attribuisce la soccombenza (alla parte a cui carico cadeva l’onus probandi) soltanto ove non venga raggiunta la prova.
Il ricorso, poi, non individua le statuizioni della sentenza in contrasto con le norme dell’art. 1126 cod. civ. e dell’art. 2733 cod. civ. nè le ragioni della assunta violazione.
Quanto al dedotto vizio della motivazione – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – il ricorrente piuttosto che individuare un preciso fatto storico, controverso e decisivo, oggetto della impugnazione, censura la valutazione degli elementi di prova operata dalla Corte territoriale (in ordine all’ammontare concreto tanto del danno risarcibile che di quello già risarcito) valutazione rimessa alla discrezionalità del giudice del merito e non sindacabile in questa sede di legittimità.
Il giudice dell’appello, con motivazione coerente e non contraddittoria, ha evidenziato che le somme erogate al dipendente da coloro che acquisivano illecitamente i materiali erano certamente inferiori al valore di mercato degli stessi “pena la palese non convenienza dell’illecito affare per gli imprenditori inquisiti” (così in sentenza) e che l’importo del danno, determinato per difetto, teneva conto anche di quanto ricevuto in via transattiva dagli altri dipendenti coinvolti.
Il ricorso, del resto, si fonda sul presupposto che i relativi atti di transazione non fossero stati prodotti in causa, assunto privo di specificità perchè carente dalla indicazione dei documenti effettivamente prodotti da RFI spa e non accompagnato dal deposito ex art. 369 c.p.c., n. 4 del relativo foliario.
Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile.
Le spese vengono regolate secondo la soccombenza, come da dispositivo.
PQM
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017
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Complimenti avvocato.
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Non esiste un facsimile perchè ogni memoria è a sé.