Dal sito web degli Avvocati Raffaele Plentedea e Oronzo Maggiulli.
Di Raffaele Plenteda
Intervenendo in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, l’attenzione dei giudici di legittimità si concentra, ancora una volta, sul punto più nevralgico e peculiare dell’intera fattispecie, rappresentato dal nesso di causalità.
La questione, anche in questo caso, riguarda la individuazione e la definizione del criterio che si deve applicare al fine di poter riferire all’errore od omissione compiuta dall’avvocato l’esito negativo della lite, così da potersi ritenere accertato che, se l’avvocato non avesse sbagliato, il cliente avrebbe conseguito un risultato a sé più favorevole e che, in definitiva, il danno derivante dalla perdita della lite sia imputabile all’inadempimento del professionista.
In merito, abbiamo più volte segnalato come la tendenza della giurisprudenza sia da tempo quella di affermare un canone di causalità più accessibile al cliente, con la conseguenza di aumentare il grado di tutela e, simmetricamente, incrementare il rischio risarcitorio a carico del professionista. Abbiamo, per contro, considerato “arresti isolati”, quelle rare pronunce, che di tanto in tanto compaiono, le quali tornano ad affermare un criterio causale più rigido (Vedi Cass. 25266/08)
Il trend è confermato dalla sentenza n. 8151/09, in cui la Corte di Cassazione ha stabilito l’applicabilità del criterio probabilistico, escludendo espressamente che, al fine della affermazione della responsabilità dell’avvocato, debba trovare applicazione il superato canone della “certezza morale”.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti,
“L’affermazione della responsabilità” professionale dell’avvocato non implica l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente.
… al criterio della certezza della condotta, può sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e della idoneità della condotta a produrli.
In definitiva, per ottenere la condanna dell’avvocato che ha omesso un atto (nella fattispecie la riassunzione di una causa) che era tenuto a compiere, il cliente deve dimostrare:
1) che la condotta omessa dall’avvocato fosse idonea a produrre effetti più vantaggiosi per il cliente, in quanto le ragioni del cliente erano giuridicamente fondate;
2) che, di conseguenza, una corretta attività difensiva avrebbe condotto con probabilità ad un esito della lite più favorevole.
La sentenza per esteso è consultabile cliccando qui.

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