Cosa resta, oggi, del vizio di motivazione in Cassazione? Nulla, anzi no.
Dopo le modifiche del 2012 (d.l. 54/2012, conv. mod. l. 134/2012) è sparito il vizio di motivazione (anche se non pochi avvocati continuano a presentare ricorsi ai sensi del “vecchio” n. 5 dell’art. 360).
Ai sensi del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è deducibile per cassazione esclusivamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La norma si applica ai ricorsi presentati avverso le pronunce depositate dopo il 10 settembre 2012 (e quindi dall’11).
Le S.U. hanno ormai detto e ridetto fino allo sfinimento che la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità.
Dunque il giudice può scrivere tutte le boiate che vuole? Ovviamente no.
L’anomalia della motivazione denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali.
In particolare la sentenza è viziata:
- per “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”;
- quando la “motivazione è apparente”;
- quando presenta un “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”;
- quando la “motivazione è perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
Talvolta, la Corte parla di “irriducibile contraddittorietà” o di “illogicità manifesta”.
Il primo caso (motivazione realmente inesistente) è circostanza rara.
Il secondo è già più frequente. Dalla metà degli anni ’90 sono stato testimone, assieme ai colleghi della mia zona, di numerose sentenze con motivazione meramente apparente emesse da un Giudice di Pace del mio foro. Le motivazioni erano all’incirca così: “Il giudice di pace, alla luce delle testimonianze raccolte e dei documenti prodotti ritiene fondata la domanda dell’attore. Per quanto concerne il quantum ….”.
Ovviamente tutte riformate e cassate in quanto solo apparentemente il provvedimento conteneva la motivazione, non essendo in realtà assolutamente comprensibile come il giudice fosse arrivato alla risoluzione della quaestio facti.
Quale sia una motivazione “perplessa” non ne ho idea; probabilmente la Corte ne ha viste di tutti i colori e dunque si è trovata di fronte anche a provvedimenti dubbiosi.
Interessante è invece la questione relativa alla contraddittorietà e alla illogicità. Anzitutto va detto che il rapporto tra contraddittorietà e illogicità è di specie a genere. Una sentenza contraddittoria è sempre illogica, mentre non è sempre vero il contrario.
Affinché il vizio de quo rilevi, l’illogicità deve essere decisiva. Vi faccio un esempio di questi giorni. La Corte d’appello, dopo aver esordito dicendo che non è controversa la responsabilità del medico, mentre va accertato il nesso di causalità tra imperizia e danno, afferma non esservi stata alcuna imperizia. E lo fa con una serie di argomenti ben sviluppati. In tal caso, non è possibile, a mio parere, far valere il vizio di motivazione, in quanto se è vero che manca una piena coerenza tra l’incipit e il corpo, la contraddittorietà non è decisiva nel momento in cui la Corte ha spiegato per quale ragione non sussisteva la colpa. Diverso sarebbe stato se avesse spiegato anche per quale ragione il comportamento si sarebbe dovuto ritenere imperito. Ma in tal caso saremmo stati di fronte ad un caso di follia collettiva.
Dunque, anche in questo caso il vizio deve essere decisivo. In tal senso, a mio avviso, vanno interpretati gli aggettivi “irriducibile”, “manifesta”.
In presenza di siffatti vizi la sentenza va impugnata ai sensi dell’art. 360, n. 4 per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4.
Un’ultima annotazione importante. Non pensiate di andare in Cassazione eccependo la nullità della sentenza per vizio di motivazione accertabile mediante una diversa valutazione delle prove. Vi fucilano appena entrate nella grande aula. Il vizio deve essere testuale, cioè deve risultare dal testo del provvedimento. Al limite, come ho già spiegato in un altro post, se il giudice ha travisato una prova decisiva, è possibile far valere il vizio di legge qualora l’errata ricostruzione del fatto abbia determinato un’errata applicazione della norma.
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