Perchè i processi durano tanto? Proviamo a dare una spiegazione (tra le tante)

Mirco Minardi

Passo ore ed ore a spulciare tra le sentenze della Cassazione e dei giudici di merito.

C’è un dato di cui nessuno parla.

Il numero impressionante di sentenze cassate e riformate.

Un numero enorme, sul quale bisognerebbe riflettere. Processi che vanno avanti e indietro. Per anni e anni.

Oggi leggo l’ennesima sentenza della Cassazione che cassa una sentenza di Corte d’Appello che aveva revocato il decreto ingiuntivo, senza pronunciarsi nel merito della domanda pur parzialmente fondata.

Come è possibile che tre magistrati d’Appello possano commettere un errore del genere?

Ieri, leggo una sentenza di Cassazione che cassa una sentenza di Tribunale che a fronte di una responsabilità pacificamente solidale (un trasportato aveva agito contro il vettore chiedendone la condanna in solido per l’intero), aveva liquidato il danno nella misura del 30%, essendo, secondo il Tribunale, il 70% della responsabilità ascrivibile ad altro conducente (!!!).

Come si possono giustificare errori simili? Sono questioni elementari, sulle quali non può essere ammesso l’errore, soprattutto da parte di magistrati di lunga esperienza.

In un Paese normale, e il nostro non lo è, bisognerebbe che ciascuno si prendesse le proprie responsabilità.

Bisognerebbe valutare su 100 sentenze, quante vengono riformate o cassate e per quale motivo.

E’ inutile che un magistrato faccia 400 sentenze all’anno se poi l’80% viene impugnato. Dà un servizio migliore il magistrato che ne fa 200 con una percentuale di impugnazione del 10%.

Sono statistiche di cui bisognerebbe tenere conto.

Ma nessuno ne parla.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. MAURIZIO REGGI

    Caro Collega,

    sono tragicamente daccordo con te.

    Purtroppo, moltissimi operatori nel campo del diritto, avvocati, magistrati, professori universitari, funzionari di cancelleria non arrivano a capire che l’esercizio della giurisdizione, così come lo studio dello scibile giuridico, non può essere uno sterile gioco da tavolo da praticare con comodo dall’alto di lauti guadagni, ma significa incidere come con un bisturi nel corpo vivo della società, cioè sulla pelle dei cittadini. Da anni vado ripetendo a tutti, vox clamantis in deserto, che, premessa una radicale rivoluzione democratica delle istituzioni e della società italiana, che ponga finalmente al centro i diritti dei cittadini, stronchi i contropoteri occulti ed autoritari, ed affermi una volta e per tutte il principio che solo nella legalità vi è certezza del diritto, occorre una rivoluzione democratica e non demagogica dell’amministrazione della giustizia, che ponga al centro dell’attenzione il merito, l’attitudine, anzitutto morale dei soggetti chiamati a concorrere allo jus dicere, che attui finalmente una reale e sostanziale parità ed uguaglianza dei ruolo tra magistrato ed avvocato, a partire dalla formazione universitaria e dal reclutamento che deve essere attuato in forma unificata, dall’esercizio di controlli reali ed approfonditi sull’operato di entrambi, sull’applicazione di sanzioni disciplinari vere e dolorose, sull’affermazione del principio dello stare decisis, che, opportunamente calibrato, manda avanti la giustizia nei paesi di common lax, molto più democratici, funzionali e fedeli allo spirito ed alla tradizione romanistica del nostro del nostro. Ma soprattutto, una rivoluzione democratica basata su due cardini: intercambialità dei ruoli, figlia del comune reclutamento e della pari formazione, e temporaneità dell’incarico. Solo allorquando chi siede dietro una scrivania sarà veramente un pari degli avvocati che gli sono difronte, solo quando il suo incarico, delicatissimo, sarà a tempo determinato, per poi ritornare nei ranghi dell’avvocatura da cui proviene, si otterrà finalmente la democratizzazione della giustizia in questo benedetto stato e tante porcherie e meschinità giudiziarie finiranno. Per far questo, tuttavia, occorre dapprima rivoltare come un calzino la società, di cui le modalità di amministrazione della giustizia sono diretta ed immediata filiazione.Responsabilità, capacità, merito, attitudine, dignità, decoro questi sono i valori che dovrebbero informare il contegno degli operatori giudiziari.La realtà è sotto gli occhi di tutti: osservo qui a Napoli, ma anche nei fori circonvicini colleghi, giudici, personale di cancelleria e tante volte mi metto le mani nei capelli, provo repulsione per la professione e per la classe cui appartengo e per quelli che mi devono giudicare, che spesso non sanno un acca di ciò che gli sottopongo.Siamo troppi e male assortiti, questa è la realtà.L’impiego al Ministero della Giustizia o l’iscrizione all’Albo degli Avvocati o l’arruolamento come Giudice di Pace non può essere un ripiego, una sistemazione per tirare a campare, “perché dobbiamo campare tutti”. Non chiedo tutti Marco Tullio Cicerone, neppure ai suoi tempi erano tutti suoi pari, anzi, al contrario, ma che squallore, che squallore. Ma anche tutto questo è frutto di questa società malata. Cordialità e complimenti. Avv. Maurizio Reggi



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