L’onere della prova dei vizi e difetti della cosa venduta/realizzata

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In passato ho già affrontato la problematica relativa all’onere della prova dei vizi e difetti della cosa venduta o realizzata dall’appaltatore.

Tradizionalmente si è sempre affermato che detto onere grava sul compratore/committente, ma a seguito della sentenza delle Sezioni Unite del 2001 (la nota sentenza n. 13533/2001) si è formato un orientamento secondo cui trattandosi di responsabilità contrattuale  spetta al debitore/venditore/appaltatore l’onere di provare di avere eseguito la prestazione esattamente (Cass. 3373/2010).

“4.3. Ne consegue che nella fattispecie erroneamente il giudice di merito ha ritenuto che competesse all’attore fornire la prova che il gasolio acquistato era frammisto ad acqua e che l’acqua trovata nel serbatoio degli automezzi di esso attore provenisse proprio dai rifornimenti di carburante effettuati presso la convenuta.
All’attore competeva solo provare che aveva acquistato gasolio presso la stazione di servizio della convenuta e che tale gasolio era stato immesso nei due automezzi interessati dai lavori di riparazione per la rimozione dell’acqua frammista al carburante.
Competeva alla convenuta, che non aveva contestato la vendita di gasolio all’attore, provare che – contrariamente all’allegazione actorea – tale prodotto venduto aveva le qualità sue proprie e che non era frammisto ad acqua”.

Il che da un punto di vista pratico si traduce in una vera assurdità, in quanto il venditore/appaltatore avrebbe l’onere di dimostrare la circostanza negativa che la cosa/opera NON presenta vizi e o difetti. Non solo. Detto onere graverebbe nonostante il venditore/debitore nella maggior parte dei casi non disponga più della cosa!

Certo, si potrebbe dire: “ma tanto in questi casi viene disposta la CTU”, quindi alla fine non ha molta importanza. Sbagliato, perché anche se ciò è vero, non dobbiamo mai dimenticare che una volta attribuito l’onere della prova ad una parte, l’impossibilità di dimostrare la causa si ripercuote proprio sulla parte su cui grava l’onere.

Questa sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore si è posta il problema e ha correttamente concluso che spetta al compratore l’onere di provare l’esistenza di vizi e difetti della cosa venduta, e ciò in ossequio al principio della vicinanza della prova.

In passato, ecco come si è espressa la S.C. sul tema della “vicinanza della prova”

“… la distribuzione dell’onere della prova deve tener conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi o impeditivi del diritto, anche del principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, perché la copertura costituzione di cui gode il diritto di agire in giudizio a tutela delle proprie posizioni soggettive (art. 24 della Carta fondamentale del nostro Stato), impone di non interpretare la legge in modo da renderne impossibile o troppo difficile l’esercizio (confr. Cass. civ. 25 luglio 2008, n. 20484)”, Cass. civ. 10744/2009.

Principio, questo, di grande buon senso, ma troppo spesso dimenticato dalla stessa Corte.

 

Tribunale Nocera Inferiore, sez. I 07/02/2012

 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

La ME.RICAM srl ha convenuto in giudizio S. F., quale titolare dell’omonima ditta individuale di autotrasporti, chiedendo il pagamento della somma di lire 9.765.336, oltre interessi e rivalutazione, quale prezzo dei pezzi di ricambio per autoveicoli forniti al convenuto nel mese di febbraio dell’anno 2000.

Si è costituito S. F. il quale ha eccepito che le turbine acquistate dalla società attrice si sono rivelate difettose ed hanno causato la rottura del motore, con un danno complessivo per l’acquirente pari a lire 25.882.020. Ha, quindi, eccepito la compensazione del credito dedotto in giudizio con il proprio maggior controcredito ed ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna della venditrice al pagamento della differenza, pari a lire 11.116.684.

Tale essendo l’oggetto del contendere, appare evidente che il fatto costitutivo del credito per il cui pagamento la società attrice ha proposto azione deve ritenersi implicitamente ammesso dal convenuto.

Per ciò che concerne, invece, la garanzia per vizi fatta valere dal compratore, va anzitutto dichiarata la tardività dell’eccezione di decadenza sollevata dalla società attrice in quanto proposta solo in sede di propria comparsa conclusionale.

Invero, la decadenza dalla garanzia per vizi non è rilevabile d’ufficio ma deve essere eccepita dalla parte interessata e, pertanto, al pari di qualsiasi altra eccezione in senso stretto deve essere dedotta nei limiti preclusivi segnati dal codice di rito. Specificamente, nel caso di specie, la società attrice avrebbe dovuto eccepire la decadenza dall’azione di garanzia al più tardi nel corso dell’udienza di trattazione, ex art. 183 cpc, trattandosi di eccezione conseguente alle difese svolte dal convenuto.

Dovendo esaminare il merito, si impone una premessa in ordine al riparto dell’onere della prova.

In dottrina si reputa che, in coerenza con il principio generale di cui all’art. 2697 c.c. spetta al committente-acquirente l’onere di provare il vizio o la difformità dell’opera. In tal senso si è sempre pronunciata anche la giurisprudenza.

Tuttavia, nella materia in esame è intervenuta la sentenza resa dalle sezioni unite della Cass. n.13533/01 che, ai fini che qui interessano, ha fissato i seguenti principi: – a) il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; – b) tale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 inteso anche come inesatto adempimento.

La sentenza pone a carico del creditore che agisce per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, non solo la prova dell’adempimento della propria obbligazione, ma anche la prova dell’esatto adempimento e, quindi, sembrerebbe applicabile anche alle ipotesi di vizi o difformità dell’opera, in quanto riconducibili alla categoria dell’inesatto adempimento.

In seguito alla richiamata sentenza, si sono determinate, nella giurisprudenza di merito notevoli incertezze circa l’individuazione del soggetto su cui incombe l’onere della prova in tema di vendita e di appalto.

A parere di questo giudice l’onere della prova dell’esistenza dei vizi nella vendita incombe sull’acquirente; il che trova conforto, non solo in alcune pronunce giurisprudenziali successive al dictum delle Sezioni Unite (per la giurisprudenza di merito, cfr., Trib. Monza 10 gennaio 2005, in Redazione Giuffrè e Trib. Bologna 21 maggio 2007 in Resp. Civ. e Prev. fasc. 5, 2006 pag. 1139; per la giurisprudenza di legittimità, si veda Cass. 12 giugno 2007 n. 13695), ma nello stesso criterio della “vicinanza della prova” enunciato dal Supremo Collegio nella decisione innanzi richiamata, per il quale l’onere della prova va ripartito tenendo conto in concreto della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione (così, anche Trib. Bologna cit., a cui avviso: “In caso invece di adempimento inesatto, cioe` di prestazione viziata, l’esistenza dei vizi sarebbe una prova positiva per il creditore e la loro inesistenza una prova negativa per controparte; inoltre, poiche´ il bene o l’opera oggetto della prestazione sono entrati nella sfera del creditore, anche secondo il principio di prossimità è logico ritenere che debba essere quest’ultimo a dimostrarne i vizi. Diversamente si prospetterebbero fattispecie di prova pressoché impossibile per il debitore, come nel caso, assai frequente e ricorrente anche nella vicenda in esame, in cui il bene o l’opera siano stati poi oggetto di interventi e rimaneggiamenti da parte di terzi, disposti dal creditore che, appunto, li ha nella propria sfera di disponibilità”)

E’ evidente, allora, che avvenuta la consegna della cosa, il venditore si viene a trovare nella impossibilità (o, comunque, nella difficoltà) di dimostrare che il bene era immune da vizi e regolarmente funzionante, laddove, invece, tale prova può essere fornita agevolmente dal compratore, il quale si trova nel possesso della cosa e ben può richiedere l’accertamento dei difetti, anche ai sensi dell’art. 1513 c.c.

Anzi, proprio quest’ultima norma – a sommesso parere dell’odierno giudicante – convince di quanto sopra affermato, derivando la stessa dal previgente art. 71 del codice di commercio del 1882, il cui ultimo comma prevedeva che il compratore il quale non si fosse giovato del procedimento di verifica dovesse provare rigorosamente l’identità ed i vizi della merce. Ovviamente – come meglio ha precisato la giurisprudenza – il mancato ricorso alla procedura di cui agli artt. 1513 cod. civ. e 696 e ss cod. civ. (accertamento dei difetti della cosa venduta), seppur non comporta alcuna preclusione o limitazione circa i mezzi di prova utilizzabili per dimostrare i difetti della cosa oggetto di vendita, determina quale conseguenza che, in caso di contestazione, la prova deve essere particolarmente rigorosa, cioè tale da generare nel giudice un convincimento pieno e preciso, senza alcun riguardo alla difficoltà in cui la parte interessata possa trovarsi per non essersi avvalsa della facoltà di provocare un accertamento giudiziale preventivo (così, Cass. 6767/94).

Ebbene, nella fattispecie in esame, le risultanze istruttorie non consentono di pervenire a siffatto convincimento circa la presenza dei difetti lamentati dal convenuto.

Invero, il fatto (da ritenersi dimostrato sulla base della prova orale assunta in giudizio) che l’autotreno abbia subito un guasto dopo il montaggio delle turbine non prova affatto che i beni acquistati fossero viziati o difettati, ben potendo l’arresto del veicolo trovare altre diverse cause (ad esempio, l’errato montaggio delle turbine o un difetto del motore); né, ai fini, della decisione ci si può affidare al giudizio tecnico espresso dai testimoni, di cui, oltretutto, si ignora la specifica preparazione ed esperienza. Neppure è consentito procedere ad un ulteriore approfondimento istruttorio della vicenda mediante apposito incarico peritale (così come sollecitato dal convenuto nel corso della discussione orale, che solo in quella sede ha reiterato la propria istanza di nomina di un CTU, non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni) non essendo più disponibile la merce acquistata.

In conclusione, in ragione delle considerazioni che precedono, non essendovi prova dell’esistenza dei vizi e difetti dedotti dal convenuto, la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto deve essere disattesa, mentre merita accoglimento quella di pagamento avanzata dalla società attrice e, pertanto, S. F. va condannato al pagamento della somma di euro 5.043,38 (lire 9.765.336), oltre interessi legali a decorrere dalla domanda (e, quindi, dalla notifica dell’atto di citazione, eseguita il 26 luglio 2000). Trattandosi di obbligazione di valuta, nulla può essere riconosciuto a titolo di rivalutazione, posto che, pur alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. 19499/08), la parte non può limitarsi a chiedere la rivalutazione della domanda, ma deve pur sempre richiedere e dedurre il maggior danno da svalutazione (cfr., Cass. 16871/08).

Le spese seguono la soccombenza e, in mancanza della nota di parte, si liquidano d’ufficio come da dispositivo, con la precisazione che i diritti di procuratore vanno liquidati sulla base della tariffa vigente al momento della singola prestazione, mentre gli onorari di avvocato, in considerazione del carattere unitario dell’attività difensiva, devono essere determinati in base alla tariffa in vigore al momento in cui l’opera complessiva è stata condotta a termine, con l’esaurimento dell’incarico professionale.

P.Q.M.

Il Tribunale di Nocera Inferiore, in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott. Salvatore Di Lonardo, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da ME.RICAM. srl contro S. F., nel procedimento iscritto al n. 1853/2000 RG, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

– a) accoglie la domanda proposta dalla ME.RICAM. srl e, per l’effetto, condanna S. F. al pagamento, in favore della società attrice, della somma di euro 5.043,38, oltre interessi legali a decorrere dal 26 luglio 2000;

– b) rigetta la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto;

– c) condanna S. F. al pagamento delle spese di lite che si liquidano nella misura complessiva di euro 3.193,70, di cui euro 125,29 per esborsi, euro 1.458,41 per diritti ed euro 1.610,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Nocera Inferiore il 7 febbraio 2012

Il Giudice

dott. Salvatore Di Lonardo


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. Nicola

    Il mio non è un commento ma una riflessione: la sentenza sopra citata è applicabile all’appalto privato? Salve



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