Di seguito un mio videointervento sulla questione; prima, però, leggete questo passo tratto da una recente sentenza della Cassazione (20216/2012):
«Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato e non a conseguirlo.
Ne consegue che l’inadempimento del medesimo non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza, per la valutazione del quale trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata (Cass. 13-1- 2005 n. 583; Cass. 9-11-2006 n. 23918); sicchè la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso essa è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave (tra le tante v. Cass. 7-4-2006 n. 8291; Cass. 8-8-2000 n. 10431; Cass. 14-8-1997 n. 7618). La violazione del dovere di diligenza comporta inadempimento contrattuale e determina, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso (cfr. Cass. 22- 10-2007 n. 22087; Cass. 23-4-2002 n. 5928; n. 499 del 2001).
Nella specie, il Tribunale ha ritenuto che dalla “lettura della CTU” e dalle “risultanze istruttorie” emergeva “agevolmente il difetto di diligenza e del necessario livello di competenza professionale messo in evidenza dall’appellato nell’adempiere all’incarico ricevuto”;
difetto che, secondo il giudice di appello,, si è tradotto nella “sostanziale inutilizzabilità della relazione ai fini per cui la stessa era stata commissionata”, e la cui gravità è “denunziata – se ve ne fosse bisogno – dal significativo rifiuto opposto dal medico aziendale di sottoscrivere il documento elaborato dallo Studio P.”.Nel pervenire a tali conclusioni, peraltro, il giudice del gravame, pur avendo fatto riferimento al criterio della diligenza, rapportato alla competenza professionale) non ha specificato su quali “risultanze istruttorie” abbia basato il proprio convincimento; nè ha richiamato le parti essenziali della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, dalle quali, a suo parere, emergeva pacificamente una valutazione negativa circa la prestazione resa dallo Studio P..
Orbene, premesso che, per le ragioni innanzi esposte, l’inadempimento dell’attore non poteva trarsi di per sè dalla mancata sottoscrizione del documento da parte del medico aziendale, non par dubbio che, ai fini della valutazione della diligenza impiegata nella prestazione, si sarebbe reso necessario un maggiore approfondimento, anche in considerazione dei puntuali rilievi svolti dall’appellato. Come si evince dalla lettura della stessa sentenza impugnata, infatti, nella comparsa di costituzione in appello lo Studio P. aveva dedotto, in particolare, che dall’elaborato redatto dal C.T.U. si evinceva l’adeguatezza della relazione sui rischi da esso redatta, avendo il consulente tecnico dato atto che tale relazione era “molto ampia ed affronta in modo competente le varie tematiche poste e in particolare quelle relative ai fattori di nocività di rischio”.
Tali rilievi non sono stati presi in alcuna considerazione dal Tribunale, il quale ha riformato la sentenza di primo grado senza minimamente preoccuparsi di confutare le argomentazioni svolte dallo Studio Peroni e di esplicitare il ragionamento seguito nel ritenere sfavorevole all’appellato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio.
La motivazione resa, pertanto, si palesa insufficiente e inidonea a fornire un valido supporto argomentativo alla decisione.
Sussiste, infatti, il vizio di motivazione quando il giudice, come nel caso in esame, non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento, rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. 20-7-2012 n, 12664).
Di conseguenza, s’impone la cassazione della sentenza impugnata, affinchè nel giudizio di rinvio si provveda ad emendare le riscontrate carenze motivazionati. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente grado di giudizio».
caro avvocato, ma se l’avvocato mi dice…..”hai ragione al centopercento”, vincerai la causa……e poi perdo la causa senza pergiunta che il convenuto si sia neppure costituito?? che obbligazione si tratta di mezzi o risultati??
@Luigirai: salvo che il giudice non abbia commesso violazione di legge, c’è una responsabilità manifesta