Una signora porta il suo amato gatto dal veterinario, per farlo sterilizzare, ma dopo un mese dall’intervento l’animale muore per una infezione sviluppatasi dalla ferita.
La signora si rivolge così al Tribunale per chiedere il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali.
Interessanti le osservazioni del Tribunale di Roma (sent. 14 febbario 2007) circala non configurabilità di un danno psichico e di un danno morale.
Queste le argomentazioni:
Omissis
3.2. Danno biologico.
L’attrice ha allegato che a causa della morte del proprio gatto ha patito un danno alla salute, consistito in una sindrome depressiva.
Tale domanda è infondata in iure, e comunque non provata in facto.
3.2.1. L’infondatezza in diritto discende da due ragioni.
La prima ragione è che ammalarsi di mente (la sindrome depressiva è infatti una malattia mentale secondo la nosografia psichiatrica generalmente condivisa di cui al trattato noto come DSM-IV) per la morte d’un animale non può certo ritenersi un evento normale alla stregua dell’id quod plerumque accidit. Di conseguenza, esso non è risarcibile, perché in materia di inadempimento contrattuale sono risarcibili solo i danni prevedibili al momento in cui l’obbligazione fu assunta (art. 1225 c.c.).
La seconda ragione è che è acquisizione nota e condivisa, sia nella scienza psichiatrica che in quella medico legale, che il danno psichico quasi mai scaturisce da un solo fattore lesivo: oltre al trauma (inteso sia in senso materiale quale trauma diretto, sia in senso immateriale quale evento shockante), normalmente concorrono alla produzione del danno la personalità del soggetto, l’ambiente in cui è vissuto, le sue precedenti esperienze.
La medicina legale è concorde nell’affermare che il nesso causale in tema di danno psichico abbia natura multifattoriale (o plurifattoriale), e cioè dipenda da più cause che interagiscono tra loro, quali fattori organici, costituzionali, ereditari, tossici, ambientali, economici, sociali, familiari, ecc..
Da ciò discende che – anche ad ammettere la effettiva sussistenza, nel caso di specie, di una malattia psichica – poiché la morte di un animale è un evento normalmente non traumatico per qualsiasi persona di normale sensibilità, esso non può avere agito che quale occasione, e non causa del danno, scatenando una fragilità intrapsichica preesistente e come tale non imputabile alla condotta del convenuto.
3.2.2. Come si accennava, la domanda di risarcimento del danno biologico, oltre che priva di fondamento giuridico, è comunque infondata in diritto, per varie ragioni. L’attrice ha inteso documentare l’esistenza di una malattia psichica attraverso due certificati medici. Tali certificati non sono creduti da questo Tribunale, perché
– è singolare che chi lamenti un disturbo psichico si rivolga ad un chirurgo estetico (tale è la specializzazione del medico che ha sottoscritto i documenti all.ti sub 10 e ss. al fasc. attoreo);
– è singolare che tali certificati prescrivano “cure del caso”, che non risultano mai eseguite;
– è singolare che chi a distanza di due anni dall’evento stressante (tanti ne sono passati tra la morte del gatto e la scadenza del termine ex art. 184 c.p.c.) ancora alleghi disturbi psichici, non abbia mai sentito medio tempore l’esigenza di sottoporsi a cure od esami clinici.
3.3. Danno non morale.
Il danno non patrimoniale – comunemente ma inesattamente definito “morale” – non è nel caso di specie risarcibile, in quanto la condotta del convenuto non integra gli estremi di alcun reato (art. 2059 c.c. e 185 c.p.).
Né può soccorrere la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., affermata da Cass. 31.5.2003 n. 8827 e Cass. 31.5.2003 n. 8828, ambedue in Danno e resp., 2003, 816 e ss.), nonché da Corte cost., 11.7.2003 n. 233, in Danno e resp., 2003, 939, in quanto la morte di un animale non costituisce lesione di alcun valore della persona costituzionalmente protetto.
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