L’inadempimento del contratto (parte I)

Mirco Minardi

Anno nuovo approfondimento nuovo. Lexform.it apre il 2011 con l’approfondimento di una tematica fondamentale: quello dell’inadempimento contrattuale, con il solito taglio “asciutto” e pratico.

Introduzione.

Il debitore deve eseguire esattamente la prestazione, altrimenti è inadempiente.

L’inadempimento della parte può essere totale (mancando tout court la prestazione) o parziale; in questo ultimo caso parliamo di “inesatto adempimento”.
Esso è definitivo, quando la prestazione non potrà più essere eseguita, mentre è temporaneo in caso contrario.

In caso di inadempimento definitivo il risarcimento del danno, evidentemente, si sostituisce alla prestazione rimasta inadempiuta, mentre in caso di inadempimento temporaneo il risarcimento può aggiungersi alla prestazione non adempiuta.

L’inesatto adempimento può riguardare le modalità di tempo, luogo, quantità, qualità della prestazione; ovvero anche la persona del destinatario della prestazione.

In linea generale, a fronte dell’inadempimento di una parte, il codice assegna a quella adempiente tre strumenti (cfr. art. 1453, 1° co. c.c.):

a) la risoluzione del contratto;
b) l’adempimento del contratto;
c) il risarcimento del danno (solo o in aggiunta ai rimedi sub a) e b)).

Tuttavia non sempre l’inadempimento può giustificare la risoluzione del contratto; ciò accade in linea generale quando l’inesatta prestazione ha scarsa importanza per il creditore (art. 1455 c.c.); così nel contratto di appalto la presenza di vizi o difetti può giustificare la risoluzione solo qualora l’opera sia del tutto inadatta alla sua destinazione (art. 1668, 2° co. c.c.); nella compravendita gli usi possono escludere la risolubilità per alcuni vizi (art. 1492, 1° co. c.c.); nella somministrazione occorre che l’inadempimento abbia “notevole importanza e sia tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti” (art. 1564 c.c.).

Così pure non sempre è possibile ottenere l’adempimento esatto della prestazione non eseguita; così ad esempio, il compratore non consumatore non può chiedere l’eliminazione dei vizi o difetti della cosa ma solo la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno.

Può invece sempre richiedersi il risarcimento del danno, sempre che, naturalmente, vi sia un danno risarcibile.

L’avvocato, pertanto, deve prestare molta attenzione: l’1453 c.c si applica sì ad ogni contratto, ma fatta salva la disciplina specifica prevista per ciascun contratto tipico che, in quanto speciale, prevale sulla norma generale.

Ai rimedi previsti dall’art. 1453 c.c. occorre poi aggiungere:

d) la riduzione della prestazione, tipizzata nella disciplina di alcuni contratti (ad esempio nella vendita e nell’appalto) ma ritenuta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite rimedio di carattere generale volto a salvaguardare l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, come avviene, ad esempio, nel caso dell’impossibilità sopravvenuta parziale, che attribuisce, in primo luogo, un diritto della controparte a domandare soltanto una corrispondente riduzione della controprestazione;
e) il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra.

Domani la II parte.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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