Lavori urgenti in un condominio minimo: è vietata la giurisdizione contenziosa.

Mirco Minardi
Tizio e Caio sono condòmini di un condominio minimo, cioè composto di due sole unità immobiliari.
Tizio conviene in giudizio Caio affinché sia condannato ad eseguire, in comune con lui, lavori asseriti come necessari e consistenti nella ricostruzione di parti comuni, fra le quali lo spazio antistante, il muro di confine, la terrazza.
La domanda viene però rigettata dal Tribunale di Messina sulla base delle seguenti (a mio avviso corrette) osservazioni:
  • la giurisprudenza di legittimità afferma che “la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti;
  • ciò sia con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna,  sia, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni” (Cass. Sez. Un. n. 2046/06).
  • In base a tale principio, la gestione – in senso lato – delle parti comuni dellʼedificio composto dagli appartamenti di proprietà delle parti in causa è soggetta in linea di massima alla disciplina dettata dal codice in materia di condominio.
  • Solo le norme procedimentali sul funzionamento dellʼassemblea condominiale sono inapplicabili al condominio minimo che pertanto resta regolato dagli artt. 1104, 1105, 1106 c.c.” (v. Cass. n. 13371/05).
  • Il condòmino, pertanto, anteriormente allʼinstaurazione della causa, ha l’onere di sollecitare la collettività condominiale a esprimersi, con il rispetto delle regole procedurali fissate dallʼart. 1105 c.c., in ordine ai lavori che lui riteneva necessari o anche solamente utili od opportuni.
  • Pertanto “in materia di comunione, non sono proponibili azione giudiziarie relativamente alle spese ed allʼamministrazione delle cose comuni (in questa compresi gli atti di conservazione) prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dellʼassemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, sia che si tratti di spese voluttuarie o utili, che di spese necessarie, distinguendo la legge (ai fini della prescrizione, rispettivamente, della deliberazione a maggioranza semplice e di quella a maggioranza qualificata) unicamente tra spese di ordinaria amministrazione (art. 1105 c.c.) e spese concernenti innovazioni o atti di straordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.).
  • Peraltro, mentre la deliberazione di maggioranza è impugnabile davanti al giudice, in via contenziosa, ove lesiva dei diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, resta salva la possibilità, una volta convocata lʼassemblea, in caso di omessa iniziativa della medesima e di mancata formazione di una volontà a maggioranza o di omessa esecuzione della deliberazione, di rivolgersi al giudice, non già in sede contenziosa, ma di volontaria giurisdizione, ai sensi del quarto comma dellʼart. 1105 citato” (Cass. Sez. Un. n. 4213/82).
  • I  passaggi sequenziali possono essere pertanto così scanditi:
    • lʼart. 1139 c.c. stabilisce che, per quanto non espressamente previsto nella disciplina specifica, si osservano in materia di condominio le norme sulla comunione in generale;
    • il condominio composto da due soli partecipanti è regolato in linea di massima dalla disciplina sul condominio;
    • a detta fattispecie si applicano però, per quanto attiene alla formazione della volontà dell’organo decisionale, in virtù del rinvio di cui allʼart. 1139 c.c., le disposizioni di cui allʼart. 1105 c.c., e non quelle di cui allʼart. 1136 c.c.;
    • per le ipotesi in cui non si prendano i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza o se la deliberazione adottata non venga eseguita, il partecipante – dunque uno dei due condomini – può ricorrere all’autorità giudiziaria nelle forme della giurisdizione volontaria (art. 1105, comma 4 c.c.), e non invece seguendo la via della giurisdizione contenziosa; ne consegue che non sono proponibili azioni giudiziarie di tipo contenzioso relativamente all’amministrazione delle cose comuni (estesa agli atti conservativi o migliorativi) ovvero azioni giudiziarie di tipo non contenzioso prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dell’assemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, indipendentemente dal carattere – necessario, utile o voluttuario – delle spese di cui si tratta.
Tribunale Messina, sez. I 30/03/2012 n. 706
C. F., proprietario di una unità immobiliare compresa in un edificio composto anche da altra unità immobiliare appartenente a M. F., G. F., N. F. e L. F., ha chiesto che questi venissero condannati ad eseguire, in comune con lui, lavori asseriti come necessari e consistenti nella ricostruzione di parti comuni, fra le quali lo spazio antistante, il muro di confine, la terrazza.
M. F., G. F., N. F. e L. F. hanno resistito alla domanda sostenendo che, trattandosi nella specie di condominio c.d. minimo, ogni decisione in ordine alle spese per la manutenzione e la conservazione sarebbe dovuta passare attraverso lʼassemblea e che, in caso di inerzia o di risposta negativa, si sarebbe dovuta intraprendere la strada del giudizio non contenzioso. Essi hanno poi evidenziato come alcune delle opere volute dallʼaltra parte avevano carattere di innovazioni e hanno rappresentato che la terrazza, divisa in due in corrispondenza degli immobili sottostanti (separati) era oggetto di proprietà esclusive.
La domanda non può essere accolta.
È pacifico che lʼedificio, composto di più unità immobiliari, appartenga nel suo complesso per metà allʼattore e per metà, per quote indivise, ai convenuti. Lʼedificio ha inoltre delle parti comuni: le scale, lʼandrone, la striscia di terreno sita nella proiezione dellʼandrone, lʼimpianto fognario.
Si tratta dunque di un c.d. condominio minimo.
Tale qualificazione non è impedita dal fatto che lʼedificio si eriga per due piani, ciascuno dei quali composto da due appartamenti sovrapposti. Ciò che rileva è infatti non la componente oggettiva, cioè il numero delle unità immobiliari, ma la componente soggettiva, cioè lʼesistenza di due soli centri personali di imputazione della proprietà (e non importa che un centro sia plurisoggettivo).
Afferma la giurisprudenza di legittimità che “la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo lʼimpossibilità di applicare, in tema di funzionamento dellʼassemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie allʼunanimità, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni” (Cass. Sez. Un. n. 2046/06).
In base a tale principio, la gestione – in senso lato – delle parti comuni dellʼedificio composto dagli appartamenti di proprietà delle parti in causa è soggetta in linea di massima alla disciplina dettata dal codice in materia di condominio.
Per quanto attiene al funzionamento dellʼorgano decisorio si è puntualizzato che “in base allʼart. 1139 c.c., la disciplina del capo II del Titolo VII del terzo libro del c.c. (artt. 1117-1138) è applicabile ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche, ai cosiddetti “condomini minimi”, e cioè a quelle collettività condominiali composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole norme procedimentali sul funzionamento dellʼassemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli artt. 1104, 1105, 1106 c.c.” (Cass. n. 13371/05, la quale, con riferimento alla ripartizione delle spese necessarie alla conservazione dellʼedificio condominiale, ha ritenuto applicabile la disciplina dettata in materia di condominio, anche se lo stesso era composto da due soli partecipanti).
In particolare, può dirsi acquisito il principio per cui nellʼipotesi di condominio minimo è applicabile lʼart. 1105 c.c., che stabilisce le regole di amministrazione della cosa comune (cfr. Cass. n. 16075/07; nello stesso senso, Cass. n. 4721/01).
Ciò significa che il F. avrebbe dovuto, anteriormente allʼinstaurazione della causa, sollecitare la collettività condominiale a esprimersi, con il rispetto delle regole procedurali fissate dallʼart. 1105 c.c., in ordine ai lavori che lui riteneva necessari o anche solamente utili od opportuni.
Secondo una remota sentenza, pronunciata dalla Suprema Corte in sede di nomofilachia, “in materia di comunione, non sono proponibili azione giudiziarie relativamente alle spese ed allʼamministrazione delle cose comuni (in questa compresi gli atti di conservazione) prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dellʼassemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, sia che si tratti di spese voluttuarie o utili, che di spese necessarie, distinguendo la legge (ai fini della prescrizione, rispettivamente, della deliberazione a maggioranza semplice e di quella a maggioranza qualificata) unicamente tra spese di ordinaria amministrazione (art. 1105 c.c.) e spese concernenti innovazioni o atti di straordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.). Peraltro, mentre la deliberazione di maggioranza è impugnabile davanti al giudice, in via contenziosa, ove lesiva dei diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, resta salva la possibilità, una volta convocata lʼassemblea, in caso di omessa iniziativa della medesima e di mancata formazione di una volontà a maggioranza o di omessa esecuzione della deliberazione, di rivolgersi al giudice, non già in sede contenziosa, ma di volontaria giurisdizione, ai sensi del quarto comma dellʼart. 1105 citato” (Cass. Sez. Un. n. 4213/82).
Si delinea allora un percorso logico, fedele al sistema normativo, i cui passaggi sequenziali possono essere così scanditi: lʼart. 1139 c.c. stabilisce che, per quanto non espressamente previsto nella disciplina specifica, si osservano in materia di condominio le norme sulla comunione in generale; il condominio composto da due soli partecipanti è regolato in linea di massima dalla disciplina sul condominio; a detta fattispecie si applicano però, per quanto attiene alla formazione della volontà dell’organo decisionale, in virtù del rinvio di cui allʼart. 1139 c.c., le disposizioni di cui allʼart. 1105 c.c., e non quelle di cui allʼart. 1136 c.c.; per le ipotesi in cui non si prendano i provvedimenti necessari per lʼamministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza o se la deliberazione adottata non venga eseguita, il partecipante – dunque uno dei due condomini – può ricorrere all’autorità giudiziaria nelle forme della giurisdizione volontaria (art. 1105, comma 4 c.c.), e non invece seguendo la via della giurisdizione contenziosa; ne consegue che non sono proponibili azioni giudiziarie di tipo contenzioso relativamente allʼamministrazione delle cose comuni (estesa agli atti conservativi o migliorativi) ovvero azioni giudiziarie di tipo non contenzioso prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dellʼassemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, indipendentemente dal carattere – necessario, utile o voluttuario – delle spese di cui si tratta.
Nel caso di specie, è incontestato che né F. né altri ha mai invitato o sollecitato gli altri comproprietari, costituenti insieme un’unica “parte”, a deliberare in ordine agli atti di amministrazione delle cose comuni. Né risulta che almeno un tentativo di deliberazione sia mai stato suscitato nel rispetto delle forme procedimentali regolate dall’art. 1105 c.c..
Non si potrebbe nemmeno sostenere – in ipotesi – che l’inerzia sia insita nella contestazione opposta dai convenuti nella sede processuale: la previa convocazione dell’assemblea dei partecipanti e l’informazione da fornire a questi circa l’oggetto della discussione costituiscono passaggi dotati di specifica rilevanza sul piano sostanziale e che devono essere necessariamente attraversati prima che, nel caso di inerzia, si approdi alla soluzione giudiziaria.
In linea con l’analisi qui svolta, si è ad esempio sostenuto – nella giurisprudenza di merito – che nel caso di piccolo condominio (formato da non più di quattro condomini), per il quale non è necessaria la nomina di un amministratore (art. 1129 c.c.), o in tutti i casi in cui si trovi comunque a mancare, per qualsiasi causa, tale organo, la legittima pretesa di quello tra i condomini che, proprietario dellʼappartamento sottostante al lastrico e danneggiato dalle infiltrazioni dallo stesso proveniente per difetto di manutenzione, intenda ottenere lʼordine di esecuzione dei lavori necessari allʼeliminazione delle cause del danno, non può trovare immediata tutela in forma contenziosa nei confronti di ognuno degli altri condomini in quanto tali, ancorché si tratti del proprietario del lastrico solare: ciò perché essi non sono tenuti allʼesecuzione diretta dei lavori medesimi, il che postula piuttosto la formazione, in sede di volontaria giurisdizione, della mancante volontà comune di eseguire i lavori e la individuazione di un suo unitario rappresentante ed esecutore in base allʼart. 1105, comma 4 c.c. (Trib. Messina 11 dicembre 2002, in In iure praesentia 2003, I, 71; cfr. inoltre Cass. n. 7613/97).
Può essere in conclusione formulato il seguente principio di diritto: anche nel caso di condominio c.d. minimo (composto cioè da due soli partecipanti), qualora non si prendano i provvedimenti necessari per lʼamministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza o se la deliberazione adottata non venga eseguita, il partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria nelle forme della giurisdizione volontaria ai sensi dell’art. 1105, comma 4 c.c., e non invece seguendo la via della giurisdizione contenziosa; ne consegue che non sono proponibili, relativamente allʼamministrazione delle cose comuni, né azioni giudiziarie di tipo contenzioso né, prima che sia stata sollecitata e provocata una deliberazione dellʼassemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, indipendentemente dal carattere delle spese di cui si tratta, azioni giudiziarie di tipo non contenzioso.
La domanda attorea va pertanto dichiarata improponibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
PQM
il Tribunale in composizione monocratica, uditi i procuratori delle parti, pronunciando definitivamente sulla domanda proposta da C. F. contro M. F., G. F., N. F. e L. F. con lʼatto notificato nelle date 6.4.2006, 7.4.2006 e 21.4.2006,
dichiara improponibile la domanda;
condanna C. F. a rimborsare a M. F., G. F., N. F. e L. F. le spese di lite che liquida in euro 4.000,00 per onorari ed euro 1.162,00 per diritti, oltre spese generali, C.P.A. e I.V.A. secondo legge;
pone definitivamente a carico di C. F. le spese della consulenza tecnica d’ufficio.
Così deciso in Messina il 30 marzo 2012.
Il Giudice Dott. Giuseppe Bonfiglio
Depositato in cancelleria il 30 marzo 2012.

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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. Luca

    Sentenza interessante ed attuale anche alla luce della recente riforma.



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