È ricorrente in giurisprudenza l’affermazione secondo cui il potere di ammettere la consulenza è discrezionale[1]. Dunque è il giudice che valuta l’opportunità, la necessità, la rilevanza e l’ammissibilità di una consulenza tecnica, senza che occorra un’istanza di parte.
Trattandosi di potere discrezionale, l’eventuale richiesta della parte va considerata come una mera sollecitazione rivolta al giudice, affinché eserciti il suo potere[2]. Si afferma, pertanto, che con riferimento ad una richiesta di consulenza tecnica non si pone mai un problema di tardività o di preclusioni, da cui la possibilità di formulare la relativa istanza anche all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni[3].
Del pari, il giudice gode di ampia discrezionalità:
- nell’individuare la persona fisica del consulente[4];
- nell’individuare la categoria cui deve appartenere il consulente[5];
- nel formulare i quesiti[6];
- nello stabilire il termine per il deposito della perizia[7];
- nello stabilire se chiamare il consulente a chiarimenti, se rinnovare le indagini, oppure se sostituirlo con altro tecnico[8].
Il giudice è però tenuto a motivare sia in ordine all’ammissione della consulenza che al diniego della stessa, ma tale motivazione può anche essere implicitamente desumibile dal complesso delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato da lui effettuate[9].
Il giudice può omettere la consulenza anche quando egli stesso possieda le cognizioni di carattere tecnico per valutare gli elementi di fatto o per risolvere le questioni insorte. Ciò che conta è che motivi adeguatamente le proprie conclusioni[10] e dimostri di avere risolto in modo competente i risvolti tecnici della decisione[11].
Ovviamente, il provvedimento di ammissione o meno della CTU non è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di atto che non contiene alcuna decisione in senso giuridico, non potendo pregiudicare in alcun modo la decisione della causa, in quanto strumentale ad essa, ed essendo, inoltre, revocabile o modificabile dal giudice che l’ha emesso[12].
Vi sono tuttavia dei casi in cui il potere discrezionale del giudice trova un limite.
Il primo limite si ha quando è la legge stessa a prevedere la nomina obbligatoria di un consulente, come, ad esempio, nei seguenti casi:
- art. 445 c.p.c. in materia di prestazioni di previdenza ed assistenza;
- art. 599 cod. nav. in materia di sinistri marittimi.
In tutte le ipotesi nelle quali vige l’obbligo di rimettere accertamenti e valutazioni tecniche al consulente, permane comunque il potere e dovere del giudice di delimitare l’incarico, individuando gli aspetti controversi il cui accertamento è necessario per risolvere la lite, formulando i relativi quesiti ed esercitando tutti i poteri di direzione e controllo delle operazioni peritali che gli sono conferiti dalla legge[13].
Ma vi è un secondo e ben più importante limite di elaborazione giurisprudenziale. Il giudice è, infatti, tenuto a nominare un consulente tecnico ogni qual volta la consulenza sia l’unico o quanto meno il principale mezzo per accertare i fatti dedotti in giudizio, cioè per permettere alla parte l’assolvimento dell’onere della prova[14].
Di recente la Cassazione[15] ha testualmente affermato che «il giudice al quale sia chiesto di ammettere una consulenza tecnica si trova di fronte a due possibilità: a) può ritenere che la decisione della controversia non implichi necessariamente la risoluzione di questioni tecniche ovvero che la causa possa essere decisa con l’ausilio di cognizioni proprie e di nozioni di comune esperienza, nel qual caso egli non ammette la c.t.u.; b) può ritenere che la decisione della controversia implichi specifiche cognizioni tecniche, nel qual caso è tenuto ad ammettere la c.t.u., senza possibilità di rifiutarla, ricorrendo ad argomentazioni di stile e prive di reale consistenza (v. Cass. n. 10007/2008), a meno che non possa decidere la causa sulla base degli elementi istruttori già acquisiti, quando le richieste indagini tecniche siano irrilevanti o non tali da giustificare il contributo di un consulente. In entrambi i casi, il provvedimento che disponga o rifiuti di ammettere la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, sempre che il giudice abbia adeguatamente motivato, in senso affermativo o negativo, sul fatto che per decidere la causa sia necessario possedere nozioni tecniche qualificate».
In materia di contenzioso bancario, poi, è stato affermato[16] che «quando la parte chieda una consulenza contabile sulla base di una produzione documentale, il giudice non può qualificare come esplorativa la consulenza senza dimostrare che la documentazione esibita sarebbe comunque irrilevante. Ciò perché ha natura esplorativa solo la consulenza finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega, non la consulenza intesa a ricostruire l’andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza». Aggiungendosi che «è consentito derogare finanche al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative, quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse».
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Pertanto, quando la consulenza è fonte di prova e di accertamento di situazioni di fatto, il giudice può decidere di non ammettere la consulenza nella sola ipotesi in cui egli abbia già acquisito elementi sufficienti a fondare il proprio convincimento[17]. Ad esempio, nel caso deciso da Cass. civile, sez. III, 04 giugno 2007, n. 12930 i giudici di primo e secondo grado avevano rigettato la richiesta di CTU in quanto l’attore aveva domandato il risarcimento dei danni della sua autovettura a causa di un incidente, ammettendo l’esistenza di un altro danneggiamento avvenuto pochi mesi prima, ma non aveva specificato se l’auto fosse stata o no riparata. Secondo i giudici era dunque impossibile demandare al consulente di accertare le condizioni del veicolo prima del sinistro. La S.C. ha confermato la sentenza del tribunale.
La motivazione del diniego della CTU può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal giudice[18]. In ogni caso, egli dovrà motivare adeguatamente la decisione adottata, evitando argomentazioni di stile e prive di reale consistenza[19].
Qualora, invece, il giudice, senza essere in possesso di elementi probatori sufficienti, rinunci all’espletamento della consulenza e allo stesso tempo rigetti la domanda per difetto di prova, la sentenza sarà viziata e censurabile anche in sede di legittimità[20].
In ogni caso, la parte che denunzi la mancata ammissione di una consulenza tecnica ha l’onere di specificare e dimostrare sotto il profilo del nesso causale in che modo l’espletamento del detto mezzo avrebbe potuto far pervenire ad una decisione diversa da quella adottata[21].
Alla luce di quanto sino ad ora detto possiamo così riassumere i principi affermati in giurisprudenza:
- quando la CTU consenta di valutare fatti o risolvere questioni di carattere tecnico, la sua ammissione rientra nel potere discrezionale del giudice, che deve essere esercitato dando conto in maniera adeguata dei motivi per cui ritiene di dover o non dover disporre la consulenza; l’istanza di parte, in questi casi, non rappresenta una vera e propria richiesta istruttoria, quanto piuttosto una sollecitazione rivolta al giudice;
- allorquando la consulenza rappresenti l’unico mezzo per accertare determinati fatti o nei casi in cui l’accertamento con i tradizionali mezzi di prova sia particolarmente difficile, essa diventa un mezzo istruttorio vero e proprio che, in quanto tale, impegna il giudice ad ammetterla, salvo che il fatto debba ritenersi già provato o la domanda sia da rigettare per altre ragioni.
Ma in quali casi un fatto può essere accertato solo mediante la consulenza di un tecnico? È ciò a cui cercheremo di rispondere nel prossimo capitolo.
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[1] Scrive giustamente Cataldi, La ctu …, op. cit., pag. 6 che «In realtà la vastità e l’evoluzione rapidissima delle scienze e della tecnica riducono attualmente la figura tradizionale del giudice peritus peritorum a poco più di una finzione, essendo difficile ipotizzare un magistrato che sia specificamente e sufficientemente preparato nelle più disparate materie necessarie per decidere le numerosissime controversie che pendono davanti a lui. Il principio generale può conservare però il suo contenuto più restrittivo, nel senso che il giudice, anche quando non è in grado di fare a meno dell’ausilio di un perito, può criticare e non condividere le conclusioni cui quest’ultimo è giunto ed in questo caso, se non ritenga di chiedere chiarimenti allo stesso consulente o di rinnovare la perizia nominando un altro ausiliare, elaborare valutazioni tecniche differenti sulla scorta dei dati già acquisiti».
[2] Cfr. sul punto: Cass. 9641/2010; Cass. 9379/2010; Cass. 15468/2009; Cass. 6155/2009; Cass. 19365/2007; Cass. 4660/2006; Cass. 4407/2006; Cass. 3881/2006; Cass. 10121/2002; Cass. 6641/2002; Cass. 6479/2002; Cass. 71/2002; Cass. 10589/2001; Cass. 7772/2001; Cass. 5142/2001; Cass. 8200/1998.
[3] Cass. 9461/2010; Cass. 5422/2002.
[4] Tuttavia, a seguito della modifica dell’art. 23 delle disp. att. cod. proc. civ., apportata dalla legge n. 69/2009, gli incarichi devono essere equamente distribuiti tra gli iscritti nell’albo, in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al dieci per cento di quelli affidati dall’ufficio. Il Presidente deve garantire che sia assicurata l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici. Potetti, Novità e vecchie questioni in tema di consulenza tecnica d’ufficio nel processo civile, in Giur. merito, 2010, 01, 24 ha rilevato, giustamente, che si tratta di una «modifica ispirata da un lato ad una palese sfiducia nell’operato dei giudici in questa materia, e dall’altro alla tutela degli interessi (soprattutto economici) delle varie categorie professionali interessate. Rimane invece in ombra l’interesse che avrebbe dovuto essere quello principale e dominante, e cioè l’interesse non del giudice, ma della Giustizia, a servirsi dei consulenti migliori, in fasi della causa civile in cui sovente, in gran parte, il contenuto della sentenza dipende dalla bravura e dallo scrupolo del consulente».
[5] Il giudice non può tuttavia demandare ad un professionista non avente i requisiti di legge l’accertamento o la valutazione di fatti che richiedono specifiche competenze e che la legge presume solo in coloro che sono iscritti in un apposito albo. Ad esempio, ad un geometra non può essere conferito l’incarico di accertare se i calcoli del cemento armato eseguiti dall’ingegnere progettista sono stati eseguiti correttamente, come pure un infermiere non può accertare il danno alla persona. La violazione determina una nullità (v. cap. 8).
[6] Il giudice non può però omettere accertamenti che rientrano nella domanda fatta valere e che richiedono necessariamente valutazioni tecniche.
[7] Rispettando il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
[8] In questo caso occorrono però gravi motivi; cfr. art. 196 c.p.c.
[9] Cass. 15468/2009; nella specie, la Corte ha considerato legittima la decisione del giudice d’appello che, con corretta motivazione, aveva esposto le proprie determinazioni e l’iter argomentativo seguito, dal quale implicitamente emergevano le ragioni del rifiuto ad effettuare la richiesta consulenza medico legale, evidenziando che la deduzione del lavoratore circa l’esistenza di un danno era priva di riscontro probatorio.
[10] Cfr. sul punto: Cass. 14759/2007; Cass. 11143/2003; Cass. 583/2001; Cass. 3232/1984.
[11] Cass. 14759/2007: «Il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, ma può ben fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali».
[12] Tra le tante v. Cass. 11593/2009.
[13] Così Cataldi, op. cit., pag. 7.
[14] Cfr. in tal senso: Cass. 10007/2008; Cass. 19365/2007; Cass. 12930/2007; Cass. 4407/2006; Cass. 20814/2004.
[15] Cass. 15421/2016.
[16] Cass. 5091/2016.
[17] Monteleone, Diritto processuale civile, Cedam, pag. 420, osserva che quando il fatto da accertare riguarda la condizione o qualità di cose, o l’ispezione di cose, «il giudice ha il dovere di nominare un consulente tecnico per accertare quanto dedotto dalla parte, la quale a sua volta non può ritenersi vincolata dall’onere della prova e dalla conseguente regola di giudizio. Ma la consulenza può essere necessaria, e quindi fungere da strumento idoneo ad assolvere l’onere della prova, anche in relazione a fatti passati: ciò avviene quando quello allegato in giudizio non può essere provato con i mezzi preveduti dalla legge ed a disposizione delle parti, ma può esserlo solo attraverso una indagine di natura tecnica».
[18] Cass. 15219/2007.
[19] Cass. 11143/2003; Cass. 583/2011.
[20] Cass. 10007/2008.
[21] Cfr. in tal senso: Cass. 3374/2008; Cass. 396/2006; Cass. 10/2002; Cass. 3343/2001; Cass. 14979/2000; Cass. 2629/1990.
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