La revocazione è stata configurata come un mezzo di impugnazione di natura eccezionale ed a critica vincolata, che può aggiungersi o sovrapporsi alle altre impugnazioni, e cioè all’appello ed al ricorso per cassazione; ed è stato anche puntualmente evidenziato come tale rimedio, per riprodurre sostanzialmente lo stesso oggetto del giudizio anteriore, segua il regime della devoluzione automatica tanto da postulare una pronunzia sostitutiva; il che ha indotto un consistente indirizzo dottrinario a nutrire riserve circa la qualificazione dell’istituto come essenzialmente rescindente, rimarcandosi a tale fine come la prima fase della revocazione non sia rivolta a porre nel nulla la sentenza impugnata ma solo a dar adito al riesame della controversia al fine, appunto, di sostituire, con altra sentenza, quella viziata.
L’istituto in esame, come noto, è un rimedio dalle origini remote, che per lungo tempo non è stato contemplato come mezzo impugnatorio delle sentenze della cassazione. Tale scelta ordinamentale è stata, in epoca risalente, giustificata in base alla considerazione che – poichè la sentenza di cassazione “non è sentenza di merito”, bensì per la sua funzione rescindente, “sentenza di rito” – la revocazione delle decisioni di legittimità non risultava compatibile in un sistema che attribuiva alla revocazione il ruolo “vicario” rispetto all’appello, ed i cui vizi denunziabili con essa involgevano, da parte del giudice della impugnativa, apprezzamenti di fatto.
In questo quadro necessariamente succinto dell’istituto revocatorio va ricordato che la Corte Costituzionale ha aperto – con la sentenza 30 gennaio 1986 n. 17 (i cui principi sono stati di recente richiamati da Corte Cost. 9 giugno 2009 n. 207) – come è stato con felice espressione evidenziato – un “varco” nel precedente assetto codicistico statuendo, con riferimento a sentenza affetta di vizi processuali (art. 360 c.p.c., n. 4), che negarne la revocabilità in presenza dell’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, comporterebbe la violazione del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento garantito dall’art. 24 Cost., comma 2, ed in tal modo finirebbe per svuotare di rilevanza il comandamento di giustizia che di per sè permea la ripetuta disposizione del codice di rito civile, perchè “l’indagine cognitoria cui da luogo dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non è diversa da quella condotta da ogni e qualsiasi giudice di merito allorquando scrutina la ritualità degli atti del processo sottoposto al suo esame”.
L‘esigenza evocata da parte del giudice delle leggi nella pronunzia citata di ampliare normativamente – ed al di là della specifica fattispecie da essa esaminata – le ipotesi di revocazione ha finito per essere recepita dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che, nel riscrivere l’art. 391 bis c.p.c., ha portato a riconoscere tra i provvedimenti impugnabili con la revocazione pure le sentenze della Corte di cassazione (e le ordinanze pronunziate a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 ed ora anche a norma del n. 1, a seguito di Corte Cost. 9 luglio 2009 n. 207 cit.), ma solo per errore di fatto.
Pur limitando l’indagine a quello che interessa in questa sede – e cioè alla revocazione ordinaria ex art. 395 c.p.c., n. 4 – risulta utile – per quanto si verrà in seguito ad esplicitarsi osservare più in generale che all’estensione della revocazione alle sentenze della Corte di cassazione, oltre al ricordato precedente della Corte Costituzionale, hanno forse con maggiore incidenza contribuito altre ragioni.
Ed invero non può sottacersi che la modifica – ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006 – dell’art. 384 c.p.c., con il consentire, con il secondo comma, nel giudizio di legittimità anche decisioni di merito della controversia con conseguenti apprezzamenti di fatto – tanto che da taluni si è vista la Cassazione anche come giudice di terza istanza – ha fatto venire meno la ragione che, come già ricordato, si reputava ostativa all’estensione dell’istituto scrutinato. Si è al riguardo puntualmente evidenziato che, nella misura in cui ex art. 384 c.p.c., può divenire sostitutiva della sentenza di merito, la pronunzia della Corte di cassazione deve essere parimenti sottoposta alla stessa latitudine di rimedi previsti per la suddetta sentenza di merito, in rapporto agli stessi, determinati vizi.
Sotto altro versante non può neanche trascurarsi la considerazione che il principio costituzionalizzato con la L. 23 novembre 1999, n. 2 del “giusto processo” (art. 111 Cost., comma 1), ha di certo contribuito ad incrementare le ipotesi di impugnazione delle pronunzie del supremo organo della giustizia ordinaria, sia perchè è stata nella giurisprudenza già ampiamente sperimentata la capacità innovativa del principio costituzionalizzato attraverso la rivisitazione con corretti processi ermeneutici di molte norme del codice di rito e di molti suoi istituti, sia perchè a ciò l’interprete è indotto – per quanto riguarda la revocazione – da quella che da sempre è stata ravvisata la sua rado, di pervenire, appunto, ad un giusto approdo della controversia con decisioni che siano esenti da errori di apprezzamento e dagli altri vizi di cui all’art. 395 c.p.c..
Cass. 16184/2011
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