La responsabilità contrattuale degli avvocati: brevi riflessioni in vista della Teleconferenza.

Mirco Minardi

Negli ultimi anni, il numero delle cause proposte contro i professionisti intellettuali sono aumentate in misura esponenziale.

I primi ad essere investiti sono stati i medici, ma anche i notai e gli avvocati sono sempre più spesso destinatari di richieste di danno.

I tempi sono dunque cambiati: oggi nessuno può dirsi intoccabile. Ed è giusto.

Sino a poco tempo fa, tuttavia, gli avvocati potevano contare sul fatto che l’orientamento giurisprudenziale assicurava loro una serie di privilegi che rendeva assai difficile per il cliente ottenere il risarcimento, quand’anche fosse stata provata la negligenza del legale.

Oggi non più.

A seguito del più recente orientamento della Suprema Corte (S.U. 13533/2001), i professionisti intellettuali sono equiparati agli altri debitori contrattuali, con queste importanti conseguenze:

– il cliente-creditore deve allegare l’inadempimento;

– il professionista-debitore deve dimostrare l’assenza di colpa;

Rimane a carico del cliente dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento e danno. Ma mentre sino a qualche anno fa la giurisprudenza richiedeva la prova rigorosa della “certezza morale“, oggi si accontenta della “ragionevole probabilità”. Detto altrimenti: occorre dimostrare che la condotta diligente avrebbe con ragionevole probabilità impedito l’evento di danno.

Non solo. Alcuni giudici di merito hanno iniziato ad applicare il principio del consenso informato anche all’avvocato, ponendo sul medesimo l’onere della prova.

Cosa significa dal punto di vista pratico? Faccio un’ipotesi.

Arriva il cliente con un decreto ingiuntivo in mano. Supplica l’avvocato di fare opposizione, pur non contestando il credito, per prendere tempo in quanto sta aspettando un finanziamento e non vuole subire esecuzioni. L’avvocato gli espone che così facendo dovrà pagare anche le spese legali proprie e verosimilmente quelle del creditore. Ma il cliente insiste. L’avvocato oppone. Il cliente perde.

Giorni dopo la sentenza, arriva una lettera con la quale il cliente chiede al legale il risarcimento del danno, per non averlo informato sul fatto che iniziando un giudizio sicuramente infondato egli avrebbe subito un ulteriore danno. Il legale, indignato, risponde che aveva informato il cliente di tale eventualità. Ma come provarlo?

Ebbene, secondo il Tribunale di Roma, spetta all’avvocato l’onere della prova di avere ottenuto un valido consenso informato.

Capite bene che in queste condizioni, fare la professione è diventato molto pericoloso.

Recentemente un collega è stato condannato a pagare 2.700.000,00 euro (ho scritto bene: euro, non lire), per aver omesso di verificare, tra l’altro, che il debitore contro il quale aveva proposto una azione revocatoria per un fallimento aveva nel frattempo alienato i beni ed egli non aveva trascritto la domanda.

La conferenza che abbiamo organizzato ci aiuterà a prendere anzitutto consapevolezza di un fenomeno, in secondo luogo a dotarci di tutte le informazioni per evitare di subire azioni di danno e, nell’ipotesi in cui siamo dalla parte del danneggiato, al fine evitare di commettere errori nella impostazione della causa.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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